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Luigi Scano
1985. La salvaguardia della Laguna (1973-1985)
20 Giugno 2007
Terra, acqua, società
Dalla legge speciale del 1973 al Consorzio Venezia Nuova, nelle cronache, nei documenti e nei ricordi di Luigi Scano. Brani da: Luigi Scano, Venezia: Terra e acqua, Edizioni delle autonomie, Roma 1985, con una postilla: Attualizziamo al 2003.

Il progetto di massima per la difesa dalle «acque alte»

(Capitolo XIV, 3)

La legge 16 aprile 1973, n. 171, come già si é accennato, attribuisce alla competenza dello Stato la «regolazione dei livelli marini in laguna, finalizzata a porre gli insediamenti urbani al riparo dalle acque alte», mediante «opere che rispettino i valori idrogeologici, ecologici ed ambientali ed in nessun caso possano rendere impossibile o compromettere il mantenimento dell'unità e continuità fisica della laguna». In adempimento a quanto previsto dalla stessa «legge speciale», il Consiglio dei ministri approva, il 27 marzo 1975, gli «indirizzi» per la formazione del piano comprensoriale relativo all'area veneziana, nei quali definisce altresì le linee secondo le quali dovrà muoversi la progettazione delle opere, di competenza dello Stato, per la regolazione dei livelli marini in laguna. Gli «indirizzi» stabiliscono infatti che «la conservazione dell'equilibrio idrogeologico della laguna e l'abbattimento delle acque alte nei centri storici, entro limiti tali da non turbare la funzionalità del sistema portuale e lo svolgimento delle attività quotidiane della popolazione, devono essere ottenute mediante un sistema di opere di regolazione fisso delle bocche che possa essere successivamente integrato da parti manovrabili, qualora si renda necessario, in relazione ai livelli di marea, addivenire alla chiusura totale delle bocche medesime».

Gli stessi «indirizzi» precisano che «nella definizione delle soluzioni tecniche va considerata l'influenza sul regime idrodinamico dell'apertura alla espansione delle maree delle valli da pesca... nonché delle aree già imbonite dalla cosiddetta terza zona industriale» che non siano destinate dal iano comprensoriale all'espansione delle strutture portuali commercia, e che «ulteriori interventi possono essere previsti per la accentuazione degli effetti riduttivi indotti dal restringimento fisso, quali:

- la riduzione delle resistenze alle maree della zona nord orienta­le della laguna;

- la riduzione a livello normale dei fondali, ora profondamente erosi dalle correnti, nel canale di S. Nicolò... nonché allo sbocco in la­guna dei porti-canale di Malamocco e Chioggia;

- l'aumento, con opportuni accorgimenti, delle dissipazioni di energia del flusso di marea lungo il percorso entro i porti-canali».

Secondo le indicazioni degli «indirizzi» il Ministro dei lavori pubblici dev'essere autorizzato, e lo é formalmente con la legge 5 agosto 1975, n. 404, a bandire un appalto-concorso internazionale «per la esecuzione delle opere necessarie ai fini della conservazione dell'equilibrio idrogeologico della laguna di Venezia e dell'abbattimento delle acque alte nei centri storici».

Tale appalto-concorso viene indetto con Decreto ministeriale l'11 settembre 1975; il termine di presentazione dei progetti, già previsto al 31 luglio 1976, viene prorogato al 31 dicembre dello stesso anno. Vengono presentati sei progetti, ma, non essendo uno di essi dichiarato ammissibile dalla Commissione giudicatrice, nominata con DM 7 aprile 1977, soltanto cinque restano in gara. Dopo 13 riunioni collegiali, e numerose riunioni di gruppi di lavoro, la Commissione giudicatrice, il 31 marzo 1978, conclude che nessuno dei cinque progetti esaminati, pur ritenuti meritevoli di particolare considerazione, può essere dichiarato idoneo, e pertanto delibera la non aggiudicazione della gara, auspicando, peraltro, idonee iniziative al fine di acquisire la disponibilità dei progetti e di utilizzare specifici contributi di taluni di essi in un quadro progettuale globale del problema di Venezia e della sua laguna.

Il 5 febbraio del 1979 il Consiglio comunale di Venezia approva all'unanimità un documento da inviare al Ministero dei lavori pubblici, in cui, fatte proprie sia le conclusioni che i suggerimenti della Commissione giudicatrice, chiede la costituzione di «una Commissione da parte del Ministero... d'intesa con la Regione, con il Comprensorio, con i comuni di Venezia e di Chioggia» per la messa a punto di un «progetto operativo».

