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Mario Pirani
La rivincita dei partiti
10 Febbraio 2007
Articoli del 2006
Si riuscirà a correggere il ritorno della partitocrazia, reintrodotta in versione peggiorata dal centrodestra? Da la Repubblica del 17 maggio 2006

Prodi ha annunciato che per oggi la lista del suo governo sarà varata. E´ auspicabile che, se dovesse incontrare nelle ultime ore concesse, altre difficoltà voglia porre la parola fine al defatigante tira e molla delle trattative di piazza Santi Apostoli. L´art. 92 della Costituzione, che affida al presidente del Consiglio la scelta dei ministri, venga applicato dal premier designato almeno in extremis. Il presidente della Repubblica metta da subito in atto la sua facoltà di «persuasione morale» per suggerire rapidissimamente una conclusione non troppo deludente. Per ora, stando alle più attendibili indiscrezioni, Prodi ha dovuto adeguare le sue opzioni agli oltraggi della spartizione partitocratica che il proporzionalismo, riesumato nella sua veste peggiore, ha fornito alla composita compagine del centro sinistra. Gli avvisi che vengono dal Paese non sembrano essere colti dai leader di partiti e partitini, cui il tenue successo non ha insegnato molto. Eppure dopo la "vittoria senza festa" del 9 aprile, con quel risultato risicato all´osso, l´insediamento di Giorgio Napolitano aveva segnato, solo l´altro ieri, la prima giornata davvero festosa, vissuta con sollievo e autenticità di sentimenti, per il popolo di sinistra e, forse, per una parte non piccola dei votanti di centro destra. Non è scontato chiedersi il perché e la risposta ci sembra risieda nella consapevolezza che questo Presidente era stato eletto proprio grazie a una rottura degli organigrammi spartitori perseguiti fino alla vigilia anche per il Quirinale. Un esito che non cancella, certo, l´ombra lasciata dalla rivendicazione di appartenenza, che i proponenti hanno voluto imporre alla candidatura, con un eccesso di ritorno identitario. Riscattato, però, dalla autenticità di una rivendicata e assoluta indipendenza di giudizio che le parole del neoeletto garantiscono, confermata dalla personale biografia.

Del resto, la stessa semantica politica del discorso d´investitura ha riportato, nel presente, la eco di un´Italia migliore: quella di De Gasperi e De Nicola, di Luigi Einaudi e Benedetto Croce, di Altiero Spinelli e Nilde Iotti. Fino a Carlo Azeglio Ciampi, che a quell´Italia si è sempre richiamato. Va anche detto che nell´accoglienza così favorevole a Napolitano ha anche giocato il fatto che a tanti cittadini egli è apparso come la figura più vicina, per comune sentire e storia vissuta, all´amatissimo Presidente dell´ultimo settennato. Il quale, peraltro, aveva, con preveggente saggezza, predisposto, con la nomina a senatore di diritto, condizioni più favorevoli alla eventuale successione.

Se i gruppi dirigenti del centrosinistra sapranno (ma non è detto, vista la vicissitudine della formazione del governo) raccogliere i sentimenti di speranza racchiusi nella elezione di Giorgio Napolitano, essi dovrebbero ora, con una torsione netta e percettibile, imporsi un comportamento più rispondente alle attese della stragrande maggioranza dei cittadini e, in primo luogo, del loro elettorato. Il compito non è di poco momento ed implica una consapevolezza autocritica che potrebbe essere meritatamente premiata. Si tratta di recuperare, con parole chiare e misure altrettanto chiare, quel rapporto tra la politica e il popolo che, paradossalmente, proprio l´ultima campagna elettorale ha maggiormente eroso. La legge che la regolava, la peggiore mai inventata, ha consentito, infatti, a un piccolissimo gruppo di persone, dell´uno e dell´altro campo – non più di una ventina in tutto – di "nominare", ancor prima del voto, i deputati e i senatori destinati a sedere in Parlamento. Un sistema che ha assicurato largamente in partenza la fedeltà dei prescelti ai «selezionatori», così da instaurare un sistema anche peggiore di quello attuato dalla partitocrazia nella fase finale della Prima Repubblica: una oligarchia autoreferenziale che decide sopra e al di fuori di qualsivoglia istanza e di ogni consultazione democratica (primarie eventuali da nessuno volute, per scegliere i candidati nei collegi, congressi di partito mai convocati, evirazione degli stessi gruppi parlamentari). Altresì le decisioni e discussioni, che hanno preceduto e seguito le elezioni, per determinare scelte non indifferenti appaiono appannaggio esclusivo dell´oligarchia di vertice, senza coinvolgimento di terzi estranei. In questo campo l´analogia nel procedere dei due attori contrapposti, in primo luogo nell´applicare con soddisfazione appena mascherata l´ignobile legge Calderoli, ha fatto sì che essa venisse percepita giustamente dall´opinione pubblica come un marchingegno trasversale.

