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Dario Predonzan
F-VG. Prove tecniche di “federalismo urbanistico”
20 Dicembre 2008
Proposte e commenti
Un’analisi per eddyburg della nuova legge urbanistica del Friuli-Venezia Giulia. Molte ombre e qualche luce nel prodotto della maggioranza di destra

Molte ombre nella recente legge regionale n. 12 del Friuli Venezia Giulia, che ha modificato – in parte - la precedente (e anch’essa recente) legge n. 5 del 2007 in materia di urbanistica, edilizia e paesaggio.

La proposta iniziale è stata presentata dai capigruppo della maggioranza di centro-destra (PDL, LN, UDC e gruppo misto), la stessa che ne ha imposto l’approvazione in gran fretta. Contrarie le opposizioni di sinistra e centro-sinistra, più che altro in nome della difesa della precedente legge 5, fortemente voluta dalla maggioranza che reggeva la Regione fino alle elezioni dell’aprile 2008 e assai criticabile per molti aspetti. Ad esempio per le procedure inutilmente complesse introdotte nella pratica urbanistica comunale, così come per i contenuti al tempo stesso ridondanti, pericolosi (l’enfasi ossessiva su alcune grandi infrastrutture) e inefficaci (dal punto di vista della tutela del paesaggio) del Piano territoriale regionale, che dalla legge deriva.

Cambiata la Giunta regionale, si sarebbe trattato di mettere mano alla legge 5 e al PTR, semplificandoli laddove necessario, ma soprattutto correggendoli per renderli efficaci nell’affrontare le vere emergenze: l’abnorme consumo di suolo per l’espansione delle aree urbanizzate (mentre la popolazione è numericamente stabile da decenni) e il conseguente degrado del paesaggio.

Nulla di tutto ciò si rinviene nella nuova legge, il cui principale intento è invece quello di permettere “il pieno svolgimento della funzione pianificatoria territoriale dei Comuni”, che si sostiene essere impedito dalle norme della legge 5, laddove queste subordinano la possibilità di formare nuovi piani regolatori - o varianti degli stessi – al recepimento da parte dei Comuni delle indicazioni del Piano Territoriale Regionale (PTR). Il quale, adottato nell’ottobre 2007, non è stato però approvato e quindi non è entrato in vigore.

In realtà, anche la legge 5 (o meglio il suo regolamento di attuazione) permetteva, in attesa dell’adeguamento al PTR, l’adozione di varianti “non sostanziali” ai piani regolatori, con incrementi fino al 10 per cento per le zone urbanizzate (residenziali, industriali, commerciali, ecc.).

La nuova legge aumenta fino al 20 per cento questa “flessibilità” per quasi tutti i Comuni, salvo quelli con popolazione superiore a 15.000 abitanti (vale a dire Trieste, Udine, Pordenone, Gorizia e Monfalcone), per i quali rimane il limite del 10 per cento. Che comunque non è poco … Non solo: una norma transitoria della legge 5 ammetteva la possibilità, per i Comuni, che avessero adottato delibere di direttive prima dell’entrata in vigore della nuova legge, di formare e approvare le varianti ai propri strumenti urbanistici secondo le procedure della vecchia legge 52/1991 (e praticamente tutti i Comuni lo avevano fatto…).

Evidentemente, però, a qualcuno non bastava ancora ed ecco quindi la nuova legge 12/2008, motivata ufficialmente con la necessità di “far uscire dalla paralisi la pianificazione locale dei Comuni” ed “evitare danni al sistema economico e produttivo”.

La legge esclude riduzioni di superficie per le zone forestali e di tutela ambientale, ma non per quelle agricole, quando è noto che sono soprattutto queste ultime a soccombere – da decenni – sotto l’assalto del cemento e dell’asfalto. Non per nulla, le statistiche dell’Agenzia protezione ambiente e territorio – APAT oggi ribattezzata ISPRA – sebbene compilate con metodologie sommarie, che sottostimano l’entità del fenomeno, indicano proprio nel Friuli Venezia Giulia una delle Regioni italiane con la maggior percentuale di territorio agricolo sacrificato all’urbanizzazione, superata soltanto da Veneto e Lombardia.

Basti dire che solo tra il 1990 e il 2000 l’incremento nell’estensione delle aree urbanizzate a scapito di quelle agricole è stato pari ad oltre 3.426 ettari, cioè il 55 % di quello registrato in Veneto e il 66 % di quello della Lombardia, benché il territorio del Friuli Venezia Giulia sia pari soltanto al 43 % di quello veneto e al 33 % di quello lombardo. Nello stesso arco di tempo, peraltro, l’estensione delle aree boschive e semi-naturali in Veneto e Lombardia è aumentata (sia pure di poco), mentre in Friuli Venezia Giulia è diminuita di 257 ettari.

Va detto poi che i comuni con meno di 15.000 abitanti rappresentano la quasi totalità del territorio regionale, in particolare di quello agricolo e naturale (si pensi alle zone montane, a quelle lagunari, alle aree fluviali, ecc.). Allentare le redini nei loro confronti, non rappresenta certo un buon servizio reso alla corretta e razionale gestione del territorio. Chiunque si sia anche superficialmente accostato al problema, sa infatti che sono proprio i Comuni il principale “motore” delle cementificazioni e della distruzione del paesaggio. Basta fare un giro per la regione e avere occhi per vedere, per accorgersi degli scempi compiuti (e che si continuano a compiere), con le villettizzazioni nelle aree costiere, la proliferazione di aree commerciali nelle periferie e in aperta campagna, la “saldatura” edificatoria tra un centro abitato e l’altro lungo gli assi viari, ecc. Soprattutto, con la progressiva scomparsa del paesaggio agrario, seppellito e stravolto da miriadi di capannoni artigianal-industrial-commerciali, con l’inevitabile corredo delle infrastrutture connesse (strade di ogni genere e dimensione, piazzali di parcheggio, linee elettriche, tralicci di antenne per telefonia, ecc.).

