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Mario Pirani
E’ barbarie l´omertà non le intercettazioni
10 Febbraio 2007
Articoli del 2006
Anche il columnist de la Repubblica (9 gennaio 2006) ritiene che la privacy non sia uguale per il governato e il governante

Un «bravo!» a Valentino Parlato che sul manifesto ha inneggiato alle intercettazioni affermando che «la privacy è una forma di difesa per i cittadini comuni ma non per i protagonisti della cosa pubblica». Quando l´ho letto avevo già deciso di sostenere una analoga tesi nella odierna rubrica.

Cercherò ora di approfondire l´argomento soprattutto perché, dopo le minacce di Berlusconi d´imporre un decreto-bavaglio, sono sopravvenute le reprimende di Casini («Le intercettazioni sono una barbarie, sia che riguardino Fassino che Fazio»), le lamentele di D´Alema che invoca l´intervento della magistratura, le reazioni di tanti timorati di sinistra, riassumibili nel altolà del senatore diessino Guido Calvi («Guai a scherzare con le garanzie previste dalla Costituzione che sono una conquista della democrazia, un retaggio della Rivoluzione francese perché tutelano il parlamentare e lo mettono al riparo da attacchi strumentali») che si sente evidentemente di mette sull´avviso quanti, come Parlato e il sottoscritto, non reputano incombente la restaurazione dell´assolutismo borbonico mentre pensano che la trasparenza della politica, assicurata dalla libertà di stampa - compresa la pubblicazione delle telefonate delle personalità pubbliche - costituisca oggi una indispensabile garanzia per impedire il trionfo dei Fiorani e dei Consorte.

Mi ha confortato constatare che Stefano Rodotà, da me consultato, sia del medesimo avviso. L´ex Garante della privacy (una parola anglosassone che rivela l´origine giuridica del principio) mi ha illustrato la distinzione che la giurisprudenza è venuta sempre più approfondendo tra diritto alla privatezza dei semplici cittadini e, per contro, le ridotte aspettative in materia per chi si espone pubblicamente (uomini politici ma anche gente dello spettacolo e campioni sportivi). Fa testo, come punto di partenza in materia, una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 6 marzo 1964 che assolveva il New York Times, accusato di aver divulgato notizie riservate e diffamanti sul City Commissioner di Montgomery in Alabama, tal Sullivan, allora impegnato in una campagna contro Martin Luther King. La Corte, respingendo le accuse di Sullivan, teorizzò che, nei riguardi delle "figure pubbliche", la libertà di espressione dei mezzi d´informazione deve essere talmente ampia da consentire perfino la pubblicazione di qualche notizia inesatta, a meno che non lo si faccia con "actual malice", cioè con la consapevolezza della inesattezza e del suo uso al fine di danneggiare l´individuo. Da questo spartiacque è discesa tutta una legislazione che si è estesa anche agli ordinamenti di molti altri Paesi nei quali, quasi ovunque, si è riconosciuta una tutela «affievolita» per quanti abbiano deciso di svolgere una attività pubblica e per ciò stesso abbiano accettato di "vivere in pubblico". Con una rigorosa eccezione: la tutela alla privacy per tutti - uomini pubblici e semplici cittadini - per quanto attiene alle relazioni della vita privata, alle credenze religiose o ideali, alla salute, alle inclinazioni sessuali e a quant´altro riguarda esclusivamente l´individuo nelle sue peculiarità. E pur tuttavia, a volte, la natura pubblica del soggetto implica persino qualche eccezione in merito.

Ad esempio Rodotà mi ha ricordato il caso di un consigliere regionale lombardo, colto dalla PS durante un rapporto omosessuale in un luogo aperto, la cui invocazione alla privacy non venne accolta in quanto lo stesso personaggio era noto per vivaci campagne contro i gay. Quindi quel comportamento privato rivelava un risvolto attinente il comportamento pubblico che non poteva essere "oscurato".

Ma, tornando a cose ben più corpose, Rodotà mi ha anche ricordato il Codice deontologico dei giornalisti, avallato dal Garante e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale quale norma di legge che all´articolo 6 recita: «La divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l´informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell´originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti. La sfera privata delle persone note o che esercitino funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica». É una "barbarie" aver pubblicato notizie e dati riservati, riguardassero essi Fazio, Fassino o chiunque altro o non, piuttosto, la pretesa autoreferenziale di un ceto politico, aduso ad una omertosa segretezza e che legge come lesa maestà ogni giudizio critico?

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