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E adesso che fare di fronte a un Proteo vincente?
27 Aprile 2008
2008-13 aprile, prima e dopo
Due lettere (di Giorgio Lunghini e Franco Cavalli) e la risposta di Valentino Parlato. "Innanzitutto cercare di capire come funziona la società di oggi". Il manifesto, 27 aprile 2008

Giorgio Lunghini

Caro Valentino, per la loro ammirevole semplicità mi hanno colpito due voci, quelle di Aldo Tortorella, a Firenze il 19 aprile, e di Pasquale Santomassimo, sul manifesto del 23 aprile. Ne riprendo qualche riga. Tortorella: «Ciò che è stato rovinosamente battuto in queste elezioni non è stata l'unità della sinistra ma un suo simulacro. L'unità plurale vuol dire certo riconoscimento della diversità ma contemporaneamente ricerca di un pensiero e di una pratica condivisi. Perciò è indispensabile ridiscutere dei fondamenti. Il che non significa parlare della luna, ma di ciò che preoccupa e angoscia le donne e gli uomini di questo nostro tempo: lavoratrici e lavoratori, precari e disoccupati, vecchi e giovani». Santomassimo: «È necessario proporre quello che soprattutto è mancato in quasi vent'anni di grandi passioni e battaglie, ma anche di dibattiti ripetitivi e inconcludenti: una idea di società realistica e praticabile, non confinata in un futuro lontano. Le immagini di lunghe traversate nel deserto e di viaggi di carovane sono molto belle e poetiche. Peccato che siano già state usate vent'anni fa, e che abbiano condotto esattamente al punto di partenza». Se non si parte di qui, aggiungo io, non si sta da nessuna parte e non si va da nessuna parte. Non parlare della luna, e ragionare circa un'idea di società realistica e praticabile, non confinata in un futuro lontano, è però un lavoro molto faticoso; un lavoro che richiede un'intelligenza e un'umiltà, di cui non dispone nessuno tra gli attuali dirigenti politici - parlamentari o extraparlamentari. Mi sembra un lavoro adatto per il manifesto.



Franco Cavalli

Caro Valentino, da inveterato sostenitore del manifesto e da ex-parlamentare socialista svizzero, mi permetto alcune osservazioni sul disastro elettorale della sinistra italiana. Questa sinistra dà l'impressione d'essere vecchia e stanca, soprattutto perché ha perso la sua caratteristica principale: il saper interpretare criticamente i cambiamenti sociali. O se dice di volerlo fare (vedi Veltroni), è solo per meglio giustificare lo slittamento verso la palude centrista. Tu hai già sottolineato un paio di macroscopiche deficienze d'analisi. Ne segnalo un paio d'altre, basandomi su esperienze più vicine alla mia. Così p. es. non si è mai voluto affrontare da un angolo di sinistra il nodo del federalismo, anche se si sogna Zapatero, che ha fatto di questo tema un'arma fondamentale contro i conservatori. Si fosse fatto questo lavoro, non si sarebbe forse gestito in modo sfacciatamente liberista il problema Malpensa, regalando centinaia di migliaia di voti a Bossi e Berlusconi. E che dire della schizzinosità nell'affrontare l'uso della democrazia diretta , arma importante per ricoagulare l'interesse collettivo di molti soggetti ormai atomizzati? E' solo con quest'arma che noi siamo riusciti a evitare la maggior parte delle privatizzazioni. Il manifesto, che è sempre stato antidogmatico, innovativo e non legato a alcuna setta, è forse una delle poche voci che possono rilanciare un dibattito critico. Anche per evitare che finisca come è finita molta sinistra storica in Sudamerica: se mi ricordo bene, a un dato momento in Argentina c'erano una quindicina di partiti trotzkisti!

ps: se tutti gli italiani avessero votato come quelli residenti in Svizzera, Bossi e Berlusconi non andrebbero al governo. Forse perché quest'ultimo, anche dai nostri media di destra, viene descritto come una specie di Caudillo sudamericano.

Franco Cavalli, Bellinzona (Svizzera)

La risposta di

Valentino Parlato

Franco Cavalli e Giorgio Lunghini sono compagni importanti e, da vecchia data, sostenitori del manifesto. Entrambi tentano e sollecitano una seria analisi del disastro elettorale in un giorno che potrebbe aggiungere sconfitta a sconfitta. Il voto di oggi e domani a Roma è molto importante.

Perdere di fronte a Alemanno sarebbe quasi tombale, ma vincere non cancellerebbe i problemi che Franco Cavalli e Giorgio Lunghini pongono nelle loro lettere. Provo a rispondere a entrambi, ringraziandoli per i loro interventi.

La critica di Cavalli è radicale: la sinistra non sa più interpretare criticamente i cambiamenti sociali e di conseguenza (vedi Walter Veltroni) slitta verso il centrismo. Cavalli, inoltre, dalla sua Svizzera, ci dice che sul federalismo avremmo dovuto essere più intelligenti e non solo contro la Lega, ma anche per una realistica interpretazione dell'Italia, il paese «dalle cento città». E ancora che la fiducia nel popolo avrebbe dovuto incoraggiare i referendum.

Ringrazio in egual misura Giorgio Lunghini e penso che dovrebbero ringraziarlo anche Aldo Tortorella e Gianpasquale Santomassimo e intervenire anche loro nella discussione che si è aperta sulle ragioni della sconfitta.

Tortorella afferma che «l'unità plurale» è solo un simulacro dell'unità.

Io, un po' più polemico, ho scritto che l'unità plurale mi fa pensare al dogma della trinità. Santomassimo insiste sulla necessità di avere «un'idea di società realistica e praticabile»: non un compromesso politicistico e neppure un sogno confinato nel futuro.

Caro Giorgio la crisi del Pci e, quindi, della sinistra italiana sta proprio nella rinuncia al grande cambiamento e nell'illusione di potersi adattare ai meccanismi capitalistici senza esserne travolti. Contemporaneamente le forze che si sono messe insieme nell'Arcobaleno, e che il manifesto ha sostenuto, per un verso parlavano alla luna e per l'altro si concentravano sul commercio intestino di posti e di altro.

Giorgio Lunghini ci sollecita ancora a un lavoro faticoso che richiede intelligenza e umiltà (merci oggi piuttosto rare) e che il manifesto dovrebbe assumersi. Il suo invito è un segno di stima per i nostri 37 anni di vita (compleanno il 28 aprile) e vorrei ricordare che il manifesto ruppe con il Pci sulla questione dell'Urss e aggiungere che la fine dell'Urss segnò la fine o l'abiura di tanti partiti comunisti. Quanti sono i compagni che si iscrissero al Pci soprattutto perché aveva l'appoggio di una grande potenza e che si poteva fare buona carriera?

La potenza dell'Urss sollecitava l'opportunismo di tanti giovani quadri degli anni '60 (penso anche a compagni come Veltroni e D'Alema).

E adesso che fare? Innanzitutto cercare di capire come funziona la società di oggi (il capitalismo è un po' Proteo ci diceva Franco Rodano) e non possiamo continuare a ragionare con gli schemi del secolo scorso.

Capire per trasformare, per riorganizzare le forze per un cambiamento realistico e praticabile. Noi del manifesto abbiamo cambiato sede, ma non finalità.

Valentino Parlato

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