Nello stesso documento si afferma che «la soluzione che sarà elaborata dovrà presentare caratteristiche tecniche e costruttive che rispondano ai criteri di gradualità, di flessibilità, di reversibilità», che «la regolamentazione del rapporto mare-laguna deve ottenersi progressivamente, mediante interventi opportunamente articolati che consentano la difesa dei centri storici dalle acque alte in misura sempre più incisiva con il procedere degli interventi, per i quali si potranno utilizzare con certezza i risultati tecnici, specie per gli aspetti idraulici, ricavati dalle fasi realizzate a partire dalle bocche di S. Nicolò di Lido e di Chioggia» e che «comunque, anche se si riterrà di procrastinare l'attuazione, i programmi tecnici degli interventi dovranno prevedere la possibilità di raggiungere nel tempo la difesa dalle acque alte eccezionali con efficaci sistemi».

II 22 dicembre 1979 un nuovo evento di «acqua alta» eccezionale riproduce largamente i danni e i drammi dell'inondazione del '66. Pochi giorni dopo, il 14 gennaio 1980, il Consiglio comunale, all'unanimità, vota un ordine del giorno in cui, preso atto dell'emanazione, avvenuta tre .orni prima, di un Decreto legge del Governo con cui il Ministero dei avori pubblici era stato autorizzato ad acquistare i progetti presentati all'appalto-concorso ed a conferire incarichi professionali «ai fini della soluzione tecnica da adottare per una idonea riduzione dell'acqua alta nei centri storici e per la progettazione esecutiva degli interventi», chiede «che il Parlamento converta in legge il... decreto..., che la progettazione sia completata sollecitamente e che vengano individuate procedure eccezionali anche per l'espletamento dell'appalto».

Ribaditi i contenuti dell'ordine del giorno del 5 febbraio 1979 il documento sottolinea l'esigenza di un «riassetto complessivo della laguna», nell'ambito del quale afferma essere necessario provvedere a:

«- la protezione dei litorali, mediante tutti gli interventi atti a ri3pascerli;

- la protezione verso laguna delle rive dell'estuario e delle isole; - il controllo costante e interventi conseguenti sui fondali della laguna al fine di provvedere all'adeguamento degli stessi ed alle esigenze di difesa della città e del suo estuario;

- l'adeguamento costante dei fondali alla profondità strettamente necessaria alle esigenze della navigazione»;

nonché predisporre «le iniziative per realizzare il massimo recupero del­le aree e zone da destinare alla libera espansione della marea».

Il 22/23 dicembre 1980 il Consiglio comunale di Venezia approva (con il voto favorevole di PCI, PSI, PRI, PSDI, PLI, contrario della Dc e di astensione del MSI) un ordine del giorno in cui, ribadita la necessi­

tà «di procedere alla regolamentazione del rapporto mare-laguna», sottolinea «l'assoluta necessità di perseguire un disegno volto ad invertire il processo di degrado in atto nell'ecosistema lagunare», ed in particolare si sofferma sugli «interventi... per la protezione ed il ripascimento dei litorali», sul. «ripristino e mantenimento dei fondali», sui provvedimenti atti ad «arrestare l'erosione dell'invaso, assicurare la vivificazione di tutti gli spazi lagunari, tutelare i tessuti barenosi», sulle «opere necessarie per il recupero di aree e zone da destinare alla libera espansione delle maree, ivi comprese Valle Brenta, le aree imbonite della terza zona (ad eccezione della cassa di colmata A...)» e le «valli da pesca», sulla accele­razione della «prevista conversione del sistema di approvigionamento petrolifero che dovrà avvenire attraverso oleodotti». Quanto agli inter­venti di «regolazione delle tre bocche di porto» tale documento afferma che essi «dovranno essere sperimentali, graduali, reversibili, flessibili», che dovranno' «conservare e garantire l'intangibilità dell'unità fisica ed ecologica della laguna», che dovranno «avere inizio partendo dalla boc­ca del Lido», ed «evitare realizzazioni che possano, anche in via transi­toria, aggravare la situazione idrodinamica della laguna».

Nel frattempo il Parlamento ha convertito in legge, il 10 marzo 1980, il Decreto prima citato, ed il Ministro dei lavori pubblici provve­de all'acquisto dei progetti presentati all'appalto-concorso nonché, l'11 1 giugno 1980, alla stipula di una convenzione con un gruppo di eminenti tecnici, il professor Augusto Ghetti, il professor Enrico Marchi, il professor Pietro Matildi, il professor Roberto Passino ed il professor Giannatonio Pezzoli, ai quali si aggiungono, a seguito di una ulteriore convenzione stipulata 1' l agosto dello stesso anno, il professor Jan Agema ed il dottor Roberto Frassetto.

