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Vezio De Lucia
Riflessione sull’Italia centrale
23 Febbraio 2009
Il paesaggio e noi
Lo stravolgimento di quello che fino a pochi decenni fa era ancora il paesaggio del Grand Tour. Dal Bollettino di Italia Nostra, n. 440 (m.p.g.)

Il punto di partenza non possono che essere le immagini e il testo di Aldo Sestini nella collana Conosci l’Italia del Touring del 1963. I tipi di paesaggio individuati nell’Italia centrale sono una ventina, dalle colline dell’Umbria ai massicci dell’Appennino abruzzese, dai monti calcarei del Lazio a isole, spiagge e promontori tirrenici. La descrizione si sofferma in particolare sui caratteri naturali e sulle coltivazioni che allora occupavano la maggior parte del territorio, mentre l’insediamento umano è trattato molto succintamente. Il paesaggio delle colline toscane sembra ancora quello attraversato da Guidoriccio da Fogliano. Sestini non sembra preoccupato da quella che definisce “la questione dell’armonia dell’impronta umana nel paesaggio” e dalle “lagnanze che spesso si muovono a riguardo della deturpazione di paesaggi di particolare bellezza o specialmente caratteristici”. Solo in Versilia l’urbanizzazione è già allora dominante: “un susseguirsi quasi continuo di abitazioni, di ville e villette d’ogni tipo, di alberghi, di grandi edifici per colonie, di giardini privati e pubblici, di viali, d’impianti balneari”.

Che è successo nel meno di mezzo secolo trascorso dalla pubblicazione del volume del Touring? È successo che il paesaggio descritto da Sestini non esiste più. Fatte salve, in parte, le montagne, il restante territorio è irriconoscibile. È diverso il paesaggio agrario, non ci sono più la mezzadria, i coltivi promiscui, le minute reti infrastrutturali. Ma, soprattutto, l’urbanizzazione è dilagata in ogni direzione. Un paesaggio rimasto sostanzialmente stabile per secoli, nel giro di pochi decenni è stato annientato. Il dato che più di ogni altro descrive la rovina è la dissipazione del suolo agricolo o in condizioni naturali. Mentre in Italia la popolazione è cresciuta, più o meno, del venti per cento, in alcuni luoghi la superficie urbanizzata è aumentata anche di più del mille per cento (a differenza di altri paesi europei, da noi non esistono dati ufficiali e si moltiplicano le stime dilettantesche o di comodo).

In Toscana, nella maggior parte del territorio collinare e montano, gli insediamenti sono tuttora radi, ma nei fondovalle, lungo la costa settentrionale e nelle pianure principali l’occupazione del suolo ha superato il livello di guardia. Firenze e la sua sterminata periferia sono ormai connesse a tutti i capoluoghi provinciali, con la sola eccezione di Grosseto, in un unico, continuo sistema insediativo regionale (e anche interregionale, verso La Spezia).

Ma il peggio succede nell’Agro romano, il paesaggio forse più celebre dell’Italia centrale. “I pini a ombrello solitari o i ciuffi di eucalipti […] ne costituiscono un ornamento di maggior risalto, insieme alle suggestive arcate degli antichi acquedotti, alle rovine di ville e di monumenti sepolcrali romani”: così lo descrive Sestini, non diverso da quello che videro i viaggiatori del Gran Tour. Negli ultimi quarant’anni quel paesaggio è stato massacrato, e il nuovo piano regolatore della capitale ha sferrato il colpo di grazia prevedendo ancora espansioni per almeno 15 mila ettari, in tutte le direzioni, fino alla saldatura con i comuni limitrofi. Un’espansione a bassa densità, che in alcuni nuovi quartieri si ferma a tredici abitanti per ettaro. Un dato delittuoso, una periferia che non sarà mai città, dominata da ben trentuno giganteschi nuovi centri commerciali, tutti costruiti negli ultimi dieci anni.

Così è finita la più importante risorsa archeologica del mondo, lo spazio che da millenni isolava Roma dal resto del Lazio. Dapprima fu solo Italia Nostra, con Paolo Berdini e pochi altri benemeriti, a denunciare il sacco della capitale (con Legambiente che ci accusava di essere quelli che sanno dire solo no). Poi, seppure in ritardo, soprattutto dopo un ottimo servizio di Report, anche la stampa benpensante ha cominciato a raccontare la verità.

Dobbiamo insistere, estendere e rafforzare la contestazione al modo con il quale si distrugge il nostro paesaggio, la nostra storia, il nostro futuro. Non solo a Roma. Dalla nostra parte ci sono tutte le ragioni e le condizioni per pretendere che si ponga fine alla catastrofe. A Londra un incremento della popolazione di un milione di persone in dieci anni è stato fronteggiato senza consumare neanche un metro quadrato di green field, solo recupero di aree dismesse. Severissime politiche di consumo del suolo sono perseguite in Germania e in altri paesi europei.

L’Italia procede invece nella direzione opposta. Alla Camera dei Deputati è ripreso il dibattito sul famigerato disegno di legge Lupi, che incentiva il consumo del suolo, obbliga i pubblici poteri a negoziare con la proprietà fondiaria, elimina gli standard urbanistici. Estende insomma a tutt’Italia il modello milanese. Quella proposta era già stata approvata dalla Camera nel giugno 2005, con il voto favorevole anche di alcuni parlamentari del centro sinistra. Per fortuna, smentendo tutte le aspettative, non fu approvata dal Senato. Adesso torna nelle aule parlamentari, e per Italia Nostra diventa indispensabile promuovere la stessa mobilitazione che, all’inizio del 2006, scongiurò la tragedia.

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