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Fabrizio Bottini
Dopo l'Uragano Katrina: antologia/visita guidata
3 Dicembre 2007
Clima e risorse
Un percorso critico attraverso gli articoli dalla stampa italiana e internazionale che ci hanno descritto i vari aspetti del problema, dei soccorsi, della ricostruzione, delle polemiche sul futuro di New Orleans

Dopo l’uragano di New Orleans: una antologia di articoli

Nell’estate del 2005 il sommesso clamore dei notiziari che annunciavano gli spostamenti dell’uragano Katrina in avvicinamento alla Costa del Golfo, nei territori degli stati di Louisiana e Mississippi, sembrava la solita trovata giornalistica per riempire i titoli di qualcosa di diverso dai pettegolezzi da spiaggia.

Fu una vera sorpresa per la maggior parte del mondo iniziare a vedere le immagini dei poveracci ammassati come bestie nello stadio, dei quartieri poveri devastati, dei primi morti. E poi, nei giorni successivi, leggere le storie da “disastro annunciato”, le polemiche sull’inefficienza nei soccorsi, e via via nelle settimane e nei mesi dipanarsi e articolarsi tutto il dibattito sulla ricostruzione, gli investimenti, gli aspetti sociali, i dubbi su un potenziale “sciacallaggio” ai danni di chi ha meno voce.

La stampa, italiana e internazionale, ha dato grande rilevanza a tutti questi aspetti, e a molti altri, a partire dalla figuraccia dell’amministrazione federale, o ai collegamenti fra questo tangibilissimo esempio di intreccio problematico, e altre questioni spesso poco percepite, a partire dal riscaldamento globale.

Sulle pagine di Eddyburg e eddyburg_Mall hanno trovato posto molti di questi articoli: sia quelli con più diretto riferimento alle questioni territoriali al centro della nostra attenzione, sia altri. È sembrato opportuno, vista la notevole mole (e articolazione nelle cartelle tematiche) del materiale, raccogliere il tutto in una “visita guidata”, che consenta a chi ha già letto di ritrovare qualche spunto, e a chi non ha letto di verificare se si è perso qualcosa. Vista la vastità dei temi, approcci, sfumature, l’ordine di presentazione scelto è semplicemente cronologico. Buona lettura, o rilettura. (f.b.)

La rassegna si apre, in modo abbastanza scontato, col testo (ripreso dalla CNN) del Discorso pronunciato dal Presidente George W. Bush il 31 agosto 2005, dopo la riunione di Gabinetto per i soccorsi alle zone colpite dall'Uragano Katrina . Si annunciano i primi obiettivi dei soccorsi, e (lo osserveranno poi i critici) si iniziano a mostrare le prime crepe nel sistema delle decisioni strategiche.

Crepe immediatamente sottolineate dalla grande stampa, che come già accaduto in altri casi rileva nell’amministrazione incertezze, dilettantismo al limite della farsa, generale inadeguatezza Ne è un esempio l’editoriale Aspettando un Leaderdel New York Times 1 settembre 2005, che definisce il discorso“uno dei peggiori della sua vita”.

Con queste premesse, viene proposto qui un articolo “profetico” di Mark Fischetti, Annegare New Orleans, pubblicato dallo Scientific American sul numero dell’ottobre 2001,e che con chiarezza davvero impressionante descrive quelli che di fatto col senno di poi si dimostrano i punti deboli del sistema di protezione della costa e della città. Fra l’altro, l’articolo di Fischetti descrive e introduce il piano cosiddetto Coast 2050 sinora respinto perché troppo “costoso”, e avversato in parte da soluzioni più semplicistiche, che ora si sono rivelate fallimentari.

Il fatto che New Orleans non rappresenti altro che una emergenza della crisi mondiale legata al mutamento climatico, è affrontato quasi subito, a partire da un articolo del Corriere della Sera, 1 settembre 2005 in cui il geofisico Jacobs intervistato dalla giornalista Maria Teresa Cometto, ammonisce «Non ricostruite la città, fra 100 anni non ci sarà più»

Prospettiva “globale” condivisa anche dal più famoso, economista ed ex ministro dell’amministrazione Clinton, Jeremy Rifkin, che in una intervista a Sara Farolfi su il manifesto del 3 settembre 2005 ripete: «L'avevamo detto, sarà sempre peggio». Bush ha nascosto la verità e non ha voluto far nulla per evitare le catastrofi.

Eugenio Scalfari su La Repubblica del 4 settembre 2005 contempla uno spettacolo inatteso e sconcertante: L’America che vive con l’Africa in casa. E osserva come ciò in fondo non debba stupire, data la natura “imperiale” della nuova superpotenza unica globale, e la scarsa dimestichezza di questi tipi di potere con la democrazia e l’eguaglianza.

Altro aspetto che emerge quasi immediatamente dal dibattito sul futuro di New Orleans è quello urbanistico: che fare? Sul Boston Globe del 5 settembre 2005 Bennet Drake intervista alcuni studiosi sul tema La città del futuro. Ovvero, le possibilità e i rischi di cogliere l’occasione per far nascere dalle rovine di “Big Easy” un insediamento modello, catalogo di innovazioni tecniche e sociali.