I citati professionisti consegnano ufficialmente l'elaborato da loro prodotto, recante il titolo «Studio di fattibilità e progetto di massima» per la «Difesa della laguna di Venezia dalle acque alte», il 26 giugno 1981, al Ministro dei lavori pubblici.

Tale «Studio di fattibilità e progetto di massima» prevede, in estrema sintesi, la realizzazione di una serie di almeno due sbarramenti fissi trasversali (costituiti da dighe «a gettata», o «a scogliera») in ciascuna delle tre «bocche di porto» (di Lido, di Malamocco e di Chioggia), i più interni dei quali dotati di barriere mobili e sommergibili (realizzate con paratoie del tipo a ventola galleggiante diritta oscillante), capaci di attuare la chiusura totale dei varchi di comunicazione tra mare e laguna nei casi di marea superiore a 1/1,10 metri sul livello medio del mare [1].

Il Ministro dei Lavori pubblici, ricevuto lo «Studio di fattibilità e progetto di massima», provvede ad inoltrarlo, oltre che alla Commissione per la salvaguardia di Venezia ed al Consiglio superiore dei lavori pubblici, anche al Comune di Venezia, intendendo acquisire il parere in merito dagli enti locali interessati.

La Commissione per la salvaguardia di Venezia esamina l'elaborato nelle sue sedute del 23 settembre 1981 e del 13 gennaio 1982, e nella seconda occasione esprime un parere di massima favorevole.

Il Comune di Venezia, d'intesa con la Provincia di Venezia ed il Comprensorio dei comuni della laguna e dell'entroterra di Venezia, promuove l'esposizione al pubblico degli elementi essenziali dello «Studio di fattibilità e progetto di massima», dapprima, a partire dal 24 ottobre 1981, nell'Ala napoleonica di Piazza S. Marco, poi nella chiesa sconsacrata di S. Leonardo in Cannaregio, quindi nell'isola di Pellestrina. Provvede inoltre alla pubblicazione, in gran numero di copie, di un volume riproducente i testi e gli elaborati grafici esposti ed all'organizzazione di pubblici dibattiti.

Almeno trentamila persone visitano l'esposizione, e buona é la presenza e la partecipazione ai dibattiti promossi dal Comune, e ad atri, organizzati da associazioni di categoria e culturali e da partiti politici.

Pervengono al Comune di Venezia ben tredici pareri organici e motivati [2], e molte altre osservazioni e valutazioni.

Il dibattito nel Consiglio comunale di Venezia, apertosi l'8 febbraio 1982, con un'introduzione del sindaco Mario Rigo, ed un'ampia relazione del vice sindaco Gianni Pellicani, si conclude il 22/23 febbraio 1982 con il voto unanime di un documento in cui il «progetto di massima» é giudicato rispettare gli indirizzi dello stesso Comune e della «legge speciale», ma «limitatamente agli interventi volti a porre al riparo gli insediamenti urbani lagunari dalle acque alte».

E ciò in quanto il «progetto di massima»:

«- comprova la possibilità tecnico-gestionale di interventi che pongano al riparo i centri urbani dagli allagamenti nella piena ottemperanza del vincolo dell'unità fisica ed ecologica della laguna;

- assicura la contenuta influenza derivante dalla riduzione dei flussi tra mare e laguna sull'inquinamento delle acque lagunari, purché siano attuati i previsti programmi di disinquinamento;

- delinea soluzioni che possono esercitare un'influenza trascurabile sulla piena efficenza dell'essenziale ed irrinunciabile funzione portuale della laguna, anche nella prospettiva del rilevante aumento dei traffici previsto e voluto dalle scelte degli enti locali e dal progetto di piano comprensoriale».

Ribadendo peraltro come «l'abbattimento delle acque alte non possa che essere parte di un più generale intervento di riequilibrio idrogeologico della laguna, di recupero degli equilibri tra le diverse componenti dell'ecosistema, di arresto ed inversione del processo di degrado del bacino lagunare», il Consiglio comunale di Venezia invita, conseguentemente, «il Governo a definire, d'intesa con gli enti locali, un piano-programma organico... volto alle predette finalità e capace altresì di realizzare l'attenuazione dei livelli delle maree».

