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Fabrizio Bottini
Il Ciclo dell'Acqua Metropolitano
19 Novembre 2009
Presentato a Cassinetta di Lugagnano il progetto GrandeGronda di mobilità sostenibile. Riflessioni e proposte per un approccio complesso

Non c’è nulla di nimby nella signora piuttosto inferocita per le buche sulla pista ciclabile: “ se fosse un’autostrada le riparerebbero in giornata: invece stanno lì da anni, e ormai si sono allargate fino a …”.

Così come non c’è nulla di localistico, nella spiegazione tecnica di come sia possibile risolvere il problema delle buche, e in generale delle discontinuità dei percorsi ciclabili, solo ragionando in grande stile, proprio come per le Grandi Opere.

Sono gli spunti, tra centinaia di altri, del dibattito appena all’inizio sul progetto GrandeGronda (denominazione provvisoria) iniziato con la presentazione e vivace discussione di Cassinetta di Lugagnano, giovedì 29 ottobre. Sala comunale piena, e disponibilissimi sia l’ingegner Giovanni Gronda a presentare il suo progetto e poi rispondere a buona parte delle questioni poste, sia il Sindaco Domenico Finiguerra nel suo ruolo di padrone di casa e al momento principale promotore dell’iniziativa.

foto f. bottini

Se non c’è nulla né di nimby, di localistico, di “cultura del NO”, nell’idea di una grande opera sostenibile, rivolta alla mobilità dolce, a valorizzare territori ricchi e diversi anche mettendoli direttamente in comunicazione entro un unico sistema, è anche vero che molto, moltissimo, resta ancora da chiarire. Soprattutto, dal punto di vista del sottoscritto, sulla parola “progetto”. Ma prima un po’ di fatti.

GrandeGronda, ci raccontano l’ideatore e i materiali messi a disposizione, è in sintesi estrema un progetto di riqualificazione e completamento di un grande arco di percorsi ciclabili, in buona parte già esistenti e utilizzati, a mettere in comunicazione l’estremità meridionale del Lago Maggiore, attraverso la pianura agricola e Milano, con quella del Lago di Como, ramo di Lecco. Detto in altri termini, e per chi non avesse familiarità con l’area, il tracciato scende la valle del Ticino, segue una rete composita di canali storici e più recenti, risale a Milano e poi da lì fino alla valle dell’Adda e al famoso Ramo del Lago che volge a Mezzogiorno.

Si tratta di circa centosettanta chilometri, e in un percorso così lungo, in una delle aree in assoluto più storicamente antropizzate del pianeta, è abbastanza ovvio che gli ambienti attraversati siano quanto mai differenziati.

Si parte in bicicletta, per motivi strettamente utilitaristici, dal terminale ferroviario della stazione di Sesto Calende (provincia di Varese), e dopo l’area urbana si costeggia per un certo tratto direttamente il Ticino, appena uscito dal Lago Maggiore. In località Porto della Torre, in corrispondenza della presa d’acqua del Canale Villoresi (1885) e di quello Industriale di qualche lustro successivo, si inizia a seguire la rete idrica artificiale parallela al corso del fiume, anche se separata da una striscia di boschi che lo rende quasi sempre invisibile. È una zona caratterizzata dalla presenza dei manufatti inseriti nella natura, centrali idroelettriche, i canali, le opere tecniche di contorno, la valle del fiume. E, non va dimenticato per non perdere mai di vista il contesto, a poche centinaia di metri, sulla brughiera che sovrasta la valle del fiume, l’hub di Malpensa, la nuova autostrada, le aree urbanizzate e industriali dell’asse Sempione.

In località Tornavento, di nuovo sulla riva del fiume, inizia un nuovo tratto con la presa d’acqua del Naviglio Grande (XI secolo) che dopo Turbigo entrando in provincia di Milano si caratterizza per la presenza visibile di piccoli insediamenti urbani e borghi storici lungo il tracciato, fino alla zona forse più ricca dal punto di vista monumentale, da Magenta a Cassinetta di Lugagnano. Qui il progetto compie una scelta territoriale determinante, abbandonando il tracciato più ovvio del Naviglio, che risale l’area metropolitana sino alla Darsena al quartier Ticinese di Milano. Il tracciato ciclabile proposto segue invece il nuovo Canale Scolmatore, tagliando verso nord la fascia di pianura agricola del Parco Sud, fino più o meno all’altezza delle zone interessate dall’Expo 2015, dove fa il suo ingresso nel territorio del comune di Milano. Qui c’è la parte più dettagliatamente progettuale della proposta, visto che nel tratto urbano la pista ciclabile, si qui continua, manca quasi del tutto, e occorrono interventi ad hoc, pur se di semplice realizzazione. Ma per questi aspetti rinvio all’allegato.

foto f. bottini

Dopo il centro di Milano riprende con continuità il percorso ciclabile, prima sull’asse del canale interrato da Brera alla Cassina di Pomm, e poi lungo il Naviglio Martesana. Inizia, soprattutto oltre l’arco delle Tangenziali, uno dei segmenti più ricchi di stimoli (parere personale e disciplinare) dell’intero percorso. Certo un panorama come quello di Mediaset non ha il fascino naturalistico o monumentale che ci siamo lasciati alle spalle nella valle del Ticino o tra le ville del Naviglio Grande. L’interesse specifico del tratto fra la barriera autostradale e la valle dell’Adda, sta nel suo conformarsi a “corridoio intermodale” complesso. La pista ciclabile, oltre ad attraversare centri storici, spazi a parco agricolo o urbano, zone produttive e terziarie anche di notevoli dimensioni, è solo uno dei tre assi che qualificano la mobilità e organizzano lo spazio. Gli altri due, per lunghi tratti praticamente contigui, sono la strada Padana Superiore (quella storica che va da Torino Borgo Dora a Venezia Piazzale Roma) e la Metropolitana Milanese Linea Due, tratto extraurbano, fino al capolinea di Gessate.

La Martesana, dopo aver raggiunto la valle dell’Adda in territorio comunale di Cassano, inizia a presentare a ritroso un ambiente abbastanza simile a quello del Naviglio Grande/Ticino: ville affacciate sull’acqua, archeologia industriale (sulla sponda bergamasca il famoso Villaggio Crespi), e più in alto, lungo il fiume vero e proprio, le chiuse leonardesche, le centrali idroelettriche, il ponte San Michele a campata unica (contemporaneo della Tour Eiffel e realizzato con la medesima tecnica), il traghetto leonardesco di Imbersago, dove si entra in provincia di Lecco.

Il percorso nella valle dell’Adda poi risale immerso in paesaggi naturali, di anse e palude, con lo sfondo orobico dell’ Addio Monti, e circondato da una fascia pressoché continua di aree industriali.

Con queste grande varietà delle zone attraversate, salta all’occhio anche quanto parziale, per quanto interessantissima, possa essere la pura prospettiva di progetto ciclistico orientato al turismo. Perché è evidente che, anche solo nello spazio percepito, nell’organizzazione dell’offerta, nella comunicazione dell’immagine, si intreccino di continuo e in grande quantità cose che turistiche e ciclistiche non sono per nulla, ma che orientate e contestualizzate sul progetto possono innescare sinergie. Anche senza tener conto (ma il progetto l’ha abbastanza chiaramente messo nel conto, invece) dell’Evento Expo e del tipo di variegata utenza che può attirare nell’area, basta pensare, solo per fare qualche esempio a caso: ai lunghi tratti di interesse urbano e interurbano, che innestano e si innestano sulle reti locali, non solo ciclistiche; all’infinita serie delle aree di trasformazione urbanistica, per obsolescenza delle attività attuali o già dismesse, e alle possibilità che il percorso ne determini il futuro; a percorsi socioeconomici come quelli della nuova agricoltura e orticoltura urbana e periurbana, che sul progetto o sulle sue diramazioni fisiche e logiche possono innestarsi.

foto f. bottini

Solo questi scarni e generici esempi, già pongono almeno tre articolazioni: 1) il progetto naturalmente , da cui siamo partiti; 2) il piano, perché troppo complesso è l’intreccio dei fattori territoriali, funzionali, ambientali e socioeconomici coinvolti; 3) il programma, perché solo da una solida continuità e coordinamento di azione, proposta, monitoraggio, gestione, promozione ecc. può scaturire il successo. Infine, ma pare implicito, un programma di ricerca interdisciplinare coordinato che, a partire da un pur sommario stato dell’arte delle conoscenze e delle ipotesi di intervento sul “corridoio di mobilità dolce”, sappia indicare linee di lavoro prioritarie, di approfondimento e prospettiva. A definire meglio le potenzialità di quanto vorrei ora proporre di ribattezzare: Ciclo dell’Acqua Metropolitano.

Una dimensione complessa che è stata ben colta, già nella prima tornata di dibattito, ad esempio dagli interventi dei Sindaci sulla necessità di un’azione comune propositiva dal basso. Ricorda, questo auspicio, i momenti più alti del coordinamento metropolitano, che furono alla base di esperienze come Il Piano Intercomunale Milanese, o del dibattito sui grandi parchi regionali, che oggi sono tagliati e valorizzati anche dal percorso ciclabile, e dalle strutture, iniziative e nuova consapevolezza che da esso potranno derivare col tempo.

Per ora, tutto dipende dagli sviluppi della discussione e dello studio dei problemi. Sviluppi che sembrano avere già ottime prospettive. Altro che cultura nimby, approccio localista, o partito del NO!

Nota: per iniziare a capire un po' meglio il livello di complessità che comporta ragionare su un sistema come quello metropolitano milanese allargato, allego di seguito anche alcuni estratti di un lavoro (di studentesse del primo anno) in cui, limitatamente al "corridoio multimodale orientale", vengono esposti temi potenzialità, impressioni sulla pista ciclabile. Ringrazio ovviamente Una Gospavic, Jiyoung Jung e Martina Lazzari; per qualche immagine del percorso proposto dal progetto GrandeGronda, rinvio alla mia nota precedente sull'argomento (f.b.)

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