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Marvi Maggio
La casa a Firenze. Alloggi in affitto: a che prezzo?
6 Gennaio 2009
Firenze
La sintesi di un saggio dell’esponente dell’International Network for Urban Research and Action (INURA): una critica alla politica della casa del Comune. In calce il testo integrale

”Vedendo come viene soddisfatto il bisogno di un tetto, possiamo avere la misura del modo con cui vengono soddisfatti tutti gli altri bisogni” (F. Engels)

Nell’area fiorentina vivono un totale di 600.000 persone: 378.000 nel Comune di Firenze e 224.000 nei comuni circostanti. Ci sono 6.000 famiglie con sfratti esecutivi a Firenze e 8.900 nell’area fiorentina; all’ultimo bando per le case popolari sono state presentate circa 4.200 domande. Mille persone vivono in case occupate “abusivamente”, e sarebbero senza casa se non fosse per il Movimento di lotta per la casa di Frenze.

A Firenze i valori immobiliari sono fra i più elevati e speculativi d’Italia. Dati Nomisma per il 2004 indicano prezzi di 8.700 euro a mq. per il residenziale nelle zone di massimo pregio e 430 euro a mq. all’anno di affitto (rendimento 4,9%), ed un prezzo medio di 2.819 euro a mq., con affitto medio di 155 euro a mq. all’anno (rendimento 5,5%). Il censimento del 2001 indica la presenza nel Comune di Firenze di 170.000 abitazioni occupate. Sono invece ben 15.000 le case sfitte di cui 6.000 nel centro storico. Una quantità ben superiore alle utenze non attive pari a 4.000 abitazioni.

Di fronte all’emergenza abitativa gli interventi vanno calibrati con attenzione.

Il Bando “20.000 case in affitto” riguarda l’attuazione a livello comunale del Programma di edilizia sperimentale denominato "20.000 abitazioni in affitto", approvato dal Governo con Decreto Ministeriale del 27 dicembre 2001. Nel Comune di Firenze le aree coinvolte sono nove, di cui una destinata alla sola vendita. L’ipotesi è di risolvere la domanda di chi non può accedere ai bandi per le case popolari né al mercato “libero”.

Il programma prevede finanziamenti e facilitazioni di Stato, Regione, Comune ai consorzi di imprese che realizzano casa da affittare a prezzi inferiori a quelli concordati.

Su un totale di 54.066 mq. di edilizia abitativa realizzata con il programma a Firenze: 28.213 mq. sono di case in vendita a prezzi di mercato (!) e 25.663 mq. sono di case in affitto;

- Aree a servizi pubblici (standard), agricole, a parco e un’area industriale occupata dal centro sociale autogestito Ex Emerson sono state trasformate in aree per abitazioni, utilizzando 9 varianti al PRG;

- 45% del costo complessivo delle costruzioni è finanziato da stato e regione (il finanziamento è calcolato sulla S.C. cioè superficie complessiva che è costituita dalla superficie utile abitabile aumentata del 60% della somma della superficie non residenziale e della superficie parcheggi (Sc= Su + 60% (Snr+ Sp)); i massimali per l’edilizia agevolata prevedono un costo di costruzione di 1433 euro a mq. di superficie complessiva, mentre il Progetto operativo Regionale prevedeva un massimale di 1044 euro a mq.;

- Tutti e 9 i progetti godono oneri di urbanizzazione primaria e secondaria ridotti del 40%; il residuo 60% se non impegnato per la realizzazione delle opere di urbanizzazione da parte dell’operatore stesso verrà dilazionato in 5 anni secondo modalità e tempi concordati con il Comune; il contributo sul costo di costruzione non è dovuto; l’imposta ICI sarà rimborsata all’operatore nella misura del 40% per un periodo di 10 anni;

- Fra le 9 aree una è solo per case in vendita (via de Pinedo).

- Nelle 9 convenzioni fra amministrazione e imprese (approvate dalla Giunta) manca l’obbligo a praticare affitti ridotti del 25% rispetto a quello concordato. Al contrario nella bozza di convenzione approvata in Consiglio Comunale l’articolo c’era. Appare grave che manchi il vincolo dell’affitto ridotto del 25% che dovrebbe essere la ragione per cui è stato messo in opera tutto questo marchingegno. E poi il vincolo all’affitto è a tempo indeterminato, ma per quanto durerà?