In tale prospettiva, tra l'altro, reputa:

«- irrinunciabile l'integrale attuazione del previsto piano di disinquinamento della laguna, prima del completamento delle progettate opere di regolazione del rapporto mare-laguna...;

- prioritaria la sollecita realizzazione, anche con la risistemazione degii assetti dei moli foranei, di tutti gli interventi necessari per la tutela, l ripristino ed il ripascimento dei litorali, la protezione verso laguna delle rive dell'estuario e delle isole, il contenimento dei fenomeni di erosione specialmene nel bacino di Malamocco, il controllo dei fondali ed il loro mantenimento costante alle quote da un lato necessarie alle esigenze della navigazione, dall'altro coerenti con le finalità di difesa della laguna, delle isole e dell'estuario;

- improrogabile la progettazione e la successiva immediata attuazione...; di tutte le opere necessarie per il recupero alla libera espansione delle maree di aree e zone ad essa sottratte...

- indilazionabile la già prevista conversione del sistema di approvigionamento petrolifero dell'area...».

Nel frattempo, il 14 dicembre 1981, il Consiglio comunale di Chioggia ha approvato (con il voto favorevole di DC, PSI, PSDI, e l'astensione del PCI) un documento in cui si afferma essere «impossibile esprimere... un parere positivo... senza precise indicazioni» in merito al «rispetto del sistema di trasporto e deposito dei detriti sabbiosi sul litorale», ali'«attuazione delle politiche di disinquinamento del bacino lagunare», alla «difesa dell'accessibilità alle bocche di porto», alla «verifica della possibilità di un intervento finalizzato alla difesa dei centri di Chioggia e Sottomarina dalle acque alte normali».

Il Consiglio superiore dei lavori pubblici, nella sua adunanza del 27 maggio 1982, giudica il progetto di massima «meritevole di approvazione», ma esprimendo una notevole quantità di osservazioni critiche, e comunque sottolineando la necessità di svolgere ulteriori ricerche prima di passare ad una fase realizzativa.

Intanto da piú parti, ed anche dal Consiglio comunale di Venezia (con l'ordine del 11 orno, già richiamato, del 22/23 febbraio 1982), si é auspicato, al fine di ottenere una celere realizzazione degli interventi in laguna, che si proceda all'esecuzione delle opere attraverso l'istituto della «concessione». In tale prospettiva si costituisce un consorzio di imprese denominato «Venezia nuova» [3]. Il 18 dicembre 1982 viene stipulata tra il Magistrato alle acque di Venezia, per conto del Ministero dei lavori pubblici, e tale consorzio, una concessione, a seguito della quale il consorzio avrebbe dovuto provvedere ad attuare parte degli studi, delle ricerche, delle sperimentazioni richieste dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, nonché a realizzare il tratto centrale dello sbarramento fisso alla bocca di porto di Lido. Il 15 luglio 1983 la Corte dei conti nega il visto di esecutività al decreto di approvazione della concessione, eccependo, sostanzialmente, che, ai sensi elle leggi vigenti, «le concessioni di sola costruzione possono essere affidate a trattativa privata... soltanto quando ciò sia espressamente consentito da una norma speciale», mentre ordinariamente é previsto che «l'affidamento avvenga previo esperimento di una qualche forma di gara», e che «la concessione considerata non contempla l'esercizio delle opere da realizzare» e pertanto «é da ritenersi di sola costruzione». La vicenda, che viene conosciuta soltanto a seguito dell'intervento della Corte dei conti, e grazie ad esso, suscita nuove polemiche. In particolare, l'onorevole Bruno Visentini, presidente nazionale del PRI, scrive: «a dieci anni dalla legge speciale di Venezia, i problemi della tutela fisica della città storica... sono rimasti non risolti. Si parla ora di affidare in concessione ad un consorzio di imprese... il compito di realizzare quanto é necessario: iniziando, a quanto pare, da un incarico per ulteriori studi e progetti... e continuando con l'incarico per la realizzazione delle opere... Ma se si procedesse in questo modo si incorrerebbe in alcuni fondamentali errori di metodo e in alcune inammissibili elusioni di competenze decisionali.

L'incarico non può avere per oggetto le scelte sull'avvenire della laguna... Tali scelte spettano all'organo politico... Sembra infine che gli ulteriori studi da effettuare, le ricerche da svolgere e le sperimentazioni da compiere... nonché i controlli tecnico-scientifici sugli interventi... non possano essere affidati al medesimo concessionario della realizzazione degli interventi, ma debbano essere attribuiti a soggetto diverso, che abbia grande autorità e sia capace di porsi in aperta dialettica con il concessionario».

