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Paolo Cacciari
Strade, un bene comune, non per questo governo
29 Luglio 2007
Articoli del 2007
Continua irrefrenabile la trasformazione dei beni comuni in affari. Per chi, e contro chi? Da il manifesto del 30 ottobre 2007

Il Governo sta per varare il nuovo piano economico/finanziario di Anas. L'azienda, trasformata in S.p.A. nel 2002 è del Ministero del Tesoro e risponde agli indirizzi del Ministero per le Infrastrutture. Gestisce in convenzione dallo Stato 20.842 Km di strade di interesse nazionale e subconcede 1.206 km di autostrade. La prima novità è il ripiano della perdita di esercizio maturata da Anas (427 milioni), sui cui bilanci le magistrature contabili e ordinarie stanno indagando da tempo. La seconda novità (già in Finanziaria) è che la concessione passa 30 a 50 anni, cioè fino al 2052. Praticamente per sempre. Lo spostamento del termine - non dovuto, secondo l'Autorità garante del mercato e della concorrenza - consente di diluire nel tempo il rientro della quota parte di esposizioni finanziarie che l'Anas dovrà assumersi per realizzare le opere inserite nell'Allegato Infrastrutture al Dpef e appaltabili già nel prossimo quinquennio. Un elenco, il «Master plan infrastrutture prioritarie», che il ministro Di Pietro ha concordato in un lungo tour per lo Stivale con i governatori delle regioni.

Nel complesso le risorse necessarie sono state stimate nel quinquennio 2007-2011 in: 7 miliardi e 100 milioni di opere «ordinarie» e 12 miliardi e 220 milioni di «grandi opere» riconfermate dalla «legge obiettivo» di lunardiana memoria.

L'Anas potrà contare su modesti trasferimenti annuali sicuri dallo Stato: 1.083 per l'anno in corso e 1.500 per ciascuno degli anni successivi per un montante finanziario quinquennale di 7.103 miliardi. Attenzione, però: dentro questa cifra dovrebbero esserci anche le opere di manutenzione (almeno 2 miliardi e mezzo) ordinarie e straordinarie, gli interventi per la sicurezza (eliminazione dei «punti della morte»), l'ambientalizzazione e quant'altro serve a far funzionare il carrozzone aziendale.

A questo punto il problema che si è presentato al ministro Di Pietro e al nuovo presidente dell'Anas Pietro Ciucci è il seguente: come riuscire, con così modeste risorse finanziarie a disposizione, a mantenere la promessa di «appaltabilità» del sempre più lungo elenco di opere che regioni, associazioni industriali, società autostradali, costruttori, trasportatori e lobby varie dell'asfalto chiedono con sempre più insistenza? Se per le «grandi opere strategiche», già ricomprese nella Legge obiettivo, Di Pietro potrà contare su finanziamenti speciali direttamente contrattati con Prodi e Padoa Schioppa, di finanziaria in finanziaria (opere come il Passante di Mestre, la Salerno Reggio Calabria, ecc.), per il mantenimento e l'ammodernamento delle strade e autostrade «minori» nulla è garantito. Ecco allora la nuova filosofia contenuta nel Piano economico e finanziario 2007-2053: «completare il processo di trasformazione di Anas in impresa»; avere un «approccio imprenditoriale e di mercato» e, parola chiave, raggiungere il «deconsolidamento della Società dal bilancio dello Stato». Detta in altro modo: la fuoriuscita dello Stato dai settori imprenditoriali di gestione dei servizi pubblici e la consegna di Anas nelle braccia del mercato finanziario privato. L'Anas è spinta a trovarsi finanziamenti ricorrendo agli istituti di credito privati. Ma sappiamo che questi non sono dei filantropi: chiedono garanzie e pretendono piani onerosi di rientro dei prestiti. Il risultato sarà che ciò che lo Stato risparmia non trasferendo denari sufficienti ad Anas, l'Anas dovrà spendere con sovrappiù di interessi al sistema bancario.

Si tratta di una operazione pianificata dalle banche con la regia di Padoa Schioppa. Qualche mese fa, puntuale come un orologio, è nato il Fondo Infrastrutture (amministratore delegato, guardacaso, quel Vito Gamberale già della società Autostrade dei Benetton), un polo bancario con due miliardi di capitale, per incominciare, specializzato in credito alle grandi opere nato tra Cassa Depositi e Prestiti (14,3%) , Fondazioni bancarie, Unicredito, Intesa San Paolo, Lehman e persino un fondo previdenziale dei geometri. La triangolazione è chiara. Questo Fondo dovrà fare da apripista e finanziare ciò che lo Stato non riesce o non vuole più finanziare. Ma chi pagherà?

Qui subentra l'altra innovazione nel piano Anas: il «pedaggiamento, ombra o reale» delle strade di più lunga percorrenza. «Ombra», su 8mila Km della rete esistente, nel caso in cui sia lo Stato a pagare i costi di gestione (compresi gli ammortamenti agli investimenti e agli oneri finanziari per la realizzazione), «reale», su altri 1.500km, dove verranno costruiti caselli fisici o virtuali per l'esazione delle tariffe direttamente agli utenti. Insomma, alla fine continueremo a pagare noi. Con una certezza in più: dovremo remunerare anche i servizi resi dalle banche, dai gestori dei caselli, dai concessionari vari. Ciò nonostante, c'è chi è pronto a giurare che pagheremo di meno in termini di prezzo/qualità considerando l'inefficienza delle gestioni pubbliche dirette. Non lo si può escludere in linea teorica e pratica, ma penso che ci sarebbe un modo meno contorto e più diretto di rimediare: riformare le gestioni pubbliche. In alcuni stati degli Usa le autostrade sono affidate a enti no-profit, la mobilità è considerata un diritto primario e conseguentemente le strade un servizio di utilità generale, collettivo, non un investimento speculativo. Dalle reti infrastrutturali dipendono altre attività economiche e sociali e in molti casi non sono fisicamente duplicabili, è cioè impossibile creare vera concorrenza, quindi un vero mercato. Sono monopoli naturali ad elevata redditività che creano rendite e sovrapprofitti. Non a caso sulla testa delle società che gestiscono servizi pubblici (utilities) volano avvoltoi sempre più voraci e prepotenti. In generale andrebbe riconosciuta la natura non capitalistica della gestione dei servizi pubblici. In altri termini bisognerebbe rispondere alla domanda che si ponevano gli economisti liberali due secoli fa: è moralmente lecito guadagnare, ad esempio, dalla gestione di un ospizio per i poveri? E, per estensione, è giusto fare profitti (privati) sulla pelle di consumatori abbandonati dallo Stato?

La competente Commissione della Camera ha formulato molte osservazioni critiche e Rifondazione e Verdi non hanno votato il parere, ma c'è da credere che la marcia verso la privatizzazione delle strade statali proseguirà.

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