Sulle pagine dell’Economist, a una settimana dall’uragano, col titolo Il rimpallo delle colpe si tenta di riassumere in modo obiettivo da un lato la realtà verificata dei problemi e delle inefficienze, dall’altro la complessità che emerge, e che in parte viene nascosta dall’enormità sempre più evidente del disastro.

Gary Strass sul popolarissimo USA Today ancora il 5 settembre 2005 ricorda come a New Orleans Ci sarà da ricostruire qualcosa di più importante degli edifici ovvero lo spirito della città. Sottolinea però gli aspetti più esteriori e forse “folkloristici” di questo genius loci, mettendo in secondo piano la questione centrale, ovvero l’emarginazione della popolazione più povera e di colore.

Un intervento di Patrick Doherty, Una Fenice che rinasce dal fango l’8 settembre 2005 sul TomPaine Common Sense, riprende l’approccio della potenziale “città ideale” alla futura New Orleans: anti suburbana, e comunità anche socialmente modello per una America più sostenibile. A partire dal recupero e valorizzazione proprio della complessità sociale ed etnica che certi “ritardi pilotati” dalle destre nella ricostruzione mettono in forse.

Di stampo soprattutto “contabile” l’ipotesi di Jon E. Hilsenrath, Rimpicciolire New Orleans? Sul Wall Street Journal del 15 settembre 2005, dove ad una analisi economica del ruolo della città in quanto nodo infrastrutturale e di scambi, si accompagna una (forse sbrigativa, se non lievemente faziosa) sostanziale liquidazione del problema della ricostruzione urbanistica. Lapidariamente:”Abbiamo obblighi nei confronti delle popolazioni, non dei luoghi”.

Non poteva mancare l’intervento del noto sociologo-urbanista Mike Davis, che affronta con decisione l’inevitabile tema de I contractors della ricostruzione in un articolo tradotto da ilmanifesto del 2 ottobre 2005 che descrive la calata dei falchi delle grandi imprese e interessi sulla città colpita, e il cinismo con cui il disastro diventa fabbrica di quattrini, operazione del resto affiancata, ideologicamente e praticamente, da molti apparati governativi.

Il critico di architettura del New York Times, Nicolai Ourussof, si chiede: il 20 ottobre 2005 Ce la farà New Orleans, a sopravvivere alla propria rinascita? E critica alcune suggestioni già emerse, che fanno pensare a una “normalizzazione” della città, nel senso di una ricostruzione sterilizzata, turistica, annullamento della complessità agli aspetti del parco tematico, o poco più.

Alla questione più “grossa” ovvero l’affidabilità del sistema di difese costiero e dell’entroterra, torna il 2 dicembre 2005 Mike Tidwell su Orion Online, con un provocatorio (ma non troppo) Addio New Orleans. Smettiamola di fingere. Sostiene Tidwell, che un’amministrazione che non ha finanziato il piano di ripristino ambientale della Costa del Golfo, pone New Orleans e il resto semplicemente in attesa del prossimo uragano, forse quello definitivo.

Un aspetto particolare (che poi nella costa del Mississippi diventerà fondamentale) è il ruolo giocato nella ricostruzione dalla cultura New Urbanism. Il critico di architettura del Los Angeles Times Cristopher Hawthorne il 4 dicembre 2005 racconta Nella corsa alla ricostruzione, una famiglia litigiosa. Descrivendo come, più delle idee e della competenza, ora salga alla ribalta soprattutto la capacità organizzativa e di pressione cultural-politica.

Conferma indirettamente quanto accennato dal Los Angeles Times il direttore dell’organo ufficiale dei nuovi urbanisti, Philip Langdon, che su New Urban News ottobre-novembre 2005 racconta con dovizia di particolari come I Nuovi Urbanisti si preparano ad affrontare il piano di ricostruzione della Costa del Golfo Ovvero come fare lobbying professionale, e arricchirlo con molte buone intenzioni, si spera in buona fede.

Ari Kelman, sul periodico di sinistra The Nation, il2 gennaio 2006 descrive cosa può accadere All'ombra del disastro Ovvero i legami evidenti e meno evidenti fra la questione ambientale in senso lato (il recupero dei quartieri, i costi della bonifica ecc.) e quella sociale, ovvero del rientro delle famiglie nere e povere in città. La tesi: attenzione all’economicismo di alcune ipotesi “realistiche”, che hanno quasi sicuramente scopi inconfessabili.

Che il problema, come spiegava da subito l’analisi a caldo dell’Economist, fosse complesso e intricato, lo dimostra sul New York Times del 5 gennaio 2006 Adam Nossiter descrivendo Un piano Statalista ma sostenuto da un deputato repubblicano, anche se sembra fare a pugni col liberismo di partito. Ma Bush "comprende".Una delle tante, forse troppe, contraddizioni che ruotano attorno ad un sistema decisionale a detta di tutti assai discrezionale.