Le polemiche rimbalzano in seno alla IX Commissione della Camera dei deputati, che ha all'esame alcune proposte di risoluzione su Venezia, presentate dalla DC, dal PCI e dal PRI. Alla fine, il 27 ottobre 1983, la Commissione vota all'unanimità una risoluzione che, seppur elusiva circa il nodo dell'affidamento degli studi, delle sperimentazioni, e della realizzazione delle opere, impegna il Governo da un lato «a presentare entro tre mesi un rapporto globale sullo stato degli interventi per la salvaguardia di Venezia» e dall'altro «a definire, sentiti gli enti locali interessati, un programma unitario e globale degli interventi».

Il Ministero dei lavori pubblici, Franco Nicolazzi, non se ne dà per inteso, e men che mai si preoccupa delle critiche rivolte al tentato uso dell'istituto della «concessione». Il 24 febbraio 1984, infatti, viene stipulata, tra il Magistrato alle acque di Venezia ed il consorzio «Venezia nuova», una seconda convenzione, aggiustata in maniera da superare le obiezioni formali mosse dalla Corte dei conti alla precedente, ma non dissimile da questa nei contenuti, ed ancor meno nella «filosofia»; questa volta il relativo decreto é registrato, in data 10 marzo 1984.

Ma, come si vedrà, le polemiche sui temi sollevati, e sulle loro implicazioni, non sono destinate a sopirsi, ed animeranno il dibattito sul nuovo provvedimento legislativo speciale per l'area veneziana, in gestazione presso il Parlamento".


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La nuovissima legge speciale (Capitolo XV, 5)

A pochi anni dalla loro entrata in vigore, la «legge speciale» 171/1973 ed il relativo DPR 791/1973 (concernente il risanamento conservativo dei centri storici lagunari), mostrano già i loro limiti, le loro carenze, l'arretratezza culturale della loro ispirazione. Certamente assai scarsa ne é stata l'incidenza sulla promozione del tessuto edilizio storico, e pressoché nulla in relazione all'obiettivo - pur generalmente ritenuto il più qualificante culturalmente e politicamente - di «governare» un quantitativamente rilevante recupero del patrimonio abitativo, garantendone la positività degli esiti sia «formali» che «sociali».

[…]

Il 27 dicembre 1983, approvando la legge finanziaria per il 1984, il Parlamento stanzia 200 miliardi per «nuovi interventi per la salvaguardia di Venezia», con l'impegno che altri due stanziamenti di pari entità siano successivamente disposti dalle leggi finanziarie per il 1985 ed il 1986.

Gli ultimi giorni di gennaio del 1984 i rappresentanti dei gruppi consiliari del Comune di Venezia consegnano al Ministro dei lavori pubblici una bozza, unitariamente sottoscritta, di «pre-articolato» di legge contenente proposte in ordine agli interventi da effettuare, nonché alle procedure realizzative degli interventi implicanti più dirette competenze comunali.

Il 6 febbraio 1984 il gruppo repubblicano della Camera presenta un proprio disegno di legge, non sostanzialmente difforme dall'elaborato comunale, ed in più, e particolarmente, volto a specificare gli obiettivi ed a fissare le procedure di realizzazione degli interventi di competenza dello Stato, cioè essenzialmente di quelli di sistemazione idrogeologica del bacino lagunare.

Il 14 giugno 1984 il Ministro dei lavori pubblici sottopone al governo una propria bozza di disegno di legge, che non e approvata perché dichiarata non condivisibile dei ministri repubblicani, la cui posizione viene appoggiata da quelli liberali.

Il 5 luglio 1984 la DC, il PSI ed il PSDI presentano congiuntamente alla Camera, di propria iniziativa, il testo elaborato dal Ministro dei lavori pubblici.

Il 20 luglio 1984 il PCI avanza una propria proposta che, quanto agli interventi in laguna, ricalca quella repubblicana, mentre si rifà piuttosto al testo ministeriale per gli altri aspetti.

Nel frattempo il Consiglio comunale di Venezia vota vari altri documenti, talora unitariamente, talaltra no, variamente stigmatizzando i ritardi di governo e Parlamento, nonché esprimendo critiche anche di merito all'elaborato ministeriale, ma senza misurarsi direttamente con la vera ragione dell'«impasse» protrattasi, e ciò grazie all'orientamento assunto (correttissimo sotto il profilo formale, ma anche certamente funzionale ad evitare l'esplodere di contraddizioni interne alla stessa maggioranza, PCI - PSI - PRI, che governa la città) di non esprimere, perché Consiglio comunale, giudizi circa i modi in cui la nuova legge debba regolare i processi decisionali e gestionali di opere, quali quelle in laguna, di competenza dello Stato.

