loader
menu
© 2024 Eddyburg
Maria Zegarelli
Le mani su Cose nostre
22 Novembre 2009
Articoli del 2009
Una parte del’ampio dossier che l’Unità (22 novembre 2009) ha dedicato alla vicenda della minacciata restituzione ai mafiosi dei beni confiscati grazie alla legge Rognoni-La Torre

Lungaggini burocratiche e ipoteche dal valore esorbitante. Ecco perché, grazie a un emendamento alla Finanziaria, i beni confiscati alla Mafia ora rischiano di tornare nella disponibilità di Cosa Nostra.

C’è chi dice si estenda per 150 ettari e chi ne aggiunge altri 90 del terreno confinante. Si trova vicino a Polizzi Generosa, Palermo, Sicilia. Michele Greco, il «Papa» di Cosa nostra, lo acquistò dalla società Sat: un colpaccio perché quel feudo era il simbolo, l’ennesimo, dello strapotere del boss dei boss. C’era un’ipoteca, importante, e la questione andava risolta. Subito. La pratica fu seguita direttamente dal clan dei Croceverde che chiamarono i Salvo e detto fatto ne ottennero in quindici giorni la sospensione, con decreto del ministero delle Finanze. Poi, quando il «Papa» fu arrestato, il potere temporale sui suoi beni andò a farsi benedire e Verbuncaudo fu confiscato. E assegnato al Comune di Polizzi nel 2007, che lo accettò a patto che venisse destinato ad un’associazione impegnata nel sociale. Si individuò la Cooperativa «Placido Rizzotto Libera Terra», ma ecco che rispunta l’ipoteca. La cooperativa non può pagarla, il Comune neanche. Verbuncaudo rischia di essere venduto, malgrado sia stato assegnato perché mancano i soldi per l’ipoteca. C’è già chi è pronto ad acquistarlo, gente potente. Si tratta dei familiari di Greco. Sono cinque anni che fanno pressione con i loro avvocati.

Ma se alla Camera non viene cassato l’emendamento alla Finanziaria votato al Senato - presentato da Maurizio Saia, (ex An) quello che Gianfranco Fini definì «un imbecille», quando accusò di lesbismo Rosy Bindi ministro della Famiglia - sono 3213 i beni confiscati alla malavita e non ancora assegnati che rischiano di finire sul mercato. Le cosche sono pronte. Perché rimettere le mani su quella «robba» attraverso prestanome è facile, e perché farlo equivale a confermare che i tentacoli si spezzano ma sono pronti a ricrescere. E dove non arrivano le casse dello Stato e degli enti locali arrivano quelle di Cosa nostra.

RICORDATE ENRICO NICOLETTI?

Il «cassiere» dellaBanda della Magliana, Enrico Nicoletti, aMonte San Giovanni, nel Frusinate, possedeva un fabbricato a cui tiene ancora parecchio. È la casa natale dei genitori, legami affettivi che non si spezzano mai. Anche quello potrebbe tornare sul mercato. Idem per l’azienda bufalina con terreno, 8 ettari e oltre 2000 capi di bestiame fino al 2005, a Selvalunga, nel Grazzanise, dove Walter e Francesco Schiavone (Sandokan, boss dei Casalesi)hanno fatto il bello e il cattivo tempo. Don Luigi Ciotti ha l’elenco pronto di tutti gli immobili. «a rischio»: li venderà simbolicamente martedì mattina a Roma alle ore 11 presso la Bottega della legalità «Pio La Torre» in via dei Prefetti 23. Batterà lui stesso l’asta, perché a volte devi ricorrere a questi gesti simbolici se vuoi scuotere coscienze che basta troppo poco per riaddormentarle. Saia con il suo emendamento al Senato ha fatto sì che se passano 90 giorni dalla confisca senza assegnazione tutto torna sul mercato. «Con l’approvazione di questo emendamento è tradito l’impegno assunto con il milione di cittadini che nel ’96 firmarono la proposta di legge sull’uso sociale dei beni confiscati alla mafia - dice Don Ciotti -. Se la Camera confermasse la decisione di vendere all’asta gli immobili sarebbe enorme il rischio di restituirli alle stesse organizzazioni criminali». Virginio Rognoni, cofirmatario della legge Rognoni-La Torre è incredulo: «Venderli è una sconfitta per lo Stato, l’emendamento è un atto molto grave che non ha giustificazioni ».

