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Il nuovo segretario del Partito Democratico è Calderoli?
20 Giugno 2007
Milano
Alcuni articoli da il manifesto, 20 giugno 2007, sul "numero chiuso" per i Rom nelle città. Che sia questa, la nuova strategia del centrosinistra per "conquistare il Nord"? Con una postilla (f.b.)

Luciano Muhlbauer, Sicurezza, quando gli argini cedono, il manifesto, 20 giugno 2007



La sicurezza non è né di destra, né di sinistra, tuona sempre più ossessivo il ritornello. E così il tema forte delle destre italiane ed europee trova adepti anche dalle parti del centrosinistra. Quanto la questione sia seria lo dimostrano la rapida diffusione di quei Patti per la Sicurezza tra Ministero degli Interni e grandi Comuni, nati sull'onda delle campagne demagogiche di lady Moratti, oppure la velocità con la quale il sindaco diessino di Roma ha anticipato le destre, imitando lo squallido gioco della caccia allo zingaro, tanto in voga nella pianura padana.

Un osservatore indipendente potrebbe cogliere un paradosso in tutto questo. Cioè, mentre tutti i numeri confermano che non vi è nessuna esplosione di reati, mezzo mondo grida invece all'emergenza criminalità, specie se micro. Ma qui non stiamo parlando di scienza o di filosofia, bensì di politica e, da questo punto di vista, il paradosso è forse meno incomprensibile.

Viviamo in società urbane profondamente segnate da decenni di privatizzazioni, di deregolamentazioni e di riduzione del welfare e delle tutele pubbliche. Sono saltati sistemi relazionali e identità collettive, le disuguaglianze sociali sono aumentate e la cosiddetta globalizzazione ha spostato i luoghi decisionali in posti inafferrabili e inaccessibili. Oggi, un abitante di una città come Milano vive una solitudine tremenda e le istituzioni e la politica appaiono sempre più ininfluenti rispetto alle sue condizioni di vita.

Tutto questo le destre l'hanno compreso benissimo e a questo cittadino moderno, esposto a precarietà e incertezze di ogni genere, offrono una risposta semplice ed efficace: il tuo nemico è quello della porta accanto, soprattutto se diverso da te. E così, chi non riesce ad accedere alla casa popolare se la prende con il marocchino a cui è stato assegnato un alloggio e non con quella politica che ha deciso di non costruirne più, la vecchietta costretta a lunghe file nell'Asl si arrabbia con il senegalese davanti a lei e non con quei governi regionali che pensano soltanto alla sanità privata e il residente del quartiere popolare attribuisce la responsabilità di ogni degrado al rom di turno e non ai lunghi anni di abbandono delle amministrazioni comunali.

Insomma, una moderna guerra tra poveri, innescata da una campagna securitaria che fornisce nemici abbordabili e identificabili e che si sintonizza con le paure e le ansie dei singoli. In Lombardia, dove il fenomeno è più esplicito, proprio in questi giorni stanno cedendo pericolosamente gli argini della politica. Prima il Presidente della Provincia di Milano, il diessino Penati, inizia a parlare come un leghista e, poi, nel Consiglio comunale milanese un'inedita e indecente alleanza tra destre, Ulivo e Verdi approva una mozione che invoca sgomberi e «numero chiuso» per i rom.

Beninteso, la battaglia contro il securitarismo non si vincerà mai semplicemente resistendogli, ma, in ultima analisi, soltanto ricostruendo una politica alternativa che intervenga con decisione sulla nuova questione sociale, ricostruendo dunque consenso, rappresentanza e credibilità. Tuttavia, questa considerazione non può diventare un alibi per guardare nel frattempo dall'altra parte, cercando di eludere il problema, o peggio ancora per rincorrere le destre sul loro terreno.

È certamente scomodo e difficile stare fuori dal coro che tenta di farsi senso comune, ma qui non si tratta semplicemente di qualche videocamera di sorveglianza o qualche poliziotto in più. No, si tratta della battaglia per l'egemonia culturale, di cui il securitarismo è componente fondamentale, che le destre agitano in tutto l'occidente. Ecco perché gli argini non possono cedere, almeno a sinistra del Partito democratico.

* Consigliere Regionale Prc della Lombardia

Manuela Cartosio, Il nomade PD punta a destra, il manifesto, 20 giugno 2007

A Milano e in Lombardia l'Unione non esiste più. Si sta rapidamente sciogliendo per l'effetto combinato di due fattori: da una parte, le dimensioni inattese di un'attesa sconfitta alle elezioni amministrative; dall'altra, la gestazione del Pd. Fregandosene altamente del forte astensionismo di sinistra, l'Ulivo ha interpretato il responso delle urne esclusivamente come una domanda di destra. Per soddisfarla si è messo a parlare e ad agire come la destra su due terreni caldi: la sicurezza (zingari fuori dalla balle) e il federalismo fiscale (i soldi dei lombardi devono restare in Lombardia). Risultato: al Comune di Milano e in Regione, dove il centro sinistra è all'opposizione, l'Unione vota in ordine sparso su campi rom e federalismo fiscale. Alla Provincia di Milano, governata dal centro sinistra, la linea antirom imboccata dal presidente Penati (Ds) mette nell'angolo Rifondazione che, costretta a mandar giù l'amaro boccone, chiede una «verifica politica».

