loader
menu
© 2024 Eddyburg
Ida Dominijanni
Nulla sarà più come prima
5 Dicembre 2007
Capitalismo oggi
Una riflessione sul'evento asiatico. "Era solo quattro anni fa quando, in Occidente, festeggiammo l'avvento del 2000, nel disprezzo di altri calendari e altre culture, all'insegna dell'ottimismo tecnologico, della volontà di potenza sulla vita nostra e altrui, della fine della storia e della pacificazione dei conflitti nel trionfo acclarato della democrazia e del capitalismo. Da il manifesto del 31 dicembre 2004. La vignetta è dal Corsera del 30 dicembre

Non va ogni giorno un po' meglio ma ogni giorno molto peggio. Peggiorano le cifre delle vittime, le previsioni delle epidemie, il bilancio dei danni materiali, le immagini dei cimiteri a cielo aperto, dei cadaveri nudi e gonfi rigettati dal mare, dei rossi falò crematori sullo sfondo nero della notte indiana. Logica mediatica del disastro invertita: di solito si fa fatica a «tenere alta» la notizia, dopo i primi giorni. Stavolta niente si abbassa, a partire dal nostro sgomento. Certo, è già tempo di ponderare ciò che poteva essere fatto e non lo è stato per arginare l'onda assassina; o di interrogarsi sulle conseguenze sociali, economiche, politiche e geopolitiche di una catastrofe destinata a cambiare il volto del pianeta globale e il corso della globalizzazione, nonché i suoi dividendi fra le potenze occidentali, la Cina, l'India. Ma non è ancora tempo di distogliere lo sguardo da quei centoventimila morti: uno per uno, storia per storia, caso per caso fin dove è possibile ricostruirli, senza permettere che la spietata contabilità delle cifre occulti la singolarità e la comune umanità di ogni vita travolta. Nude e disperse, esse ci guardano a loro volta come uno specchio muto e ci rinviano le nostre domande su di loro capovolgendole in questa: chi siamo diventati noi, i sopravvissuti?

Era solo quattro anni fa quando, in Occidente, festeggiammo l'avvento del 2000, nel disprezzo di altri calendari e altre culture, all'insegna dell'ottimismo tecnologico, della volontà di potenza sulla vita nostra e altrui, della fine della storia e della pacificazione dei conflitti nel trionfo acclarato della democrazia e del capitalismo. Da allora, come per risposta, la storia si è rimessa a girare secondo il caso, l'incidente e l'imprevisto, e l'immaginario apocalittico si è impadronito della nostra realtà quotidiana, dagli aerei-cyborg che perforano le Torri gemelle all'onda anomala che divora i paradisi tailandesi.

Non sembri blasfemo il paragone fra l'11 settembre 2001 e il 26 dicembre 2004. Certo, lì i morti furono tremila e qui non hanno fine; lì c'era un attentato politico e qui un accidente naturale; lì fu colpito il cuore del mondo ricco e qui un'arteria di un mondo povero che da poco aveva trovato il suo accesso a un benessere squilibrato e precario. Ma lì e qui, la catastrofe ha mostrato il suo volto ineluttabilmente globale. Lì e qui, nelle torri di Manhattan e sulle spiagge di Khao Lac, vittime di etnie, nazioni, culture le più diverse, mescolate in vita e non identificabili in morte, cadaveri nudi senza certificati né certificazione possibile. Lì e qui, la stessa percezione di noi spettatori sopravvissuti: il mondo globale si è fatto piccolo piccolo, più nulla che non ci riguardi e non ci tocchi, dovunque accada. E l'umanità globale si è fatta fragile, nuda vita esposta al caso e all'imprevisto, «politico» o «naturale» che sia.

La politica andava e va reinventata di conseguenza, dalle fondamenta: una politica della precarietà, della vulnerabilità, dell'esposizione al caso e dell'interdipendenza con l'altro, per un'antropologia globale fatta di vite precarie, esposte al caso e dipendenti dagli altri. Così poche e accorte voci, Judith Butler per prima, dall'interno della stessa società americana. Dai vertici della potenza americana, invece, è stata ribadita una politica di potenza e di guerra, all'insegna di quel delirante «we'll prevail» che oggi George W. Bush torna a impugnare anche contro lo tsunami. Nella sua ingiudicabile casualità e nella sua sconfinata energia, quell'onda anomala è venuta a ricordarci quant'è debole e insensata la nostra piccola e ritornante volontà di potenza.

ARTICOLI CORRELATI
12 Luglio 2019

© 2024 Eddyburg