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Giorgio Boatti
È la guerra dei bordi
8 Febbraio 2009
Padania
Cronaca di una “corrente” devastazione territoriale padana in cambio della solita manciata di – effimeri - posti di lavoro.La Provincia Pavese, 8 febbraio 2009 (f.b.)

«L'elemento che ci ha spinti a dare il nostro ok è l'aspetto occupazionale...». A Bastida Pancarana non hanno avuto dubbi nel dare il loro consenso all'insediamento nella vicina località di Bressana Bottarone di una poderosa struttura logistica il cui eventuale decollo costituisce, da tempo, una delle partite decisive in corso sul territorio provinciale.

Un po' di futuribili posti di lavoro a Bastida, dunque - promessi dalla proprietà della futura struttura, unitamente all'impegno a realizzare opere pubbliche di urbanizzazione per un importo di 245.000 euro - sono stati giudicati sufficienti dagli amministratori locali per far pendere la bilancia per un sì.

Non importa che non poche delle strutture logistiche già approdate in provincia di Pavia, registrando i severi contraccolpi della crisi in corso, abbiano già tagliato il numero degli addetti. E che dunque, almeno nell'arco dei prossimi anni, sia difficilmente ipotizzabile un'impennata occupazionale nel settore capace di riversarsi anche sui senza occupazione di Bastida, Bressana e dintorni.

D'altra parte, visti i tempi che corrono, è naturale che l'offerta occupazionale - guarda caso sempre assai generica, mai definita per ruoli, generi, competenze che dovrebbero essere poi selezionate dai proponenti - costituisca l'ariete di sfondamento manovrato dai registi dei nuovi insediamenti. Soprattutto quelli di più severo impatto sull'equilibrio territoriale della nostra provincia.

Ad esempio di posti di lavoro, in cambio dell'approdo a Borgarello del megacentro commerciale, hanno parlato tutti i sindaci che si sono succeduti nella località pavese a ridosso della Certosa. E, sempre dei possibili posti di lavoro che si renderebbero disponibili, si fanno scudo i pubblici amministratori che sul fronte delle località sparse tra il vigevanese e il mortarese sono alle prese con la discesa verso la campagna lomellina delle attività più invasive - logistica, distribuzione commerciale, discariche per trattamento rifiuti - della vicina metropoli milanese.

Che sia in corso una partita tra Milano e il nostro territorio, e non certo da oggi, è ormai visibile a tutti.

I confini della provincia di Pavia - sul suo bordo milanese - nel corso degli anni sono stati urbanisticamente segnati, e talvolta feriti in modo irreparabile, da modelli espansivi di cementificazione, celebrati secondo il rito ambrosiano «della cazzuola e del cemento». Modelli che dopo aver fatto scempio della Brianza si sono rivolti verso di noi. Verso il Pavese, la Lomellina e, seppure con modalità diverse, l'Oltrepo.

Chi vuole vedere le conseguenze di questo modello - solo in parte frenato dalla costituzione di quel parco sud Milano di cui ora si vogliono limare i confini - si faccia un giretto dalle parti di Siziano. Veda quello che in un ventennio ha depositato su quel territorio - non solo di cemento ma anche di problemi di sicurezza e vivibilità - l'espansione milanese secondo la versione «cazzuola e cemento, non me ne pento».

E' probabile che gli scenari che bussano alla porta della Lomellina, o di altri segmenti del Pavese, vogliano replicare questi fasti assai nefasti, inserendoli a tasselli sparsi e separati, comune per comune, progetto per progetto, mimetizzando con variegate specificità e generici vantaggi (i posti di lavoro, appunto), un'offensiva che nel suo insieme sta mutando gli assetti fondamentali del nostro territorio.

In gioco sono amplissime zone della nostra provincia, ambiti che rappresentano le terre da coltivare più pregiate di tutto il Paese e alle quali sono radicate potenzialità produttive e collegate vocazioni territoriali non riproducibili altrove. E tutto questo - accadendo nella disattenzione dei più - finisce con l'essere messo in gioco definitivamente. In cambio di contropartite miserabili e dall'impatto devastante. L'interrogativo a cui tutti dovremmo rispondere - adesso, non tra dieci anni - se la vivibilità delle nostre località può essere barattata per qualche incentivo vago, per promesse generiche che non solo non raddrizzano situazioni occupazionali e sociali ma che sicuramente bloccano svolte verso scenari di qualità non disgiunta dalla sostenibilità.

A questo punto sarebbe compito della politica, della cultura, della ricerca e delle professionalità, mettere a confronto i vari modelli con cui concretamente - nel corso degli anni - si è giocata la «guerra dei bordi» tra la metropoli milanese e il territorio pavese.

Perchè non sempre questa guerra è stata persa. E oltre ai modelli nefasti, da raccontare per luoghi e magari per nomi e cognomi, sarebbe tempo di fare emergere il contraltare degli scenari alternativi, delle sfide che sono in corso e che fanno ben sperare. Soprattutto quando vengono giocate sulla rinaturalizzazione del territorio come si sta tentando, ad esempio, attorno a Giussago.

O quando sono declinate sul restauro rigoroso e non brutalmente speculativo di insediamenti di grande caratterizzazione come si è registrato in certi borghi d'Oltrepo, in dimore storiche del Pavese e della Lomellina. O quando si procede nel riuso rispettoso delle cascine come sedi di nuove imprese alla ricerca di insediamenti di alta qualità ambientale (anche questo succede, in quel di Pavia).

Di questi modelli concreti - di insediamenti produttivi di qualità, di manutenzione dell'esistente, di restauro di ciò che è pregiato e radicato al nostro passato, di sicurezza legata al rinsaldarsi effettivo di comunità vivaci e dinamiche - si dovrebbe parlare ora. Perchè su questo terreno, con questi dossier aperti, che la crisi, squarciando i veli di scenari non più sostenibili, indica le opportunità. Quelle nascoste, e nuove, anche per il territorio di questa provincia.

Nota: quello che abbastanza esplicitamente Boatti racconta è solo l'avanguardia delle aspettative cementificatrici, da parte dei soliti interessi lombardi di "sviluppo del territorio". Per l'area pavese gli arieti di sfondamento finale saranno (ti spera di no, ma si teme di sì) l'inutile Broni-Mortara e per il cuscinetto del Parco Sud, naturalmente, la Zia T.O.M.; del resto basta guardare la tavola Regione Urbana del Piano di Governo del Territorio di Milano per capire (nella logica devastante degli interessi che comandano) cosa aspetta tutti quanti. Salvo che qualcuno ci ripensi, ma non pare proprio che sia così (f.b.)

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