Il fatto simbolicamente più eclatante, per ora, è avvenuto lunedì a Palazzo Marino. La consigliera diessina Carmela Rozza ha presentato una mozione che chiede lo sgombero «immediato» dei campi nomadi abusivi e sollecita il «numero chiuso» per i rom. Mozione bipartisan approvata dal centro destra e dall'Ulivo. Solo Rifondazione, Pdci, Milly Moratti (Lista Ferrante) e Basilio Rizzo (Lista Fo) non l'hanno votata. Non è chiaro cosa s'intenda per «numero chiuso» e con quale «criterio» vada calcolato. Basta dire che «Veltroni a Roma l'ha già adottato» e il gioco è fatto. Gira una cifra: al massimo 2.500, contro i 6 mila rom «censiti» all'ingrosso a Milano. Tutta gente che il centro destra, che governa la città da 15 anni, avrebbe già volentieri cacciato, senza aspettare la mozione di una diessina. Non lo può fare: gli sgomberi non risolvono il problema, lo spostano. La mozione ulivista, quindi, è puro marketing politico, esibizione di muscoli per dimostare che il centro sinistra non è buonista. Ma l'originale è più convicente della copia, vecchia massima puntualmente confermata lunedì nell'aula di Palazzo Marino. Gli abitanti di Chiaravalle, angustiati da cinque campi rom, venuti a sostenere la consigliera Rozza (ex sindacalista del Sunia) hanno riservato gli appluasi più caldi alla Lega e ad An. Un vero capolavoro, commenta Vladimiro Merlin (Prc), «il tentativo maldestro di far concorrenza alla destra sul suo terreno è finito in un autogol». Beffa finale: la mozione Rozza è passata con gli emendamenti peggiorativi della destra.

Il (futuro) Pd a Palazzo Marino si è messo nel solco tracciato da Filippo Penati. Il presidente della Provincia la settimana scorsa ha chiesto al governo «di Roma» di ripristinare il visto d'ingresso per romeni e bulgari (poi i bulgari li ha persi per strada, essendo i rom quelli da bloccare). Ha ripetutamente ipotizzato «maggioranze a geometria variabile». Come Sarkozy, ha individuato nel Sessantotto le scaturigini del buonismo e della non osservanza delle regole. Come Cofferati, del Pci ha rimpianto le cose peggiori: il culto dell'ordine e dell'autorità. Tutto questo parlare si è condensato in una delibera della giunta provinciale che destina 1 milione di euro al Patto per la sicurezza di Milano (serviranno a pagare gli straodinari ai poliziotti). Gli assessori di Rifondazione l'hanno approvata «credendo» che contestualmente una cifra analoga sarebbe andata per «l'inclusione sociale». Ne è nato uno scontro in pubblico e al calor bianco. Ieri Rifondazione ha dovuto cedere. Aspetta Penati in consiglio quando si voterà l'assestamento di bilancio. Per rimpiazzare i voti del Prc a Penati non basterebbero i voti della Lega e dell'Udc. L'alleanza variabile dovrebbe estendersi a Forza Italia. Formigoni glielo ha già chiesto e Penati si è ben guardato dal mandarlo a quel paese.

Così stando le cose sembra un'inezia (ma non lo è) il voto di ieri al Pirellone. Sulla proposta di legge iperleghista sul federalismo fiscale - roba che la Corte costituzionale butterebbe direttamente nella spazzatura - l'Ulivo si è graziosamente astenuto. Pur d'approvare qualcosa con la destra ha fatto a pezzi l'ordine del giorno concordato dall'Unione. Prc e Pdci hanno bocciato sia la legge che l'odg.

Cinzia Gubbini, «Anche noi rom vogliamo parlare basta decidere sulle nostre teste», il manifesto, 20 giugno 2007

Il comitato «Rom e sinti insieme» chiede partecipazione. E intanto si muove: «I nostri avvocati stanno valutando la possibilità di impugnare il patto di Milano»