Mentre, per converso, proprio su tali ultimi contenuti del nuovo provvedimento legislativo (o, il che e lo stesso, sul dovere o no il nuovo provvedimento avere anche tali contenuti) si verificano le più forti divaricazioni.

Il moltiplicarsi dei disegni di legge, infatti, così come l'incapacità del governo di definirne uno proprio, non sono frutto di «bizantinismi», o di scaramucce «di schieramenti». Si tratta, al contrario, di un dislocarsi delle forze politiche - certamente piuttosto anomalo rispetto agli schemi consueti - con esclusivo riferimento ad alcuni nodali «contenuti», di merito e di metodo.

I disegni di legge presentati, infatti, non contengono differenziazioni sostanziali in ordine alla tematica del risanamento conservativo dei centri storici lagunari, o a quella del «disinquinamento» idrico, ed anche sui previsti stanziamenti a favore delle attività produttive dell'area veneziana i contrasti, pur esistenti, paiono in qualche modo componibile. Ma quanto agli obiettivi degli interventi sulla laguna, e quindi alla regolamentazione delle modalità della loro effettuazione, sono palesemente coerenti gli uni con l'una, gli altri con l'altra delle due «logiche» che in materia da qualche tempo si confrontano e si scontrano 38.

La prima «logica» concepisce la laguna veneziana come un comune bacino d'acqua regolato da leggi essenzialmente «meccaniche», e rivolge il proprio esclusivo interesse all'eliminazione del fenomeno delle periodiche inondazioni dei centri abitati lagunari - le famose «acque alte» - attraverso interventi «ingegneristici» sui varchi di comunicazione tra mare e laguna: in buona sostanza, mediante l'installazione in tali varchi di apparati mobili di regolazione dei flussi mareali.

La seconda «logica» intende invece la laguna come un delicato ecosistema complesso, regolato da leggi che, con qualche forzatura, sono piuttosto apparentabil i alla «cibernetica», e rivolge i propri interessi alla conservazione ed al ripristino globale delle sue essenziali caratteristiche di zona di transizione tra mare e terraferma attraverso un complesso coordinato di interventi diffusi, capaci, tra l'altro, di attenuare i livelli di marea e quindi di porre al riparo gli insediamenti urbani delle «acque alte» medio-basse e più frequenti, riducendo la funzione degli sbarramenti manovrabili da realizzare ai varchi tra mare e laguna a quella di intercettare le maree di eccezionale livello e frequenza.

A questa seconda «logica» si vogliono richiamare il PRI, il PCI ed il PLI, ed é forse opportuno rammentare come questa sia la logica che si evince dalla precedente «legge speciale per Venezia», del 1973, che presiede agli «indirizzi» per la pianificazione del comprensorio veneziano dettati dal governo nel 1975, che e compiutamente sviluppata ed espressa nel progetto di piano comprensoriale votato nel 1980, nelle osservazioni - integrazioni a tale progetto avanzate dal Comune di Venezia nel 1982, in svariati documenti votati, talvolta all'unanimità, dallo stesso Comune negli ultimi anni.

Perciò i disegni di legge del PRI e del PCI, oltre ad enunciare compiutamente ed articolatamente gli obiettivi del complesso degli interventi da effettuarsi in laguna, prevedono la definizione di un «piano unita rio e globale» (da adottarsi dal governo, ed approvarsi dal Parlamento) di tali interventi (nonché dei necessari studi, ricerche e sperimentazioni), in cui, con particolare sottolineatura, si richiede siano evidenziate le correlazioni tra gli interventi previsti e venga definito l'ordine logico e cronologico della loro attuazione, che si prevede vincolante rispetto ad ogni finanziamento pubblico per interventi del tipo considerato, con l'eccezione di talune categorie di opere, di natura, per così dire, meramente «conservativa» o «manutentiva», e/o di riconosciuto carattere urgente.

Alla prima delle due «logiche» dianzi sommariamente esposte pare invece vogliano rifarsi il Ministro dei lavori pubblici e, appresso a lui, la DC, il PSI ed il PSDI. Lo si evince dal modo, generico e riduttivo, in cui nell'elaborato del primo, fatto proprio dai secondi, sono enunciati gli obiettivi degli interventi sulla laguna, e dall'assenza, nel medesimo elaborato, di ogni e qualsiasi previsione di inquadramento programmatorio degli interventi stessi.

