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Paolo Colarossi
Piccoli villaggi persi dentro la Metropoli
20 Dicembre 2007
Altre città italiane
La modernizzazione a Pechino e in genere in Cina è stata ed è devastante per il tessuto storico e sociale delle città. Il manifesto, 20 dicembre 2007 (f.b.)

Fra le centinaia di migliaia di turisti occidentali che visiteranno Pechino nell'agosto 2008, in occasione delle Olimpiadi, sicuramente moltissimi vorranno conoscere la millenaria civiltà urbana cinese, visitando il centro storico della capitale. Un centro storico, però, che al primo sguardo, sembrerà ridotto ai grandi monumenti (l'inquietante Città Proibita, il metafisico Tempio del Cielo, il meraviglioso Palazzo d'Estate con i suoi giardini) e agli allineamenti di negozi, piccoli ristoranti e bar lungo alcuni tratti delle rive dei cinque laghi artificiali che risalgono al quindicesimo secolo e attraversano l'abitato, dando vita a un paesaggio di acque e alberi di grande bellezza.

Frammenti del passato

Per il resto, il centro di Pechino assomiglierà a quello di ogni moderno agglomerato urbano: negozi, edifici recenti (con qualche concessione a una architettura «cinese»), traffico intenso lungo strade ampie. Solo ogni tanto si riuscirà a scorgere, alle spalle della cortina di negozi e uffici, un ammassarsi di casette a un piano, raggruppate in frammenti di tessuto urbano attraversato da stradine strette. I visitatori che, spinti dalla curiosità, penetreranno all'interno di quei tessuti, troveranno finalmente il cuore storico di Pechino, la cosiddetta Lao Beijing, perché quei frammenti - pochi e sparsi all'apparenza quasi a caso nella città - sono quanto resta dell'antica capitale cinese.

Immaginate una città interamente composta da edifici a un piano, alti tre o quattro metri, coperti da tetti con tegole grigie e sopra i quali spiccavano i profili dei grandi palazzi, dei templi, o delle torri che proteggevano le porte nelle mura della città. Questo era l'aspetto di Pechino fino al termine dell'Ottocento, un aspetto nato dall'applicazione di un modello di antichissima tradizione nella cultura urbana cinese. Questo modello si fondava su poche, ma chiare regole che delineavano un tessuto urbano tagliato da un reticolo di strade intorno al quale una cinta muraria formava un quadrato orientato secondo i punti cardinali, con al centro il complesso di edifici più significativi (la Città Proibita nel caso di Pechino).

Nella maglia viaria si notava un asse centrale più importante per il suo significato simbolico e religioso, disposto secondo un orientamento sud-nord, mentre il sistema viario ortogonale delimitava grandi complessi di isolati per gran parte residenziali, attraversati da una rete di vicoli, gli hutong, strade di accesso alle residenze. L'accesso doveva sempre essere esposto a sud, il punto cardinale degli spiriti favorevoli, mentre tutti gli edifici, sia quelli residenziali sia i templi, i palazzi, gli edifici commerciali, erano costruiti attorno a una o a più corti.

All'interno delle corti

Per quanto riguarda le residenze dominava la sehiyuan, la casa unifamiliare a corte, secondo uno schema che si era conformato a Pechino in un lungo processo a partire dal dodicesimo secolo: il modello era identico per tutti gli edifici residenziali, anche se, a seconda della importanza del proprietario, variavano le dimensioni e il numero delle corti.

Queste regole urbanistiche davano vita a una città costituita da un tessuto fortemente omogeneo di sehiyuan e da uno spazio pubblico che era prevalentemente quello delle strade e degli hutong - una città la cui vita familiare, sociale, amministrativa, economica, politica, religiosa si svolgeva per gran parte all'interno delle corti. Oltre al verde degli alberi, i colori prevalenti erano il grigio dei tetti e delle pietre e il rosso degli intonaci e dei recinti su cui spiccavano i lampi delle decorazioni pittoriche blu, rosse, verde, oro sulle strutture lignee degli edifici più importanti e sugli ingressi delle porte.

L'urto della modernità

Difficilmente, però, una città fatta di case a un piano con strutture di legno poteva resistere all'impeto violento della modernizzazione. Oggi, infatti, la cinta delle mura non esiste più, sostituita da un anello stradale. Di fatto, la città storica si trova al centro di cinque anelli di viabilità a scorrimento veloce, il quarto dei quali passa a una distanza di circa dodici chilometri dalla Città Proibita e quello più esterno a circa il doppio. Inevitabilmente, anche il tessuto hutong ha subito notevoli stravolgimenti.

Per la verità, questo tipo di spazio urbano aveva già subito modifiche all'inizio del secolo scorso, ma si trattava per lo più di modeste demolizioni o di sostituzioni con edifici di dimensioni maggiori. Trasformazioni più intense sono cominciate dalla metà del secolo e sono tuttora in corso: il ciclo di abbattimenti e ricostruzioni ha infatti subito una forte accelerazione in relazione alle Olimpiadi, riducendo gli hutong ancora esistenti a meno del trenta per cento della estensione dei tessuti originari.