La nomina "octroyé" del Parlamento (graziosamente concessa dai sovrani assoluti prima delle rivoluzioni borghesi) si è, inoltre, sposata in questa fase della nostra storia nazionale con la germinazione di un ceto di circa 300mila persone che ha intuito nella politica la scala per una garantita ascensione sociale ed economica. Ne è seguita la occupazione e lottizzazione partitocratica dei gangli essenziali della vita civile, dalla Rai agli ospedali, dalle società a partecipazione pubblica agli organismi economici o d´altro genere, dipendenti da Regioni e Comuni. A destra la degenerazione si è tradotta in un partito aziendale con filiali di marche associate, sotto un unico padrone. Una crosta soffocante ed invasiva si è così frapposta fra la politica, rettamente intesa, e la società civile. Ne sono usciti penalizzati i cittadini normali nelle loro esigenze, sia collettive di partecipazione democratica, sia di ascesa rispettosa della professionalità e delle competenze di ognuno. Ne è uscita penalizzata la qualità degli organismi sotto occupazione e dei servizi prestati. Ne è uscita ferita la speranza dei giovani e il premio ai loro studi e al loro lavoro. Neppure nei periodi peggiori di Tangentopoli il disseccarsi dei valori della politica aveva toccato la decadenza attuale.

Quei valori, peraltro, erano parte integrante del Dna di tutte quelle forze che sono oggi alla base del centrosinistra e che dovrebbero dar vita al partito democratico. Quel Dna non è esangue. I 4 milioni di votanti alle primarie per Romano Prodi hanno testimoniato, al di là di ogni previsione, la pregnanza e l´estensione di un´attesa che esige un ripristino della partecipazione di massa e un processo democratico selettivo per la rinascita di una classe politica.

Questo è il vero tema del momento che il centrosinistra è vocato ad affrontare e il futuro partito democratico ad inverare. E´ ora che i capi dell´Ulivo e i loro alleati levino la testa dai cruciverba degli organigrammi per proporre agli italiani una visione del futuro e politiche generali restauratrici di valori calpestati ma non dismessi nel cuore dei cittadini, una politica capace di suscitare passioni, coagulare interessi, inventare un linguaggio condiviso. Non bisogna illudersi che le misure economiche possano di per sé, in una situazione tanto deteriorata, suscitare larghi consensi.

La sapienza di Prodi, Padoa Schioppa, Bersani e degli altri con loro impegnati si confronterà con numeri ingrati. Quel che daranno da una parte dovranno togliere dall´altra. Nel migliore dei casi gestiranno una austerità che sarà premiata in un futuro speriamo prossimo, non suscitatrice di entusiasmi a breve termine.

Sarà, dunque, soprattutto nell´agire politico, nel messaggio democratico, riformista e liberale, nelle misure di "liberazione" della società civile dal giogo partitocratico che il centrosinistra potrà differenziarsi dal centrodestra e vantare un volto rinnovato. Questa sarà anche la condizione per conquistare quei suffragi che potranno consentirgli di governare cinque anni e scoraggiare la voglia di rivincita di Berlusconi.

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