I disegni del PRI e del PCI contemplano entrambi, inoltre, che per l'effettuazione del complesso degli interventi sulla laguna sia utilizzato l'istituto della «concessione» della realizzazione delle opere, ma al contempo prevedono:

- che se ne fondi normativamente la possibilità, definendone i lineamenti essenziali;

- che l'affidamento in «concessione» della realizzazione delle opere si riferisca e si conformi al piano unitario e globale degli interventi; - che vi siano fasi e momenti di verifica, controllo, eventuale adeguamento progettuale degli interventi «concessi», da parte dei pubblici poteri;

- che, infine, gli studi, le ricerche, le sperimentazioni (salvo quelle strettamente correlative agli aspetti esecutivi delle singole opere), nonché i controlli tecnico-scientifici, siano affidati a soggetti diversi dall'esecutore - «concessionario» delle opere, dotati di mezzi, strumenti ed autorità tali da potere esercitare pienamente ed efficacemente il proprio ruolo, anche ponendosi in aperta dialettica con il «concessionario».

L'elaborato del Ministro dei lavori pubblici, fatto proprio da DC, PSI e PSDI, tace affatto su tutto questo complesso di tematiche. Ma é ben noto essere convinzione e volontà del Ministro dei lavori pubblici di «concedere» allo stesso raggruppamento di imprese private, il consorzio «Venezia nuova», sia la realizzazione di tutti gli interventi (nell'ottica riduttiva di cui si é detto) che l'effettuazione dei relativi studi, ricerche, sperimentazioni, controlli tecnico-scientifici. In buona sostanza, di «concedere» al medesimo soggetto l'attuazione di opere, ed anche di giudicarne, a monte ed a valle, la validità.

Il 3 ottobre 1984 la IX Commissione della Camera dei deputati, dopo vivaci alterchi e concitate mediazioni, giunge ad approvare all'unanimità, in sede legislativa, un testo che, approvato anche dalla competente Commissione del Senato, sempre in sede legislativa, diviene la legge 29 novembre 1984 n. 798.

Quanto agli obiettivi degli interventi sulla laguna, la nuova legge stabilisce che questi ultimi devono essere «volti al riequilibrio della laguna, all'arresto ed all'inversione del processo di degrado del bacino lagunare ed all'eliminazione delle cause che lo hanno provocato, all'attenuazione dei livelli delle maree in laguna, alla difesa con interventi localizzati delle insulae dei centri storici, ed a porre al riparo gli insediamenti urbani lagunari dalle acque alte eccezionali, anche mediante interventi alle bocche di porto con sbarramenti manovrabili per la regolamentazione delle maree».

È quindi pienamente assunta, e puntualmente descritta, la «logica» che era stata espressa nei disegni di legge del PRI e del PCI, e sostenuta anche dal PLI.

In ordine alle modalità di realizzazione degli interventi si prevede la costituzione di uno speciale Comitato, composto dal Presidente del consiglio, dai ministri interessati e dai rappresentanti degli enti locali, cui «é demandato l'indirizzo, il coordinamento, ed il controllo», ma che non é espressamente sancito debba, per assolvere i suoi compiti, preliminarmente definire quel «piano unitario e globale degli interventi» che era indicato nei disegni di legge del PRI e del PCI, ed era stato ripetutamente richiesto. La previsione del predetto Comitato, ed i compiti, generali e specifici, che gli sono affidati, sono quindi soltanto la premessa logica ed istituzionale dalla quale partire per ottenere la formazione di tale «piano unitario e globale».

Per il resto viene normativamente fondata la possibilità di affidare la realizzazione degli interventi «in concessione», ma non si definiscono i lineamenti di quest'ultima, limitandosi a prevedere che il Comitato di cui s'e detto si pronunci sulle connesse convenzioni, si demanda ad un decreto del Ministro dei lavori pubblici la precisazione (seppure «sulla base delle convenzioni» decise dal Comitato) «delle modalita e delle forme di controllo sull'attuazione delle opere affidate in concessione», ed infine, e soprattutto, non solamente non si precisa che gli studi, le ricerche, le sperimentazioni debbono essere affidate a soggetti diversi dall'esecutore «concessionario» delle opere, ma si fa esplicita menzione della concessione «in forma unitaria» sia degli interventi che degli studi e delle progettazioni.