Nella sua relazione presentata al governo nel novembre 2008 il commissario straordinario, Antonio Maruccia, magistrato di Cassazione, diceva, tra l’altro: «Le proposte conclusive del Cnel si sono concentrate, avuto riguardo alla destinazione dei beni, nella indicazione della necessità di vietare la vendita dei beni, per evitare che possano essere nuovamente acquistati, tramite prestanomi, dagli stessi soggetti a cui sono stati sottratti». Inoltre, il Cnel, nelle «osservazioni e proposte » del 29 marzo 2007 ribadiva la necessità di «affidare a una nuova struttura, specializzata ed avente solo tale funzione, il compito di gestire il transito dei beni dalla confisca alla collettività, dotando la stessa di poteri, finanziamenti e personale tecnico e specialistico necessario ». Stesse conclusioni nella Relazione approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie nel novembre 2007, relatore Giuseppe Lumia, che si occupò proprio dei beni confiscati. Si legge: «Il punto critico attiene proprio alla particolare origine dei beni, che sono divenuti demaniali per effetto dell’azione di prevenzione; tale origine determina la continua pressione della criminalità destinataria dei provvedimenti, tesa al recupero dei beni o, quantomeno, a renderli inutilizzabili, in un’ottica che suona come aperta sfida alle istituzioni incaricate di affermare la sovranità delle ragioni democratiche ». Per questo, secondo la Commissione, è necessario non far rientrare la gestione e la destinazione di quei beni alle competenze generali dell’Agenzia del Demanio. Sarebbe molto più indicata un’ Agenzia centrale, ribadisce il documento, anche sulla base di tutte le audizioni effettuate durante l’indagine. Ma l’Agenzia centrale non è mai nata. L’emendamento, invece, sta lì, in attesa di essere definitivamente licenziato alla Camera.

Le 5 cooperative modello

sui terreni della malavita

È grazie alla legge 109 del ’96, quella di iniziativa popolare che prevede l’utilizzo dei beni confiscati per fini sociali, che sono nate realtà come quella delle5 cooperative Libere Terre che oggi operano in Puglia, Sicilia e Calabria. Ci lavorano il 30% di soggetti svantaggiati, i nomi delle cooperative, in alcuni casi, ricordano le vittime della malavita. Come la «Placido Rizzotto», il sindacalista ucciso dalla mafia nel 1948, o la «Pio La Torre», massacrato nell’ 82. Le 5 cooperative sociali hanno un capitale sociale di 279.301 euro, un patrimonio netto di quasi 1milione 400 mila euro e un fatturato che supera i tre e mezzo. Ci lavorano 103 persone. Racconta Alessandro Leo, di Terre di Puglia: «Diamo lavoro a 30 persone, in maniera stabile, oltre agli stagionali durante il periodo della raccolta. L’impatto sul territorio è incisivo, facciamo regolari contratti. Sembra normale detta così, ma qui in Puglia per le persone non è normale lavorare in regola anche se per brevi periodi». La cooperativa è nata nel 2008, grazie a giovani pugliesi che hanno deciso di lavorare per il riutilizzo dei beni confiscati alla Sacra Corona Unita, la «quarta mafia», «che sembra domata ma non dorme», dicono a «Terre di Puglia». Non dorme perché restano gli affari criminali. È tutto qui il significato della restituzione alla società dei beni confiscati alle cosche assume un valore fondamentale: «Ci aiuta ad affermare un’idea di cooperazione sociale che vince nella legalità, nella qualità e nella sostenibilità ». dice Leo. Per questo dicono no all’emendamento Saia. M. Z.

Il tesoro

che fa gola alla malavita

Grazie al lavoro svolto dal Commissario Straordinario reintrodotto dal governo Prodi nel 2007 dopo che Berlusconi lo aveva eliminato nel2003,è stato fatto un enorme lavoro. Si stima che il valore dei beni confiscati e destinati si aggiri intorno ai 725 milioni di euro, 225 dei quali risalgono agli ultimi 18 mesi,contro i 500dei dodici anni precedenti. I beni immobili confiscati sono 8.933: di questi 5407 sono stati destinati allo Stato e agli enti locali per fini sociali, come prevede la legge. 313 sono usciti dalla gestione del Demanio per vari motivi, mentre 3213 sono ancora da destinare. Secondo l’emendamento alla Finanziaria se nonvengono assegnati entro 90 giorni (che possono diventare 180 in caso di operazioni molto complesse), sono destinati alla vendita. Alla vendita provvede il dirigente dell’ufficio territoriale dell’Agenzia del Demanio.

Il “papello”

In due punti Riina chiedeva

«basta sequestri di beni»

In ben due punti il «papello», cioè la lista di richiesteche Totò Riina avrebbe inviato allo Stato per proporreunatreguadopola strage di Capaci, faceva riferimento alla legge Rognoni La Torre e quindi al sequestro dei beni di mafia. Esattamente al punto 3 compare, in modo esplicito, la richiesta di operare una «revisione della legge Rognoni La Torre». Il concetto viene ribadito, in modo specifico e articolato, al punto 10. La frase di Riina è:«misureprevenzione - sequestro non familiari». La formulazione è un po’ oscura ma il concetto, a giudizio degli analisti, è sufficientemente chiaro. Quel «non familiari» che segue la parola «sequestro» sta a significare che le misure della Legge Rognoni La Torre avrebbero dovuto colpire solo i beni strettamente riconducibili al boss ma non quelli dei suoi familiari. Ecco la «riforma» che Cosa Nostra desiderava.

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg