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Giorgio Nebbia
Di chi la colpa ?
13 Ottobre 2009
Articoli del 2009
Le leggi che tutelano il territorio dal lavoro dell’acqua ci sono. Colpevoli sono gli uomini che non le applicano. La Gazzetta del Mezzogiorno, 13 ottobre 2009

Ancora una volta, vicino Messina, una frana ha spazzato via vite umane, povere case e le loro suppellettili e ricordi. Qualcuno ha detto che non è stata colpa della natura, ma dell'"uomo", quasi genericamente malvagio e nemico della natura; in realtà la colpa è della forza del denaro e della speculazione e di un potere politico attento agli interessi degli affari e dei soldi, anche a costo del disprezzo della vita umana e della natura.

L'acqua fa il mestiere per il quale è stata predisposta dall'inizio del pianeta, come fonte della vita, non di morte: cade ogni anno sulla superficie della Terra in quantità abbastanza costante e abbastanza prevedibile da luogo a luogo, da stagione a stagione. L'acqua raggiunge il terreno e scorre verso il piano lungo i fianchi delle valli, e poi nei canali e nei torrenti e poi nei fiumi più grandi fino al mare; nel cadere sulla superficie della terra l'acqua viene a contatto con le rocce e il terreno e ne sposta le parti più leggere che diventano sabbia e limo, che scendono per gravità, depositandosi nelle parti più basse, creando quei beni utili agli esseri umani come le fertili pianure alluvionali e le spiagge. In questo suo instancabile e provvidenziale andare, l'acqua da vita ai vegetali, disseta gli animali, assicura la vita umana.

E la vegetazione, in tutte le sue forme, dai prati agli alberi, alla macchia spontanea, è anche fondamentale nel regolare la forza che l'acqua esercita nel disgregare e spostare il terreno; le foglie sono state inventate dal Padreterno proprio perché attenuano la forza erosiva dell'acqua. Nel corso dei millenni e dei secoli le acque si sono assicurato lo spazio in cui muoversi a seconda della loro velocità, cambiando talvolta il loro corso e riservandosi degli spazi in cui adagiarsi nei periodi di piogge più intense e di piene dei fiumi.

"Purtroppo" le pianure e le zone accanto ai torrenti e ai fiumi e ai laghi sono quelle più pregiate per gli insediamenti umani; i terreni agricoli si sono estesi anche sulle rive dei fiumi nelle zone che la natura aveva riservato a se stessa per far espandere le acque di piena; case e villaggi e poi città e fabbriche hanno occupato i fianchi delle valli e i fondo valle e le rive dei fiumi, dei laghi e del mare creando ostacoli al moto delle acque; così quando vi sono piogge più intense, le acque aumentano di velocità e di forza erosiva e cercano con violenza uno spazio per scendere a valle spostando masse di terra, alberi e addirittura edifici e ponti e strade.

Tutto qui; le frane e le alluvioni e i costi e i dolori e i morti sono dovuti al fatto che alcuni "soggetti economici", nel nome del proprio interesse "economico", hanno edificato o occupato gli spazi che dovrebbero essere liberi per il moto delle acque incanalando fiumi e torrenti in prigioni di cemento; altri, sempre per motivi "economici", per guadagnare spazi edificabili, hanno distrutto, anche col fuoco degli incendi, gli alberi e la vegetazione spontanea e le macchie, per cui le acque hanno finito per muoversi con maggiore violenza sul suolo; molte pratiche agricole intensive hanno reso il terreno più esposto all'erosione che sposta a valle la terra fertile.

Terra, fango, detriti, ramaglie, alberi, rocce, trascinati dalle acque sempre più veloci, diventano un "tappo" fisico dei corsi di acqua e ne facilitano l'uscita dalle loro vie naturali. E' il quadro che si è visto nei paesi intorno a Messina oggi e che si vede in tutti i casi di frane e alluvioni che divorano, da decenni, ogni anno in Italia, miliardi di euro di ricchezza e centinaia di vite umane. L'unica nostra difesa sarebbe "lo Stato" che, se operasse per il bene pubblico, dovrebbe impedire, con le leggi e con il loro rispetto, dal livello nazionale a quello delle amministrazioni locali, la costruzione di opere, private e pubbliche, edifici e strade e ponti, eccetera, nei luoghi che sarebbero riservati al moto delle acque; che dovrebbe ricostruire la copertura vegetale vietando la distruzione del verde e dei boschi e dovrebbe provvedere alla pulizia del greto di canali, torrenti e fiumi per assicurare il regolare fluire delle acque.

Purtroppo le leggi, che sono giustamente attente a punire la violenza ai privati, sono silenziose, talvolta compiacenti, quando si tratta di impedire la violenza di privati --- e talvolta dello stesso stato --- contro la natura, cioè contro la vita di altri cittadini. Anche se è certo che tale violenza si manifesterà periodicamente, sotto forma di disastri e morti e dolori. Ogni volta che lo stato dovrebbe dire a un cittadino che "non deve" costruire in una golena o in una lama o nel greto di un torrente o in una zona franosa, sta zitto, perché bisogna "fare", costruire, anche se ciò sarà pagato da altri e da tutti, oggi e in futuro. Eppure, con leggi e con una buona amministrazione, si può "fare" e assicurare lavoro e case e strade, costruendo diversamente, in altri luoghi, proteggendo il suolo contro l'erosione con il rimboschimento, combattendo gli incendi.

E le leggi ci sono state; nel 1985 la legge 431 stabiliva che dovevano essere sottoposte a vincolo le rive dei torrenti e dei fiumi e del mare, la legge 183 del 1989 (venti anni fa) stabiliva regole di difesa del suolo e delle acque; e così prevedevano le leggi "Sarno" (267 del 1998), e Soverato (365 del 2000), emanate dopo i rispettivi disastri idrogeologici. Tutte leggi non applicate o violate, o rimandate o vanificate da condoni. Si sentono promesse e programmi in vista di future elezioni, ma non sento nessun impegno di aggiornare e far rispettare le leggi che impediscono gli interventi sul territorio nocivi per la vita futura degli italiani.

Se proprio i futuri governi locali e nazionali non hanno "il coraggio di dire no" alla speculazione, all'egoismo, all'avidità che si mangiano il territorio italiano, alla violenza contro la natura, almeno abbiano il pudore di smetterla con i piagnistei sui cadaveri che sono generati dalla loro incapacità di prevedere e prevenire le cause, che sono sotto gli occhi di tutti, delle morti e dei dolori e dei costi di ieri, di oggi, di domani e dopodomani.

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