Hanno già messo in campo i loro avvocati. L'obiettivo è valutare la possibilità di impugnare in tribunale, o davanti un organismo di giustizia internazionale, il patto per la legalità e la sicurezza siglato dal comune di Milano - per ora l'unico operante in Italia. «Riteniamo ci siano le premesse per considerare quel patto una discriminazione razziale», spiega Carlo Berini dell'associazione Sucar Drom («Bella strada» in lingua sinta). L'associazione fa parte del comitato «Rom e sinti insieme», un agglomerato di realtà che da anni lavorano con le minoranze rom e sinte in Italia. E' una novità importante - perché è difficile mettere in piedi coordinamenti nazionali di rom e sinti, e questo regge bene - ma anche interessante per l'analisi da cui muove. «Riteniamo che il sistema operato finora nei confronti di rom e sinti sia fallito perché si è sempre basato sul concetto di integrazione delle minoranze nella maggioranza numerica. Il modello che noi proponiamo è quello dell'interazione», dice Berini. A chi alza gli scudi contro i muri valoriali che anche le comunità rom frappongono con il mondo dei «gagè» ( i «non rom») risponde: «Certo che anche i rom devono cambiare, le società che non si muovono sono quelle destinate a morire. D'altro canto va considerato che se i rom e i sinti continuano a esistere dopo secoli di persecuzione, forse sono disposti al cambiamento più di quello che si pensa».

Ieri tre rappresentanti del comitato hanno tenuto una conferenza stampa a Roma proprio davanti Palazzo Chigi. All'interno si svolgeva un convegno sul razzismo e la discriminazione organizzato dall'Unar, l'ufficio contro il razzismo del ministero delle Pari Opportunità. Solo a pochi metri, in Largo Goldoni, nel pomeriggio Forza nuova raccoglieva firme per lo spostamento dei campi nomadi fuori dalla città. Eva Rizzin - ricercatrice universitaria e esponente del Comitato Rom e sinti insieme - ha puntato tutto sulla partecipazione: «Non siamo e non vogliamo essere minoranza senza voce. La verità è che da anni i rom e i sinti in Italia subiscono discriminazioni in tutti i campi, non soltanto in quello abitativo, e la loro partecipazione politica e sociale non è mai stata incentivata». Il comitato, intanto, sta pensando alla possibilità di organizzare una manifestazione nazionale (sarebbe la prima volta) e un convegno internazionale. Per quanto riguarda il patti di «solidarietà e sicurezza», come quello firmato anche a Roma, l'associazione RomAzione ha già inviato una lettera agli organismi internazionali, per metterne in luce gli aspetti più preoccupanti sotto il profilo della discriminazione razziale. «anche noi siamo per la legalità, pensiamo che se qualcuno commette un reato debba pagare, è ovvio - spiega Eva Rizzin - ma qui il problema è un altro: si ritiene che se un membro di una famiglia rom commette un reato, allora è tutta la famiglia a dover pagare e, ad esempio, ade essere cacciata da un campo». «Accadrebbe mai una cosa del genere per una famiglia italiana che vive in una casa popolare?», è la provocazione di Berini. «Allora è questo che stiamo dicendo: perché per le famiglie rom e sinte deve esistere un trattamento diverso? Questo tipo di "regolamenti" sono già stati sperimentata in diversi campi rom, e non hanno portato a nulla. La soluzione? Noi non la conosciamo. Ma pensiamo che può essere trovata solo ragionando insieme, con la partecipazione dei rom e dei sinti».

Postilla

Come già emerso platealmente nel caso di “Chinatown”, a Milano (e in generale nelle città italiane) il tema dell’urbanistica come idea generale di città sembra totalmente evaporato dalla coscienza e consapevolezza della pubblica amministrazione, sostituito vuoi da reazioni scomposte caso per caso, vuoi da “soluzioni” contestuali che perdono poi completamente di vista il contesto più ampio di sistema entro il quale dovrebbero collocarsi.

Ed esplode ora la questione dei Rom: vera esplosione “politica”, inserita nella sciagurata e autoreferenziale strategia dell’ormai a quanto pare ex centrosinistra all’inseguimento di fantomatici ceti medi produttivi del nord. Di fatto a fare invece inconsapevolmente concorrenza alla Lega e ai neofascisti sul medesimo terreno del disprezzo per la diversità, della diffidenza programmatica, del “padroni a casa nostra”.

E pure, anche il tema dei Rom è sostanzialmente e squisitamente urbanistico: almeno fin quando non sconfina in questioni di ordine sociale, comunque collegate. Ma l’ex urbanistica del disprezzo scivola ormai verso il disprezzo tout court , e poi verso il “disprezzo di sinistra”. C’è qualcosa, che l’urbanistica può fare a questo proposito? Vengono alla mente, le normali norme tecniche delle città americane soprattutto del West (ma anche a New York c’è un caso recente) con la dovizia di regole per i trailer parks , o il recente dibattito britannico enfatizzato dalla presenza dei nomadi sulle aree destinate alle Olimpiadi del 2012 nell’area di Stratford.

L’importante è parlare di qualcosa d’altro, diverso dall’orribile, inaccettabile, “numero chiuso” proposto dalla signora Carmela Rozza, eletta nelle liste DS al Comune di Milano, e con una carriera sindacale nel settore della casa. Brr! (f.b.)

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