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Nello Ajello
Lezioni di democrazia
2 Luglio 2008
Scritti 2008
A colloquio con Gustavo Zagrebelsky su una serie di iniziative per celebrare l’anniversario dell’Unità d’Italia.La Repubblica, 29 aprile 2008

In occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, che cadrà nel 2011, un gruppo di intellettuali ha progettato una serie di iniziative, da rinnovarsi ad anni alterni, che si raccolgono sotto il nome di Biennale Democrazia. A collaborare all’iniziativa sono chiamati la città di Torino e il «Comitato Italia 150», già al lavoro nel capoluogo piemontese. Presidente di Biennale Democrazia è Gustavo Zagrebelsky. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Com’è nato, professore, il vostro progetto?

«L’idea è sorta fra un gruppo di amici, sulla scìa di un preciso precedente, cioè del ciclo di conferenze che si tenne a Torino nella primavera-autunno del 2004, dedicato alla figura di Norberto Bobbio e centrato su temi etici e politici. Ci impressionò, allora, l’interesse suscitato, anche fra la gente comune, dalla personalità e dall’opera di Bobbio. Nei due teatri, il Regio e il Carignano, che ospitavano le conferenze, affluirono migliaia di persone per conoscere nei particolari il pensiero del filosofo. Quella serie di interventi, di cui fu animatore Pietro Marcenaro, parlamentare del Partito Democratico, venne poi raccolta dall’editore Einaudi nel volume Lezioni Bobbio, uscito nel 2006. Abbiamo pensato di dare un seguito a quell’esperienza in un’accezione più ampia: non un semplice ciclo di conferenze, ma un lavoro continuativo, che si concreterà, ogni due anni, in una settimana di lezioni».

Quando esordirà la Biennale Democrazia?

«La prima sessione la terremo l’anno prossimo, dal 22 al 26 aprile: una settimana che incrocia l’anniversario della Liberazione. Sarà una sorta di prova generale delle celebrazioni previste per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Nel 2009 saranno cento anni dalla nascita di Bobbio. Alla base di tutto c’è l’aspirazione a considerare l’intera vicenda risorgimentale non solo nella dimensione statale e territoriale, già interamente realizzata, ma anche in senso etico-politico. Disegno, quest’ultimo, che rientra fra i compiti ancora da perseguire».

Due fasi distinte, dunque, dell’unificazione nazionale. Con quale rapporto fra loro?

«La democrazia è un insieme di aspirazioni mai realizzate una volta per tutte. Già l’unificazione geografica ha creato dei problemi, esemplificati per molti decenni dalla questione meridionale. Ed ecco che essa si presenta, oggi, in una nuova forma: come questione settentrionale. L’una e l’altra "questione" si legano fra loro come fattori confluenti di disgregazione. Ne risulterebbe un paese unificato nel desiderio di scindersi. I fondamenti di legittimità della nostra democrazia sembrano essere entrati in crisi, riducendosi nella pratica a motivi di discordia».

Certo, un bel paradosso. Anche perché risulta chiaro che non si tratta di una mera controversia territoriale, ma di una sostanziale contesa etico-politica.

«Un vero assetto democratico presuppone la tendenziale uguaglianza fra i cittadini. In Italia ci si trova, invece, di fronte a una situazione nella quale - a cominciare dalla disponibilità delle conoscenze - si verifica uno squilibrio crescente, acuito dallo sviluppo delle nozioni tecnologiche. Alla democrazia si contrappone, in molti casi, la tecnocrazia. Ciò riguarda la condizione interna di ciascuno stato, ma anche la democrazia a livello internazionale».

In che modo si presentano, particolarmente in Italia, questi problemi?

«Guardi lo stato in cui versa la scuola. Si cerca di risolverne le difficoltà mediante un approccio di tipo tecnico, privilegiando gli aspetti meramente professionali dell’insegnamento: si pensi, per dirne una, alla trovata delle tre «i», concepita nel 2002 da Silvio Berlusconi: inglese, internet, impresa. Un approccio d’indole esecutiva. La democrazia, invece, richiede cittadini capaci non solo di eseguire, ma anche di decidere che cosa realizzare, perché e come. E’ in questa prospettiva che va considerata la sfida che ci pone oggi l’istruzione».

L’immigrazione, accanto ai suoi riflessi positivi, presenta una fisionomia tale da aggravare simili inconvenienti. Come si pensa di farle fronte?

«Occorre integrare gli immigrati in uno stile di vita che non disconosca le loro particolarità, ma si fondi su un ethos minimo condiviso. Esso dovrebbe in primo luogo comportare la comune rinunzia alla violenza, che genera paura».

E viceversa. Ecco un circolo vizioso che va interrotto. Con quali interventi?

«Il vero antidoto è l’adozione di un tipo di sicurezza che non agisca a senso unico, ma quale componente d’un contesto generale. Riferiamoci a una proposta attuale: le ronde. Esse, che pure mirano a un obiettivo di sicurezza, diffondono violenza e moltiplicano la paura. Ciò appunto perché non rappresentano un rimedio di sistema. Risentono, al contrario, di pulsioni esclusive e "di parte"».

So bene che il tema democrazia è inesauribile. Ma quali proposte concrete avanzerete nella prima sessione della vostra Biennale?

«Pensiamo, per cominciare, proprio al coinvolgimento delle scuole. Prenderemo in esame le proposte provenienti dal mondo dell’istruzione: docenti e studenti. Riprodurremo e diffonderemo a Torino esperimenti attuati in altre zone d’Italia».

Può farmi qualche esempio?

«Eccone uno, denominato "le belle tasse": titolo che venne adottato in epoca non sospetta, prima cioè che il ministro Padoa Schioppa affermasse, con una battuta controversa, che "pagare le tasse è bello". L’esperimento si svolse fra gli allievi delle scuole elementari di Roma. A ciascuno scolaro fu assegnato un gruzzolo in monete di cioccolata per finanziare, mediante tassazione, un qualche progetto comune: una festa, una gita, una recita. Nacquero subito, fra i piccoli contribuenti, alcune domande: alla spesa dobbiamo partecipare tutti nella stessa misura, o qualcuno pagherà di più e qualche altro di meno? E ci sarà chi farà il furbo, evitando di contribuire? Sono, "in nuce", i problemi della democrazia fiscale, dal giusto gravame dei tributi all’evasione e all’elusione».

Avete in programma altre iniziative capaci di interessare ampi ceti sociali?

«Progettiamo di promuovere esperimenti di democrazia deliberativa, attraverso discussioni fra cittadini informati. Si fornisce a un campione di persone una serie di dati di conoscenza imparziali su un tema controverso: il voto agli immigrati, poniamo. Dopo aver sottoposto l’argomento a dibattito, si confronteranno i risultati della conversazione con le opinioni iniziali dei partecipanti. E’ un esempio dei progetti capillari che confluiranno nelle "lezioni magistrali" previste per la settimana. Ad assistere alle quali inviteremo qualche centinaio di studenti che abbiano partecipato alle iniziative preparatorie. Vorremmo, per ospitarli, predisporre un "campus" con la collaborazione del comune di Torino».

Torniamo ai presupposti ideali di Biennale Democrazia. In quale misura al conseguimento della seconda Unità d’Italia, quella etico-politica, potrebbe essere di ostacolo la funzione che in Italia esercita la Chiesa? Mi riferisco all’interventismo della Santa Sede nelle vicende pubbliche.

«L’unificazione cui pensiamo implica la partecipazione di tutti i soggetti portatori di istanze etiche. A patto che nessuna di queste forze si erga ad unico interprete autorizzato dell’ethos nazionale».

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