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Eddytoriale 24 (10 settembre 2003)
2 Gennaio 2008
Eddytoriali 2003
10 settembre 2003 - Le complicazioni non aiutano a comprendere, ma neppure le semplificazioni eccessive. Eppure in Italia tutto sembra ridursi a schemi binari, tipo Roma o Lazio, oppure Guelfi o Ghibellini. Una di queste semplificazioni corre nella città di Venezia: pro o contro il MoSE? Il problema non è questo. La questione in gioco è molto più ricca e profonda del giudizio tecnico su un progetto d’ingegneria idraulica. La questione è: per quale idea della Laguna (e quindi per quale progetto della Città metropolitana che vi si affaccia) occorre lavorare, pensare, lottare, investire risorse?

In un articolo che ho scritto per la rivista Areavasta (e che inserirò nel sito appena possibile) tento di dare qualche elemento in questa direzione. In estrema sintesi, la mia tesi è che gli interventi proposti e la forma istituzionale adottata per studiarli, sperimentarli, progettarli, eseguirli, sono entrambe in palese opposizione con la possibilità di conservare la Laguna così come è: cioè nel suo carattere essenziale di sistema ecologico in permanente equilibrio tra due destini opposti, ed entrambi distruttivi (terra o mare), grazie unicamente al saggio impiego di una costante azione locale di manutenzione/trasformazione svolta guidando e assecondando (ma non stravolgendo né violando) le leggi e i ritmi della natura.

Certo, un’azione siffatta sarebbe in palese contrasto con le leggi che hanno governato lo sviluppo negli ultimi due secoli. Ma sarebbe perciò stesso anche la sperimentazione pratica d’un modo oggi innovativo di affrontare un problema di frontiera, che è aperto in tutto il mondo: quello di gestire il difficile rapporto tra la soddisfazione delle crescenti esigenze dell’uomo e il rispetto dei limiti e delle qualità delle risorse che il pianeta e la sua storia mettono a disposizione nostra (e dei nostri posteri).

È evidente che da un impegno determinato e “alto” in questa direzione potrebbe nascere un nuovo progetto di sviluppo di Venezia e dell’intera Città metropolitana, fondato sulla cultura della qualità e non della crescita quantitativa, sulla conoscenza e sulla fruizione delle straordinarie ricchezze dell’ambiente naturale e storico e non sulla loro dissipazione consumistica, sulla valorizzazione intesa come restituzione di valori esistenti e non come accrescimento del valore fondiario.

Ma quando mai le forze politiche riprenderanno d affrontare simili temi,a costruire e a proporre un progetto di città e di società, invece di affannarsi alla ricerca del consenso immediato (poco importa se dei commercianti o dei proprietari immobiliari, dei gondolieri o delle grandi holding) da spendere alle prossime elezioni?

Le forze politiche, ecco l’altro tema cui voglio accennare: che fanno in Italia? Su che dibattono e si dividono? Non parlo di quelle sul versante berlusconiano, parlo di quelle alle quali vorrei affidare qualche speranza. Magari non per “i domani che cantano” (i lendemains qui chantent di Paul Èluard), ma per un domani democratico come era quello di De Gasperi e Togliatti, e quello di Moro e Berlinguer: quello della Prima repubblica. Insomma, un domani un po’ più simile all’Europa delle grandi socialdemocrazie e della destre civili.

Sul versante opposto a Berlusconi il tifo è tra i fautori del partito unico e quelli dell’alleanza di partiti diversi (Ulivo si, Ulivo no), tra i modi di arrivarci o di non arrivarci, tra le tecniche da adoperare perché nessuna perda nulla del potere che ha (e magari ne guadagni).

È palese a tutti che non sono questi i problemi reali. Sembra a me (che sono solo un osservatore della politica) che quelli centrali siano due: come restituire all’Italia una competitività economica che ha perso. Come impedire che la deriva impressa da Berlusconi alle nostre istituzioni (ivi compreso il quarto potere, la pubblica comunicazione) non arrivi definitivamente al regime verso il quale è ossessivamente avviata.

Che quest’ultimo sia un rischio drammatico il presidente del maggiore partito del centrosinistra non l’ha compreso, visto che continua a deprecare la “ossessione antiberlusconiana”. Ha dovuto ricordarglielo un vecchio cattolico e democristiano, Oscar Luigi Scalfaro. Gliene sono grato.

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