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Miniere in Sardegna: Deserta la gara per la vendita, saranno date in concessione
25 Novembre 2008
La Sardegna di Renato Soru
Sarebbe bello se i governanti che sbagliano riconoscessero e correggessero i loro errori, come ha fatto Renato Soru! Due articoli da la Nuova Sardegna del 5 aprile 2007

Ex miniere, nessuno va alla gara

di Giampaolo Meloni

IGLESIAS. Masua resterà come è: «Un museo naturale, e ne sono ben felice», dice Renato Soru. Il destino di questo tassello della storia mineraria abbarbicata sul mare è segnato dall’esito del bando internazionale per il recupero e la valorizzazione turistica dei siti minerari dimessi del Sulcis Iglesiente e dell’area Ingurtosu: la gara, in scadenza a fine marzo dopo la proroga di un mese, è andata deserta, nessuna proposta è arrivata sul tavolo della Regione. Dunque la procedura è approdata a formale compimento. Ma il bando sarà riformulato, Masua esclusa.

Ci sarà però un aggiustamento nella struttura del bando “Luxi” (così era stato denominato), al quale la giunta pensa di poter cominciare a lavorare in tempi brevi. Il punto sul quale si corregge la rotta è nella prospettiva che l’esecutivo aveva previsto attraverso la modulazione del testo e che aveva innescato una sequenza di polemiche: «La nostra attenzione rimane intatta per i centri della fascia più interna che avevano mostrato interesse e auspicio per lo sviluppo turistico», ha osservato Soru. La parte del bando che riguarda Ingurtosu e le zone di Buggerru saranno tutte destinate a interventi di valorizzazione. La modifica sostanziale nella nuova formula della gara internazionale sarà nell’assegnazione dei siti: i “gioielli” del patrimonio minerario dismesso finiranno sul mercato non con la formula della vendita ma attraverso la “concessione”, come dire, in affitto per un periodo determinato.

La sostanza del bando cambia, ma l’indirizzo politico della giunta trova conferma come era stato in realtà già delineato. Proprio Soru e l’assessore dell’Urbanisitca Gianvalerio Sanna lo avevano dichiarato alla Nuova in una intervista congiunta a fine dello scorso giugno: «Lavoreremo per la concessione». Una strategia maturata anche per rispettare le osservazioni (in qualche caso anche polemiche forti) che sull’argomento avevano preso corpo da diversi ambienti, sia sindacali (con le manifestazioni della Cisl in piena estate), sia politiche (il centrodestra in consiglio regionale: vogliono svendere le aree minerarie) e alcune associazioni culturali.

«Dirotteremo gli investimenti previsti per Masua verso i centri abitati di Nebida e Buggerru, previo accordo con i rispettivi amministratori locali - ribadisce il presidente della Regione Renato Soru -. Per Ingurtosu verrà rifatto il bando tenendo conto della spinta e delle sollecitazioni arrivate negli ultimi mesi per evitare la vendita e a prevedere invece la formula della concessione dei siti».

Le tre società che avevano presentato una manifestazione di interesse per Masua e avevano anche visitato il sito minerario dismesso (Pirelli Real Estate, Immobiliare Lombarda e il fondo immobiliare Hines Italia, mentre una cordata sarda era rimasta esclusa fin dall’inizio per inghippi procedurali), non si sono presentate all’appuntamento fissato l’ultimo giorno di marzo, dopo la proroga di un mese che era stata chiesta dalle stesse società che avevano inizialmente mostrato interesse e quindi a fine febbraio chiesto di potere ancora pensare all’iniziativa. Ma al traguardo nessuno si è presentato.

Soru non accoglie il fatto con amarezza. Anzi, appare ben lieto di poter assecondare la sollecitazioni a non costruire sulla costa, anche in questo caso, perchè, spiega, «si tratta di una richiesta che proviene dalle sensibilità del territorio». E di quelle obiezioni si è tenuto conto: «Non abbiamo più lavorato al bando che oltre ad essere stato contestato da parte sindacale - ha chiarito Soru - ha avuto critiche per la mutata sensibilità ambientale. La consapevolezza della tutela della costa è cresciuta e non solo sono d’accordo, ma ne sono felice».