Direttamente o indirettamente prodotti dalla densificazione, i problemi che si riscontrano nei tessuti hutong sono di due ordini: il degrado edilizio, che tocca tanto gli edifici storici quanto quelli recenti e spontanei (spesso costruiti con materiali di fortuna), e il degrado igienico-sociale, dovuto alle condizioni abitative di sovraffollamento negli alloggi, quasi nessuno dei quali è fornito di servizi igienici. Ma al tempo stesso gli hutong possiedono qualità che ne fanno un bene culturale di interesse mondiale, da recuperare e conservare: da un lato, il singolarissimo paesaggio urbano che compongono, dall'altro il modo di vivere gli spazi urbani da parte degli abitanti.

Passeggiando negli hutong, fattori come la proporzione tra l'altezza degli edifici a un piano e la larghezza dei vicoli, la continuità e omogeneità delle quinte edilizie (anche nel colore grigio degli intonaci e dei mattoni), così come le piccole variazioni in altezza, gli arretramenti o avanzamenti dei fronti, o le lievi curvature dei tracciati, producono l'immagine di uno spazio unitario, su cui si innestano gradevoli e misurate variazioni sul tema.

Alla bellezza di questo paesaggio contribuiscono da protagonisti anche gli alberi. In quei tratti di strada lungo i quali sono stati piantati filari di alberi di medie dimensioni, questi formano gallerie verdi animate dagli effetti della luce del sole che attraversa rami e foglie. Ma anche gli alberi isolati, che allargano i rami a proteggere i tetti delle case intorno, sono veri e propri monumenti verdi - tanto che sono ufficialmente classificati in appositi registri -- per la bellezza dei rami e per l'altezza imponente. Gli alberi-monumento sono quasi un complemento urbanistico del tessuto architettonico degli edifici e offrono quella immagine della casa protetta dall'ombra di un albero che è fortemente presente nella memoria antica e profonda della collettività.

Antichità discrete

Gli edifici storici conferiscono qualità al paesaggio degli hutong soprattutto per i dettagli architettonici - dalle decorazioni sopra le porte di ingresso ai portoni in legno, dalle pietre laterali di buon augurio alla dolce curvatura cava dei tetti con il loro aspetto squamoso, la cosiddetta «pelle del drago» - più che per il valore di antichità: molte costruzioni di aspetto «storico» risalgono infatti a epoche relativamente recenti perché la cultura cinese ha sempre privilegiato la conservazione dei modelli e delle regole, comprese quelle tecniche che presiedono al saper fare. Per essere considerato storico, insomma, non importa quanto un edificio sia antico, quanto piuttosto il fatto che obbedisca al modello tipologico e alle regole costruttive fissate e tramandate nel corso del tempo.

Infine, ma non da ultimo, la qualità dei tessuti hutong è fortemente legata agli usi e ai comportamenti degli abitanti che fanno del centro di una grande città di quindici milioni di abitanti una sorta di piccolo villaggio: in queste strade continuano a valere i rapporti di vicinato e lo spazio pubblico è utilizzato come il surrogato di una corte annessa alla abitazione.

A questo punto sorgono alcuni interrogativi, legati soprattutto alla possibilità di conservare ciò che resta dei tessuti hutong del centro storico di Beijing. Una questione che, a sua volta, solleva un problema di fondo e chiama in causa l'atteggiamento politico-culturale degli amministratori nazionali e locali e della cultura cinese in generale. Quanto sarà considerata rilevante una politica di conservazione delle memorie della storia della capitale come fattore di individualità locale e nazionale e di orgoglio civile per una cultura urbana di antichissima tradizione?

Trasformazioni morbide

Un diverso problema di natura sostanziale riguarda invece le risorse economiche, dovendo scegliere tra interventi esclusivamente pubblici e possibili sostegni di capitali privati. Uno dei motivi per una politica di conservazione dei tessuti hutong, anche in funzione di produzione di risorse economiche, potrebbe essere quello dell'attrattiva turistica, da seguire con accorte politiche di trasformazione morbida delle destinazioni d'uso di alcune parti dei tessuti stessi, evitando però l'effetto di museizzazione dei pochi pezzi ritenuti più pregiati e da conservare accuratamente in teche protette per visite turistiche.

Il problema sociale è drammatico. Anche se passasse una politica di convinta salvaguardia dei tessuti, per poter ottenere condizioni abitative accettabili, rispetto alla attuale densità abitativa e alle condizioni di affollamento e igienico-sanitarie e di dotazione di servizi, almeno la metà degli attuali abitanti dovrebbe essere trasferita altrove e necessariamente fuori del centro storico. Ma dove e, soprattutto, con quali strumenti?

Le pressioni del mercato

Inoltre, non è neppure certo che, una volta effettuato il ridimensionamento, gli abitanti rimasti in loco non cedano alle pressioni del mercato immobiliare che sicuramente saranno rilevanti e produrranno quasi inevitabilmente una sostituzione di ceto degli abitanti stessi. Ma i nuovi abitanti ricchi produrranno di certo profondi cambiamenti nell'atmosfera degli hutong: probabilmente più ordine e manutenzione degli edifici, ma assai meno vita sociale nello spazio pubblico. Sarà questo un processo inevitabile rispetto al quale poter dire che, almeno, si è salvata la città di pietra?

Nota: appare anche più miserabile la scarsa attenzione al tessuto storico della città cinese, soprattutto alla luce dei nuovi studi sociali in corso, così come raccontato dal China Daily in un articolo proposto su Mall (f.b.)

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