Anche in Friuli Venezia Giulia, quindi, avanza a grandi passi il modello della “città diffusa”, che ha già devastato il vicino Veneto e in varia misura l’intera pianura padana, producendo degrado estetico – quando non totale distruzione - dei luoghi, scomparsa delle condizioni minime di sopravvivenza degli ecosistemi naturali, insostenibile congestione da traffico, e quindi anche gravi inefficienze sul piano prettamente economico. Tutto ciò non dipende soltanto dalla pressione politico-economica che il comparto dell’edilizia (e della speculazione immobiliare) esercita su amministrazioni comunali spesso prive anche di un minimo spessore culturale per opporvisi. Deriva com’è noto anche dalla dipendenza, in moltissimi casi determinante, dei bilanci comunali dalle entrate dell’ICI e da quelle degli oneri di urbanizzazione. Il che ovviamente incentiva i Comuni ad urbanizzare quanto più possibile, per finanziare la “macchina” comunale ed i servizi erogati ai cittadini. L’abolizione dell’ICI sulla prima casa non ha certo intaccato questo perverso legame tra finanze comunali e cementificazione del territorio (i Comuni favoriranno, anzi, ancor di più le urbanizzazioni a fini commerciali e produttivi, la proliferazione dei capannoni, ecc.), mentre un ulteriore contributo al disastro viene dalla norma demenziale, in base alla quale il 75 per cento degli introiti derivanti dagli oneri di urbanizzazione - anziché essere destinati alla realizzazione di fognature, aree verdi, ecc. - possono essere dirottati alla copertura delle spese correnti dei Comuni.

Una riforma davvero federalista dovrebbe affrontare prioritariamente questo genere di problemi, individuando forme di tassazione locale, che garantiscano il funzionamento dei Comuni, senza incentivare la distruzione del territorio. Non è questa, purtroppo, la priorità dei “federalisti” nostrani i quali, se lo fossero davvero, dovrebbero sapere meglio di tutti che il territorio ed il paesaggio sono – anche – il deposito di valori identitari fondamentali per una comunità. Proprio sulla difesa dell’identità, del resto, molti federalisti di casa nostra hanno costruito le loro fortune politiche: peccato che si tratti esclusivamente di una difesa contro le “contaminazioni” e l’”insicurezza” prodotte dal contatto con culture diverse (immigrati, altri italiani, ecc.). Nessuna attenzione pare vi sia, invece, per le aggressioni che l’identità di una comunità subisce dal proprio interno, per esempio appunto con il degrado progressivo dei luoghi, motivato magari da interessi economici di pochi che fanno leva sul menefreghismo e sull’ignoranza di molti. In un recente incontro con un assessore regionale del Friuli Venezia Giulia (non quello competente in materia di urbanistica, ma comunque un federalista “doc”), il WWF si è sentito dire che “una comunità dev’essere padrona di fare quello che vuole del proprio territorio. Se decide di trasformarlo in una grande discarica, è giusto che lo possa fare”. Ogni commento pare superfluo.

Pericolose sono anche altre norme della legge 5, come quella che esclude il controllo della Regione sui piani regolatori di tutti i Comuni montani e di quelli con popolazione inferiore a 2.500 abitanti, i quali rappresentano la maggioranza del territorio regionale, proprio nelle aree di maggior pregio naturalistico e paesaggistico.

Ancora: viene rinviata sine die la stesura della “relazione sullo stato del territorio” da parte dei Comuni (strumento viceversa utilissimo per la conoscenza dello stato della pianificazione, introdotto dalla legge 5/2007), mentre perdura un sostanziale lassismo in materia di delega ai Comuni delle autorizzazioni paesaggistiche. E non si può certo dire che la maggioranza dei Comuni abbia ben operato in questo campo, visti gli ampi poteri già ottenuti con la legge 52 del 1991

Tra i pochi aspetti positivi della legge 12/2008, il recupero della facoltà (eliminata dalla legge 5/2007) di imporre norme di salvaguardia anche contestualmente all’emanazione delle direttive per la formazione dei piani regolatori e delle varianti. Uno strumento importante nelle mani di Comuni che vogliano davvero proteggere il proprio territorio dallo strapotere della speculazione edilizia. Sempre che lo vogliano utilizzare davvero. Positivo poi il ritorno alla competenza dei Consigli comunali (la legge 5/2007 l’attribuiva alle Giunte) nell’approvazione dei piani particolareggiati.

Rimane però il “buco nero” della pianificazione d’area vasta, che è sinonimo soprattutto di piano paesaggistico (inesistente in Friuli Venezia Giulia). Sospeso nel limbo il PTR adottato nel 2007, ci si deve accontentare delle dichiarazioni di alcuni politici, secondo cui una nuova stesura del piano sarà pronta “entro due anni”, mentre ad un non definito futuro è rinviata anche una riforma organica dell’intera materia urbanistica. E’ verosimile che si intenda - in realtà – aspettare la nuova legge quadro annunciata a livello nazionale: si tratta ovviamente della riedizione della famigerata “legge Lupi”!

Maggiori informazioni e documenti sull’argomento nel sito del WWF Friuli Venezia Giulia: www.wwf.it/friuliveneziagiulia

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