La gara interessava due compendi, quello dell’area di Masua e Monte Agruxau, su una superficie di circa 318 ettari, dove sarebbe stato consentito il recupero e la realizzazione della volumetria esistente sino al limite massimo di 120mila metri cubi per Masua e 40mila per Monte Agruxau, per un totale massimo di 160mila metri cubi. Il secondo riguardava Ingurtosu, Pitzinurri e Naracauli, per una superficie di circa 329 ettari. In questo sito sarebbe stato consentito il recupero e la realizzazione della volumetria esistente sino al limite massimo di 30mila metri cubi per Ingurtosu e 70mila per Pitzinurri e Naracauli, per un totale non superiore a 100.000 metri cubi. L’importo a base d’asta era di 32 milioni e 520mila euro per Masua e Monte Agruxau e di 11 milioni di euro per Ingurtosu, Pitzinurri e Naracauli.

Nelle procedure del bando internazionale si è innescato il contenzioso sulle bonifiche delle aree inquinate dall’industria mineraria: gli interventi sarebbero stati curati con il controllo regionale attraverso le società Igea e Ati-Ifras (dove operano i cinquecento ex minatori), o affidati agli acquirenti privati (con il conseguente prevedibile licenziamento dei lavoratori). La Regione aveva previsto nel bando sia la garanzia di interventi per i primi e sia il compito parziale di avrebbe acquistato. Ma sindacati e lavoratori non sin sono fidati troppo e hanno innescato una vertenza sofferta a tutela del proprio impiego.

Anche su questo fronte il presidente Soru nella tarda serata di ieri, con riferimento alle due società Igea e Ati-Ifras, ha voluto rassicurare le comunità locali: «Le bonifiche si faranno e saranno realizzate attraverso gli strumenti di cui disponiamo». Ma c’è di più. L’argomento non sarà liquidato facendo ricorso alle casse pubbliche, che pure dovranno intervenire, ma si aprirà probabilmente un confronto (se non anche un contenzioso) con chi ha la responsabilità dell’inquinamento, ovvero le società minerarie che hanno esercitato l’attività abbandonando poi i luoghi con il carico dei veleni. Tra queste primeggia l’Eni, che nel 1993 chiuse le miniere e fece le valige lasciando sul posto (in verità con molti consensi) le ferite dell’inquinamento senza nulla risarcire. Prospettiva che si potrebbe aprire in un futuro non troppo lontano.

Quel sogno non è svanito

di p.p.

IGLESIAS. Far sorgere fiorenti attività turistiche dove un tempo c’erano le miniere: che idea! Più che un progetto è stato un sogno coltivato per molto tempo. Sembrava una sorta di parabola evangelica: nei luoghi che furono un inferno di fatiche durissime sotto terra finalmente c’era la possibilità fare il salto. Quasi una redenzione. Dalle tenebre alla luce. Quella del sole e dell’aria aperta e mare pulito che può accogliere vacanzieri spensierati in quell’angolo di paradiso.

L’idea circolava già nel tempo in cui Mauro Pili era sindaco di Iglesias. Chiuse le miniere bisognava capire che cosa fare e come farlo. In sostanza bisognava trasformare quel sogno in progetto reale. Lo ha fatto l’amministrazione regionale guidata da Soru preparando le carte necessarie a far partire un bando d’asta internazionale.

Attenzione. Non un progetto per cementificare ma per impiegare al meglio il 60% delle volumetrie esistenti. E già solo la notizia (era l’aprile del 2006), dell’asta internazionale per il recupero e la valorizzazione dei beni minerari dismessi di Ingurtosu, Naracauli e Pitzinurri ha creato subito un clima di euforia tra gli amministratori comunali della zona. Ma anche qualche problema: il centro destra ha accusato Soru di svendere i pezzi migliori dell’isola ai suoi amici. I sindacati hanno posto il problema degli ex minatori: potevano, per esempio, essere loro a bonificare quei siti?

Le aree interessate dal bando nel territorio di Arbus appartengono al compendio ex minerario di Ingurtosu e hanno una vastità di 329 mila ettari, con una possibilità di intervento di recupero, ristrutturazione e adeguamento fino a un limite massimo di 100 mila metri cubi di volumetria, di cui trentamila a Ingurtosu e settantamila a Pitzinurri. Tutto quel bendiddio, spalmato su 47 chiloetri di costa di grande pregio ambientale, poteva finire al migliore offerente attraverso una gara che aveva base d’asta di undici milioni di euro.

La speranza di tutti era che a scendere in campo fossero nomi di prima grandezza della finanza e del turismo internazionale. A nessuno (Soru lo aveva dichiarato in maniera perentoria) interessava avere a che fare con mariuoli più o meno cammuffati. Quel bando poteva essere l’occasione per trasformare in paradiso un angolo di Sardegna sottoutilizzato sebbene apprezzato da un un crescente numero di ambientalisti e amanti delle aspre bellezze di quelle coste. E quel sogno non è ancora svanito.

p.p.

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