- Gli affitti saranno del 25% inferiori a quelli concordati fra associazioni dei proprietari e sindacati degli inquilini (che a Firenze variano fra un minimo di 2 a un massimo di 11,36 euro, quindi nulla a che fare con i prezzi dell’edilizia popolare che è giustamente una percentuale del reddito) ma i promotori immobiliari hanno ottenuto che la fascia contrattata sia quella massima prevista. Inoltre l’accordo vigente del 2004 deve essere rivisto ogni 3 anni e il rischio è che gli affitti lievitino tanto da annullare la riduzione del 25%;

- Per accedere al bando gli inquilini devono avere un reddito compreso fra i 13.000 (pari a 18.000 euro lordi) e i 38.734. Questo vincolo è finalizzato ad assicurare ai proprietari il pagamento degli affitti, ma chi ha il reddito minimo richiesto farà fatica a pagarlo.

La rendita urbana e il diritto di costruire

“…la città è una proprietà comune dei suoi abitanti. E’, in senso economico, un bene pubblico… il valore astronomico assegnato al centro della città emerge solamente dal fatto che è al centro delle attività di milioni di persone. Loro, non i proprietari, hanno creato questi valori, che evidentemente appartengono ai cittadini” (Colin Ward)

La prima cosa che l’amministrazione dà, quella che fa guadagnare da sempre di più è il cambio di destinazione: perché un’area a servizi pubblici o un’area agricola, tanto più se vincolata per il valore ambientale, costa molto meno di una edificabile. E se non ci fossero state questi 25.663 mq. di case in affitto, neppure poi così basso, questo cambio di destinazione sarebbe stato più difficile. Questo è il regalo più grosso: la rendita urbana (assoluta), cioè il valore che il terreno assume solo per essere stato definito edificabile dall’amministrazione.

Quasi tutte le aree di Firenze su cui verranno realizzati i progetti delle 20.000 case in affitto, prima delle varianti al Piano Regolatore Generale vigente, erano vincolate alla realizzazione dei servizi pubblici in base allo standard di legge: attrezzature della pubblica amministrazione (un caso), verde pubblico e sportivo (tre casi), aree di particolare interesse culturale interne al parco storico della collina e parco dell’Arno (due casi), scuola superiore dell’obbligo (un caso), attrezzatura ricreativa, cinema, teatro (2 casi). Ci sono poi un’area agricola con particolare interesse culturale e una agricola produttiva. Le 9 varianti al PRG hanno sottratto aree destinate a servizi e aree agricole e aree a parco. E la variante che investe l’area del centro sociale autogestito dell’ex Emerson coinvolge un servizio pubblico esistente.

Gli “standard” del Decreto Ministeriale del 1968 sono quel minimo di servizi pubblici che i comuni sarebbero obbligati a garantire e non a caso sono quelli che la legge sul governo del territorio nazionale chiamata legge Lupi, approvata dalla Camera dei deputati il 28 giugno 2005, ma non dal Senato, avrebbe voluto eliminare definitivamente. Bene: il Comune di Firenze, ha deciso che visto che gli standard nel PRG erano di progetto, solo sulla carta, erano inutili e quindi il vincolo sulle aree in cui realizzarli si poteva eliminare. Nel Piano Strutturale di Firenze si afferma che i servizi pubblici previsti dagli standard del 1968, sono schematici, ma invece di prevedere servizi e spazi pubblici più appropriati questo discorso serve per sostituirli con un vago “sistema integrato” di attrezzature e servizi offerti da pubblico e privato. E questo delle case in affitto non è l’unico esempio di soppressione di aree per servizi. Anzi il Comune ha trovato gli “intellettuali” che hanno anche fornito la giustificazione teorica: le quantità non bastano, bisogna parlare di qualità, di prestazioni, ogni località ha bisogno di standard diversi. Può esserci del vero ma il risultato finale è che si afferma che la prestazione la può offrire anche il privato e quindi via alla privatizzazione dei servizi; l’amministrazione non ha soldi per espropriare e quindi è inutile che vincoli delle aree che non esproprierà mai, l’unica cosa che può fare è lo scambio: chi costruisce deve concedere al comune le aree per servizi. Peccato che in questo modo si leghi la realizzazione di servizi sociali alla costruzione di edifici non sempre così necessari e opportuni, che, come si sa, non vengono realizzati per rispondere ai bisogni abitativi ma come risposta alla domanda di investimento che guarda a chi paga e non a chi ha bisogno. Peccato che troppo spesso lo scambio sia impari ed iniquo: come se le pubbliche amministrazioni non sapessero contrattare o come se i rapporti di forza fossero così smisuratamente a favore della proprietà fondiaria e delle imprese immobiliari che il risultato non è mai seriamente a vantaggio della collettività.

