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Giorgio Todde
Tuvixeddu, L’ossessione del mattone porta a uno sviluppo senza controllo
28 Febbraio 2007
Giorgio Todde
La necropoli di Tuvixeddu, a Cagliari, cerca di resistere ...

Questo articolo è pubblicato contemporaneamente su eddyburg.it e su la Nuova Sardegna del 6 febbraio 2007

La necropoli di Tuvixeddu, a Cagliari, cerca di resistere a ingegneri, architetti valorizzatori, giunte comunali, progettisti, manager e managerini. I nostri antenati che sono stati sepolti nel colle, alla fine, si difenderanno.

Il rettore a vita dell’università di Cagliari ha dichiarato, a proposito della “questione” Tuvixeddu, che nella nostra capitale non si riesce a cambiare mai nulla. E siccome non ci sono eccezioni a questa regola, da quasi un ventennio non cambia neppure lui. Ha ragione il rettore-urbanista il quale ha molte responsabilità nel progetto originario che prevedeva più di 600.000 metri cubi sparsi su Tuvixeddu, ha ragione. Una città così cristallizzata in piccoli poteri fissi non combinerà mai nulla di buono. Questa rigidità minerale si riverbera su ogni attività, su università e intelletti, progetti e intraprese, politica ed economia, e anche sull’opinione pubblica. Questa sostanziale anima paurosa le impedisce perfino di essere considerata capitale dell’isola. La città segue un orologio a sé stante, che misura una sua ora diversa. E quando qualcosa si muove accadono disgrazie, mandiamo in frantumi pezzi preziosi e proteggiamo con cura il peggio, sempre.

Il tentativo di speculazione delle imprese che vogliono costruire sul colle lo avevano previsto perfino i nostri morti. E avevano immaginato come qualcuno avrebbe fatto scomparire i costoni bianchi e abbaglianti del colle coprendoli con palazzine dozzinali in cambio di un guadagno immediato e di un danno eterno. Si inizia col ricoprire i costoni di metri cubi, si urbanizza (già fatto) un versante della collina e poi, magari, nasceranno altre palazzine sino a che il sudario di cemento ricoprirà tutto. E si parla di impresa, di diritti dell’impresa, di pregi dell’impresa trascurando che per la nostra Costituzione i beni culturali, paesaggistici e archeologici sono un valore primario, un’immensa ricchezza, e vengono prima dell’impresa. Così è in un paese civile. Si grida addirittura che, sospesi i lavori, non c’è più certezza del diritto perché le carte sarebbero a regola d’arte. Le solite carte, non sempre in regola, con le quali si è devastata mezza isola. E si dimentica che, invece, è stato un giudice - espressione vivente del diritto - che ha stabilito, secondo legge e in modo esemplare che il cantiere doveva fermarsi. La certezza del diritto c’è, per fortuna, e la esercita chi deve esercitarla.

Il progetto che attenta a Tuvixeddu è un progetto integrato, prevede cioè una cooperazione tra pubblico e privato. E così il privato, non contento di cancellare le falde candide del colle, ha fatto dono al comune del più volgare giardinetto pubblico che sia dato vedere accanto a un parco archeologico. Lungo i dirupi bianchi del colle, dove fioriscono orchidee, nidificano i falchi, accanto alle tombe scavate nella roccia, in un grande catino che aveva un fascino raro, beh, là un progettista ha sfigurato l’area costruendo un cosiddetto parco attrezzato, un giardinetto che se ne impipa del contesto e ha l’aria di una Milano 2 . Muri e muretti grigi, fioriere, senza dimenticare un laghetto artificiale zen, un totale sovvertimento del luogo che è irriconoscibile, sfregiato. Nessun rispetto del sito, nessun rispetto della storia. Il rispetto mancava prima quando il catino era ridotto ad una discarica e manca ora che il catino sembra una piazzetta di periferia. Si passa dallo stupore allo sconforto davanti alla squallida trasformazione di un’area sacra per millenni, diventata un “parco attrezzato” da sobborgo. Bisogna vederlo questo “parco” : hanno spianato la vecchia cava, resa docile e levigata. Lo si vede e di colpo si capisce che la nostra Isola, il suo patrimonio di paesaggi e di resti del passato non hanno nessuna speranza di sopravvivere.

Non potevano i defunti della necropoli prevedere che alcuni funzionari deputati a proteggere le loro tombe gli si sarebbero rivoltati contro. Essi vedevano uno scudo nella Soprintendenza. Invece la Soprintendenza ha dato il suo assenso a questa spartizione di un’unica area omogenea. E i responsabili degli uffici di tutela, anziché pattugliare il colle giorno e notte, anziché difenderlo per intero, hanno assecondato lo spezzettamento in tre parti, hanno dato l’assenso ad un’alterazione grave dei luoghi e difeso pubblicamente il progetto sino a permettere un laghetto artificiale. D’altronde un autorevole rappresentante della nostra Soprintendenza ha dichiarato che sua funzione è “mediare”. E a Tuvixeddu questa disastrosa teoria della mediazione (che significa cedere ogni volta una parte non riproducibile di un bene) ha prodotto un danno irreversibile che fa il paio con il Poetto, stesso grigiore dove prima splendeva il bianco. Hanno cambiato perfino il colore del posto che, si vede, non era gradito al progettista del giardinetto pubblico. Un paesaggio è fatto di linee e di colori e quando si falsificano, appunto, le linee e i colori allora lo si sta privando con violenza dell’identità, lo si distrugge per il capriccio di un architetto.

Nessun progettista possiede l’autorità di ridisegnare secondo il proprio ghiribizzo un sito di quell’importanza. I luoghi li distruggiamo per mancanza di cura o per eccesso di cura e sul colle c’è un accanimento atroce, davvero doloroso.

Le sue falde candide diventeranno la solita sfilata di palazzine per il ragionamento distruttivo che se c’è un angolo libero lo si riempie di mattoni, perché “fare e fare” produce benessere. Un equivoco tragico, la perdita del controllo dello sviluppo che si è ammalato e ha causato la sparizione del paesaggio nella maggior parte di questo paese governato e ossessionato dal mattone.

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