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Sergio Brenna
Urbanistica contrattata a Milano: Gli scali FS e la cacciata dei cinesi
26 Maggio 2007
Milano
Due casi recenti: il modello ex Fiera applicato agli ex scali FS e i commercianti cinesi deportati nell’hinterland. Corrispondenza del 26 maggio 2007 per eddyburg, con una postilla

Premiano la rendita al di là di ogni aspettativa

Mauro Moretti, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, nelle dichiarazioni alla stampa (Sole/24 ore, 21.3.07; Repubblica/Affari e finanza, 26.3.07) seguite all’accordo con il Comune di Milano sulle prospettive di riutilizzo edificatorio degli scali ferroviari in dismissione (circa 1.500.000 metri quadri) stima che i proventi dell’operazione vadano dai 600 agli 800 milioni di euro. “Non è possibile indicare la cifra esatta – egli sostiene – perché dipenderà dai parametri minimi e massimi di edificabilità che saranno assegnati a ciascuna area”.

Tuttavia, nel luglio 2005 i rispettivi predecessori al vertice di FS e del Comune, Elio Catania e Gabriele Albertini, in un protocollo d’intesa antesignano dell’attuale accordo, dichiaravano che avrebbero applicato a quelle aree il modello utilizzato per il riuso dell’area dell’ex Fiera di Milano: bene, se c’è qualcosa che quel modello ci ha chiaramente insegnato è che non si possono utilizzare le aspettative di reddito dei proprietari fondiari per determinare le volumetrie edificabili nel riuso delle aree in dismissione.

Nel riutilizzo dell’ex Fiera (circa 250.000 mq), la Fondazione proprietaria dell’area, per sua stessa dichiarazione, puntava a realizzare 250 milioni di euro, ciò che, ai prezzi usuali con cui veniva remunerata la rendita fondiaria a Milano (300 euro/mc ossia 900 euro al mq edificabile), richiedeva l’edificabilità di circa 800-900 mila mc, cioè una quantità circa doppia di quella ammessa dall’indice attribuito dal Comune alle altre aree in dismissione (0,65 mq/mq).

Infatti, la Variante che il Comune ha graziosamente concesso a Fondazione Fiera (notoriamente monopolizzata nei suoi vertici dalle nomine di osservanza ciellina fatte dalla Regione) ha attribuito, senza nessun criterio ragionevolmente giustificabile, un indice di edificabilità quasi doppio (1,15 mq/mq) di quello di tutte le altre proprietà fondiarie in riuso.

La cosa più stupefacente è che quando, nell’offerta pubblica di vendita condotta da Fondazione Fiera, gli aspiranti acquirenti hanno offerto più del doppio (523 Milioni di euro) di quanto la proprietà fondiaria dichiarava di aspettarsi, il Comune ha ritenuto che quell’assurda ed ingiustificata quantità edificatoria fosse comunque un diritto ormai acquisito dalla proprietà, la quale si è tenuta ben stretto il surplus realizzato a scapito della qualità insediativa dell’ambito urbano.

Si possono dimezzare gli indici

Vi è, tuttavia, un insegnamento positivo da trarre da questa brutta vicenda, caratterizzata dall’atteggiamento di sudditanza del Comune verso Fondazione Fiera e l’organizzazione che la dirige (non così i cittadini, che continuano a difendere da sé i propri diritti con i ricorsi amministrativi in atto) ed è che essa costituisce la prova provata che nelle trasformazioni urbane di grande dimensione e lungo periodo i grandi investitori finanziari sono disposti a remunerare la rendita fondiaria circa il doppio che negli interventi a breve e di più modesta dimensione (probabilmente non credendo affatto ai ventilati allarmi di sgonfiamento della cosiddetta bolla speculativa immobiliare).

Stando così le cose, l’aspettativa di FS di realizzare circa 700 milioni di Euro dalla cessione ai promotori immobiliari di circa 1 milione di mq di scali ferroviari in dismissione, sulla base di una remunerazione di circa 600 euro/mc (pari a 1.800 euro al mq edificabile), potrà essere soddisfatta con un indice edificatorio non superiore a 0,50 mq/mq. pari a non più di 1.500.000 mc. di edificazione (e non gli oltre 3,500.000 mc che deriverebbero dall’uso ingiustificato dell’indice 1,15 mq/mq).

Si tratta certo di discutere dove localizzarli, quanto concentrarli più opportunamente e quali rapporti promuovere tra funzioni, tipologie edilizie e spazi pubblici: compito che non può che spettare alla pubblica decisione e non al promotore immobiliare, alla ricerca di una facile ed effimera immagine-spettacolo, come è accaduto nel caso dell’area ex Fiera.

Chi sono i veri egoisti nella Chinatown story

Basti pensare alla notizia, apparsa ripetutamente nelle cronache milanesi di questi giorni, che per far fronte agli episodi di turbativa dell’ordine pubblico verificatisi nelle scorse settimane nella zona di via Paolo Sarpi dove si concentrano gran parte delle attività di commercio all’ingrosso gestite da operatori cinesi, la Sindaca di Milano, Letizia Moratti,e il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, propongono di trasferirle nell’hinterland all’ex Alfa Romeo di Arese, in totale difformità dall’Accordo di programma tra Regione, Provincia e comunità locali, che ne prevede la reindustrializzazione con produzioni legate alla mobilità sostenibile.

Le giuste e comprensibili resistenze avanzate dai rappresentanti delle comunità locali all’improvvisato cambio di programma sono state bollate da Regione e Comune di Milano come espressione di egoismo localistico ed incapacità di farsi carico di problemi generali.

Il Comune di Milano, però, si dimentica di dire che nel Protocollo d’intesa con FS del 20 marzo scorso per il riutilizzo degli scali ferroviari in dismissione rientra anche lo scalo Farini, di circa 500.000 metri quadri, vicinissimo a Paolo Sarpi, per il quale si indicano solo ipotesi di massima valorizzazione immobiliare con case ed uffici. Né il Comune né FS hanno pensato minimamente alla rilocalizzazione del commercio all’ingrosso di via Paolo Sarpi, puntando solo alla massima valorizzazione immobiliare

Chi sono, dunque, i veri egoisti ? Non sarebbe opportuno, invece, prevedere una STU (Società di Trasformazione Urbana) tra Comune, FS e commercianti cinesi che gestisca la vendita degli immobili usati impropriamente in via Paolo Sarpi e il reinvestimento in nuove e più adeguate edificazioni sulle aree ex scalo Farini, trovando le opportune leve finanziarie che facilitino il buon esito dell’operazione ed evitino ogni rischio speculativo ?

Senza un piano urbano e metropolitano che dia senso generale e di medio-lungo periodo alle scelte localizzative che si vanno operando è inevitabile che a prevalere nell’uso della città sia la speculazione immobiliare a breve, di cui il Comune finisce per essere succube, anziché svolgere un ruolo anticongiunturale e di tutela degli interessi collettivi.

Postilla

Non solo regalano ai privati un valore economico che è frutto della collettività, non solo affidano loro la progettazione della città, non solo aiutano gli industriali a spostare risorse della produzione (salari e profitti, innovazione, ricerca) alla rendita parassitaria, ma non sanno neppure fare bene i conti. Naturalmente, sbagliano a danno della collettività che rappresentano.

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