La domanda da porsi è: quanto è costato l’intervento in termini di risorse pubbliche, sottrazione di beni pubblici e cosa si è ottenuto in cambio? Invece di investire tutti questi milioni di euro, a cui vanno sommati gli sconti su opere di urbanizzazione e gli sconti sull’ICI e non ultimo gli aumenti di valore dei suoli, le rendite urbane, (regalate attraverso i cambi di destinazione e le quantità edificatorie) per ottenere 368 case da affittare con una riduzione del 25% rispetto a un prezzo che se ci fosse un po’ di decenza sarebbe normale e soddisfacente per i proprietari, sarebbe stato possibile usare queste stesse risorse per costruire case in affitto di proprietà pubblica da affittare a prezzi accessibili ai bassi redditi e quindi svincolate dai prezzi di mercato? Non sembra che queste case in affitto alle condizioni su esposte siano costate un po’ troppo care?

Il “libero” mercato.

Progetti di questo tipo non riducono i prezzi degli affitti, non fanno da “calmiere” perché non modificano i diritti e i doveri delle parti coinvolte, imprese che affittano e inquilini.

Il pianificatore ed economista inglese Michael Edwards, afferma che mentre ci sono relazioni di mercato brutalmente chiare, “esse sono talvolta ingannevoli, essenzialmente perché un accordo fra due persone, per vendere e comprare, ha l’apparenza superficiale di uno scambio volontario e libero. Adam Smith ha sostenuto che la mano nascosta del mercato opera attraverso individui che perseguono il loro proprio interesse e fanno affari che lasciano entrambe le parti più ricche. Tuttavia questa visione del mercato ignora l’equilibrio di potere fra compratore e venditore (che può rendere lo scambio tutto tolto che equo) e ignora tutto quello che determina il prezzo di mercato dominante: l’equilibrio generale di potere fra compratore e venditore. Il lavoratore ha poca scelta nell’accettare un lavoro pagato male se le paghe basse sono le sole disponibili. Il contadino deve accettare il prezzo di mercato per i suoi animali se è quanto offrono tutte le catene di supermercati…”

Le due parti, proprietario e inquilino, si presentano sul “libero mercato”, ma chi definisce il prezzo? Quello della casa è un mercato monopolistico e per l’inquilino non c’è che prendere o lasciare. La truffa della proprietà della casa significa solo che con il mutuo (uno dei maggiori introiti per le banche) il limite del prezzo si eleva, perché si può allungare, quasi a dismisura, il periodo di tempo per pagarlo. Quanti dell’80% di proprietari di casa in Italia in realtà sta ancora pagando il mutuo e lo pagherà ancora per molto? E che effetti ha l’impossibilità di trovare casa a prezzi commisurati ai (magri) redditi, sull’inizio (in tarda età) della vita autonoma dei giovani in Italia?

Ma i rapporti di forza possono essere modificati e un’amministrazione locale e regionale potrebbe fare molto in questo senso. Anzi ridurre le rendite dovrebbe essere la parola d’ordine di qualsiasi governo sia pur debolmente favorevole a ribaltare la situazione delle classi subalterne.

L’idea di ancorare l’affitto al reddito è un modo per svincolare il rapporto domanda ed offerta dallo strapotere (pozzo senza fondo) dell’offerta, che non ha nessun rapporto con la domanda d’uso, se mai con quella di investimento.

Che fare? E cosa non fare.

Soluzioni strutturali e non contingenti alla questione della casa e dello spazio pubblico e sociale richiedono la drastica riduzione dei prezzi delle aree e degli immobili. Liberare lo spazio dalla rendita urbana e dal profitto immobiliare richiede di modificare i rapporti di forza fra capitale, lavoro, proprietà fondiaria, fra profitto, salario e rendita e di cambiare le regole del gioco.

Come farlo? Quali strumenti e azioni sono necessarie? La storia della pianificazione urbana e territoriale è anche storia del rapporto fra domanda sociale e rendita.

Quale politica abitativa si può proporre per l’Europa, che non ne ha una? Una proposta che non cerchi una (ghettizzante) soluzione per ogni segmento della domanda sociale ma ne trovi una capace di liberare spazio per i (differenti) valori d’uso per i (diversi) abitanti.

L’aumento dei prezzi delle aree e degli immobili, è un indice certo del fallimento del governo del territorio. L’abbassamento dei prezzi può essere ottenuto assumendo razionalità sociali invece che di mercato. Come per i servizi sociali, per le abitazioni si deve ammettere che il mercato capitalistico non è adatto a mediare la risposta ai bisogni e che si deve agire fuori dalle sue regole.

Le note e la bibliografia sono nel testo integrale, qui sotto scaricabile

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