[…]


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Attualizziamo al 2003

Postilla di E. Salzano

Lo scontro di oggi, che vede opporsi i sostenitori del MoSE ai suoi avversari, trova le sue radici – come Luigi Scano ci ricorda in queste pagine datate 1985 – in anni molto lontani. Esse sono indubbiamente in quelle due “logiche” alle quali Scano si riferisce: quella che “concepisce la laguna veneziana come un comune bacino d'acqua regolato da leggi essenzialmente «meccaniche”, e quella che “intende invece la laguna come un delicato ecosistema complesso, regolato da leggi che, con qualche forzatura, sono piuttosto apparentabili alla cibernetica, e rivolge i propri interessi alla conservazione ed al ripristino globale delle sue essenziali caratteristiche di zona di transizione tra mare e terraferma attraverso un complesso coordinato di interventi diffusi”.

Se le concezioni che si confrontano sono le stesse, esistono comunque due differenze consistenti.

1) Allora, la posizione “meccanicista” era sostenuta, tra le forze locali, quasi esclusivamente dalla componente craxiana del PSI, autorevolmente rappresentata da Gianni De Michelis e da componenti minoritarie della DC, mentre a livello nazionale era appoggiata anche dalla potente pattuglia dei socialdemocratici del PSDI. Oltre che, naturalmente, dalle lobby legate all’edilizia e all’ingegneria pesante. Oggi quella medesima concezione è sostenuta dalla destra al potere a Roma e da una parte consistente del centrosinistra veneziano, a partire dal suo massimo esponente e sindaco della città.

2) Allora, anche per la presenza nello schieramento locale di personalita’ di rilievo a livello nazionale (come Bruno Visentini e Gianni Pellicani), la posizione “sistemica” godeva di un appoggio più largo rispetto a oggi dell’opinione pubblica nazionale, e in particolare nei settori legati all’ambientalismo e alla tutela dei beni culturali.

Ha indubbiamente inciso, nel provocare l’indebolimento del fronte antagonista alla “logica MoSE”, sia il profondo mutamento del quadro politico e culturale generale (Berlusconi non rappresenta solo se stesso, né solo l’ideologia della destra), sia l’immane potere di condizionamento dell’informazione dispiegato da quella vera e propria macchina di guerra che è il Consorzio Venezia Nuova, praticamente monopolista dell’informazione con i mezzi forniti dal contribuente. E per conquistare consenso ad una soluzione di un problema complesso come quello dell’equilibrio dellaLaguna, il monopolio dell’informazione è l’arma vincente.

* Nello scansire ed editare il testo ho corretto alcuni errori di battitura (e forse ne ho aggiunti altri) e ho eliminato alcune note di richiamo ad altre parti del volume (es)

[1]Per una più ampia esposizione degli elementi essenziali dello «Studio di fattibilità e progetto di massima», nonché -delle vicende connesse, si veda: Comune di Venezia, La salvaguardia fisica della laguna, a cura di Luigi Scano, Francesco Gostoli e Caterina Barovier, Marsilio Editori, Venezia, 1983.

[2] Da: Associazione fra le case di spedizione, spedizionieri e agenti marittimi della Provincia di Venezia; Provveditorato al porto di Venezia; Camera di commercio, indu­stria, artigianato e agricoltura; Azienda autonoma di soggiorno e turismo; Associazione degli industriali della provincia di Venezia ed Ente zona industriale di Porto Marghera; Associazione per la tutela del patrimonio naturale, storico, artistico, dell'estuario della laguna di Venezia «Estuario Nostro»; Associazione civica «Venezia Serenissima»; «Italia Nostra»; Unione commercianti ed esercenti della provincia di Venezia; Associazione Artigiani della provincia di Venezia, Associazione veneziana albergatori; Consigli di Quar­tiere di Dorsoduro, San Polo, Santa Croce, Giudecca e Pellestrina; Collegio degli ingegneri della provincia di Venezia; Unione veneziana del Partito Repubblicano Italiano; C.I.S.L.; Federazione dei portuali (F.I.L.P.).

[3] Del quale, salvo errori od omissioni, entrano a far parte (le cifre fra parantesi indicano la percentuale di partecipazione): Condotte d'acqua (2,0%); Impresit (20%); Fincosit (20%); Sacug (15%); Lodigiani (5%); Consorzio S. Marco-Furlanis, Grassetto, CIR, Maltauro, Cosma, Vittadello, Sacaim, Codelfa, CCC (15%); Consorzio Rialto-Foccardi, Scuttari, Boscolo, Busetto, Ferrari, Coop. San Martino, Rossi (5%).

Il testo integrale dei capitoli del libro di L. Scano:

Il progetto di massima per la difesa dalle acque alte.pdf

La nuovissima legge speciale.pdf

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