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Giuliano Galletta
La sfida del paesaggio si gioca nell'entroterra
31 Luglio 2009
Il paesaggio e noi
Lo stato del paesaggio italiano, e in particolare di quello ligure, nel recentissimo rapporto della Società Geografica Italiana. Da Il Secolo XIX, 31 luglio 2009 (m.p.g.)

Lo stato del paesaggio italiano, e in particolare di quello ligure, nel recentissimo rapporto della Società Geografica Italiana. Da Il Secolo XIX, 31 luglio 2009 (m.p.g.)



Ogni anno la Società Geografica italiana pubblica un Rapporto in cui si raccolgono i risultati di una ricerca. Nel 2009 il tema scelto è stato "Paesaggi italiani. Fra nostalgia e trasformazione", per curare il Rapporto è stato scelto Massimo Quaini, uno dei più importanti geografi italiani, docente all'università di Genova. Il ritratto che emerge dalle cento pagine del prezioso volume è complessivamente desolante. In Italia prosegue inarrestabile l'avanzata del cemento senza che nessuno sia in grado di controllarla. Ogni anno nel nostro Paese le superfici agricole si riducono di 190 chilometri quadrati e le zone rurali che non vengono invase dal dilagare delle aree urbane restano abbandonate al degrado.

Anche la Liguria - che nel Rapporto viene analizzata come caso emblematico, insieme alla Sardegna - non sfugge a questa logica, anche se il Rapporto chiarisce che presunti record di cementificazione, che negli anni scorsi erano stati attribuiti alla Liguria, si basavano su dati del tutto sbagliati. Doveroso scrupolo scientifico, ma magra consolazione per chi vede la regione stretta in una morsa fatta di "rapallizzazione" della costa e di inselvatichimento dell'entroterra. Un amaro bilancio in cui la nozione di tutela del paesaggio rischia di diventare una formula vuota e da cui sorge il dubbio che il paesaggio da tutelare stia scomparendo. "In effetti sono quasi cent'anni che nel nostro paese si parla di tutela del paesaggio e a giudicare dalle discussioni e dall'insoddisfazione in sede culturale e politica non sembra che si siano fatti molti progressi" spiega Quaini "ma forse per trovare le risposte giuste più che domandarsi se esiste ancora un paesaggio da tutelare ci si dovrebbe chiedere perché si deve tutelare il paesaggio. Che senso ha farlo oggi dopo un secolo di profonde trasformazioni negli usi del suolo? Trasformazioni in gran parte inevitabili e che non si possono certo fermare, ma solo guidare meglio. Salvaguardare i paesaggi non significa infatti imbalsamarli e neppure tenerli in piedi artificialmente.

Il fatto è che la nostra concezione del paesaggio è profondamente cambiata rispetto a quella dei ministri che da Benedetto Croce a Galasso, da Urbani a Rutelli (si noti la progressiva decadenza!) hanno introdotto nuove leggi e codici. In breve, siamo passati da una concezione piuttosto aristocratica, che vincolava le "bellezze naturali" e i panorami, a una assai più democratica che avvicina il paesaggio alla percezione e al senso comune dell'abitante, del cittadino, nella convinzione, sancita soprattutto dalla Convenzione europea (ma implicita anche nell'art. 9 della nostra Costituzione), che tutti abbiamo bisogno di riconoscerci in un paesaggio, in un orizzonte geografico al quale ci lega la nascita, la memoria familiare e storica e anche la nostra vita quotidiana e lavorativa. Quindi, se un logoramento c'è stato questo non ha riguardato le ragioni del paesaggio, che anzi sono cresciute e oggi ci sembrano irrinunciabili, ma piuttosto i vari livelli di gestione e cura istituzionale del paesaggio e del patrimonio culturale che ancora lasciano molto a desiderare".

Il Rapporto mostra con molti esempi come, soprattutto a scala locale, non si sia ancora trovato l'equilibrio fra le esigenze della valorizzazione economica e quelle della tutela dei paesaggi. In Italia sembra sia stata ormai abbandonata ogni forma di pianificazione. Gli urbanisti hanno ceduto il passo alle archistar che pensano in termini di edifici e non di territorio. i piani regolatori si fondano sulle deroghe e il cemento non trova più ostacoli.

"La vicenda della pianificazione paesaggistica in Italia ha risentito di una situazione ancora molto confusa sul piano istituzionale e normativo e perciò scarsamente efficace nella tutela" prosegue Quaini "è chiaro a tutti come nei varchi lasciati aperti, talvolta spalancati. nel controllo e nella gestione del territorio la speculazione edilizia, che in Liguria ha avuto una ricca fenomenologia descritta da scrittori e giornalisti famosi, continua a infiltrarsi e prosperare. Oggi dovremmo tutti essere convinti che la speculazione edilizia non è una "valorizzazione" del paesaggio, per la semplice ragione che si basa sul consumo irreversibile di quelle risorse di immagine e anche economiche sulle quali soltanto possiamo ricostruire il nostro futuro. E tuttavia come il giornalismo di inchiesta continua a denunciare non mancano le operazioni meramente speculative.

Da che cosa deriva questa debolezza della pianificazione? Le archistar, ovvero la rincorsa agli edifici-simbolo di alcune grandi firme è certamente una delle cause. Lo è soprattutto perché svaluta il lavoro paziente e sistematico della pianificazione contestuale, i piani che trovano la loro efficacia nella capacità di conoscere e valorizzare l'intero contesto di vita di una comunità e di controllarne quotidianamente i piccoli e i grandi interventi su un bene comune. Solo attraverso questo tipo di pianificazione coinvolgente e "partecipata" si può pensare di tutelare il paesaggio. Il vero controllo e alla fine anche la gestione del territorio e del paesaggio devono farli i cittadini, andando se necessario anche contro i loro rappresentanti. Anche se questi ultimi non sembrano essersene molto accorti questo modo democratico e dal basso di gestire il territorio e i paesaggi è diventato un'esigenza sempre più sentita. Forse, un giorno, quando gli abitanti prenderanno nelle loro mani il destino e l'amministrazione di questi loro beni comuni si potrà pensare di abolire la pianificazione dall'alto, quella che è competenza solo dei tecnici e dei loro incomprensibili linguaggi".

Il Rapporto si occupa principalmente del paesaggio rurale dove la Liguria è considerata un caso esemplare di territorio fortemente urbanizzato sulla costa e con un entroterra che rischia abbandono e degrado. "L'utopia che ho appena descritto sembra lontana anni luce da questo nostro presente e invece se volgiamo le spalle al mondo della costa, come ci hanno insegnato a fare Calvino e Biamonti, e guardiamo all'entroterra, al mondo della collina e della montagna ci rendiamo conto che qui, in questi territori, alcuni brani di questa utopia si stanno realizzando" conclude Quaini "Questi territori non sono forse stati abbandonati dalle istituzioni e non sono abituati a fare da sé, a difendere da soli le loro risorse? Non stanno forse riscoprendo le ricchezze del loro passato anche istituzionale - per esempio le comunaglie: beni da amministrare e godere in comune - e soprattutto le potenzialità di risorse agro-silvo-pastorali e di saperi ambientali legati a mestieri di cui fino a ieri ci si vergognava? Non si muovono in un'altra logica rispetto a quella della costa? Sempre più mi convinco che il futuro della nostra regione si gioca soprattutto in questi territori che il Terzo valico, che peraltro i genovesi vedranno fra trent'anni, vorrebbe bypassare. E non solo perché costituiscono la più grande riserva di paesaggi, ma anche perché la costa è stata così densamente urbanizzata da essere diventata qualcosa di diverso dal paesaggio".

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