Le idee per fare della distruzione dell’uragano l’occasione di “città dimostrativa” sembrano naufragare di fronte al primo piano ufficiale, ovvero le raccomandazioni municipali per la ricostruzione. Una nota Associated Press/CNN dell’11 gennaio 2006 riassume così: Il piano: a New Orleans si potrà ricostruire. Dappertutto Ovvero per non perdere consensi (e voti alle imminenti elezioni per il sindaco) il comune improvvisa un “com’era, dov’era” pasticciato e improbabile, contro le opinioni di tutti i consulenti.

Ancora Adam Nossiter del New York Times, il 5 febbraio 2006 spiega dagli uffici tecnici comunali come Ricostruire New Orleans. Una pratica per volta Ovvero come una scappatoia tecnico-burocratica consenta di “condonare” i danni, falsando totalmente i rilevamenti del rischio e la distribuzione degli investimenti.

Ancora al tema della “bonifica sociale” della città tentata prolungando gli sfollamenti coatti oltre ogni limite, è dedicato l’articolo di Bill Sasser, Come chiudere fuori dalla porta i poveri di New Orleans pubblicato dal progressista Salon, il 13 giugno 2006. È un fatto che migliaia di sfollati dalle case popolari dopo Katrina aspettano da mesi di sapere se e quando potranno mai rivedere le proprie case. C'è un progetto per tagliarli fuori dalla città?

A un argomento decisamente tecnico-specialistico, comunque di enorme importanza, è dedicata la nota di Michael Kunzelman, I “Katrina Cottage” danno una possibilità a chi abita ancora nelle case mobili pubblicata dallo Atlanta Journal Constitution, il 9 luglio 2006. Si tratta dell’invenzione e commercializzazione delle abitazioni di emergenza. Nuove, economiche, molto piccole, ma "case" e non "rifugi", per aspettare anche 10-15 anni la ricostruzione “vera”.

La notissima giornalista e polemista di sinistra Katrina Vanden Heuvel sul suo The Nation, il 29 agosto 2006 descrive a quasi un anno dall’uragano La battaglia per la ricostruzione Ovvero racconta “sul campo” la lotta sociale e politica dei comitati di cittadini, e i giochi sporchi della politica locale e non, perché essi vengano esclusi dalle decisioni che contano.

Con una breve ma significativa “parabola”, sul numero estivo del 2006 di Dissent, Nicolaus Mills propone la Storia di due uragani: Galveston e New Orleans. Due vicende simili, separate da un secolo di storia, una conclusa e una in pieno corso. È cambiato qualcosa? A un anno di distanza dalle ondate di Katrina, la domanda è più che mai aperta.

Il 2007 si apre, abbastanza significativamente, con le dimissioni di uno dei responsabili della prevenzione, polemico contro la mancata attuazione di nuove norme urbanistiche e edilizie per la sicurezza contro gli eventi naturali. Lo riferisce Carol J. Williams sul Los Angeles Times, del 3 gennaio: Il capo del centro uragani lancia l'ultimo avviso.

Prosegue la ricostruzione di New Orleans, ma a quanto pare si replicano anche qui cose già viste in Italia, ad esempio a Seveso, coi quartieri poveri rifatti su terreni gravemente contaminati dalle discariche. Lo denuncia Robert Bullard in un articolo su The New American City, inverno 2006-2007, dal titolo Il colore sbagliato, per essere tutelato

Al contrario, al posto dei quartieri poveri, sfollati gli ex inquilini con la scusa dei danni (spesso esigui) dell'uragano, si mettono case di lusso. Anche quando ciò significa demolire riconosciuti capolavori di architettura e intervento sociale. E' la tesi dell'avvocato dei comitati Billy Sothern, in Addio St. Thomas, The Nation, 10 agosto 2007

Una tesi sostanzialmente confermata e rafforzata dall'Economist, che in un articolo del 23 agosto 2007 esamina la Lenta Guarigione di Big Easy, osservando come anche il trattamento vergognoso riservato ai più poveri sia solo una parte dell'incredibile inefficienza e inadeguatezza dimostrata complessivamente dai vari livelli di governo.

L'unica cosa veramente vitale, a parere di Rebecca Solnit, è l'incredibile partecipazione locale al processo di ricostruzione, anche contro l'apatia (a dir poco) istituzionale, e con interessanti progetti dal punto di vista dell'innovazione ambientale e sociale. Lo racconta in un articolo dal titolo La Lower Ninth colpisce ancora, The Nation, 10 settembre 2007

Nota: disponibili qui di seguito anche: un file PDF contenente gli articoli citati fino al 2006 (mancano però tutti i links ed eventuali allegati, naturalmente disponibili nella versione online); un mio articolo che riassume criticamente i temi dell'antologia, originariamente redatto per il sito Megachip; Aggiornamenti non compresi nel PDF: un contributo di Bruce Katz della Brookings Institution, sulla povertà urbana; (f.b.)

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