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Barbara Spinelli
La dottrina del partigiano
10 Febbraio 2007
Articoli del 2006
Ricongiungere legittimità e legalità, restaurare la maestà della legge: non solo per il Bene, ma anche per l'Utile. Da La Stampa, 23 aprile 2006 (m.p.g.)

Verrà di sicuro il giorno in cui l’Unione di Prodi, avendo vinto le elezioni, si troverà di fronte un’opposizione normale, che contesta anche duramente la politica del governo, ma che non lo chiama illegittimo, frutto di enorme usurpazione. Una parte degli oppositori proseguirà la battaglia di Berlusconi, imboccando la strada del combattente irregolare che rifiuta di indossare l’uniforme di guerra e volutamente si fa partigiano, ma pian piano la strategia della piccola guerra illegale, detta anche guerriglia, perderà seguaci. Quel giorno, forse, l’Italia ritroverà un suo metodo di convivenza politica ordinato, prevedibile, una razionalità non continuamente travolta da emozioni esagerate. Una fase storica forse si concluderà, cominciata nel ‘91-‘92 con Mani pulite e contrassegnata da una questione che lungo gli anni s’è fatta centrale: la questione della legittimità.

La questione della legittimità si pone quando cessa la maestà indiscussa e stabile della legge, e si accampa una giustizia sostanziale che trascende la legalità condivisa, trasgredendola. La legittimità fa appello a un diritto superiore a quello rafforzatosi nel tempo, e sospende la vita politica consueta inaugurando uno stato di eccezione transitorio o permanente, a seconda di chi rompe le regole. L’eccezione assoluta è quella di Antigone, che s’appella a un diritto naturale che il potere costituito, sulla base di regolamenti arbitrari, non ritiene legale.

Ma contestare la legalità quando essa nuoce a una carriera e contrapporla sistematicamente a una superiore legittimità è caratteristica del dittatore o dell’anti-politico, che irrompe nella politica e la sovverte creando un’emergenza ininterrotta. Denunciando il voto-truffa Berlusconi scommette sul permanere di quest’antinomia fra legittimità e legalità, che da anni cattura l’Italia e che gli consente d’affogare l’anomalia del proprio conflitto d’interessi in una anomalia cosmica, da cui tutti sarebbero infettati.

Il diritto superiore cui Berlusconi si è appellato lungo gli anni non ha nulla di fermo, di costante: ieri era il giudizio delle urne opposto a quello dei tribunali; poi erano le leggi ad personam al posto della legge uguale per tutti; oggi è la «maggioranza morale» che premia su quella dei votanti. Due più due per lui non fa quattro, per lui l’equazione sarebbe un’impudenza sommamente insopportabile come lo è per l’Uomo del Sottosuolo di Dostoevskij: «Due più due quattro ha un'aria strafottente, vi si piazza in mezzo alla strada con le mani sui fianchi e sputa. Sono d'accordo che due più due quattro è una cosa magnifica; ma se si vuol lodare proprio tutto, allora anche due più due cinque è una cosuccia talvolta molto carina». La democrazia sostanziale ha da prevalere su quella legale, il sistema rappresentativo è una maschera grottesca incollata sull’essere reale della nazione: lo diceva Charles Maurras nel ‘37, ed è ancora l’argomento della destra estremista. Paradossalmente, il giorno in cui simile stato d’eccezione finirà, la politica cesserà di dominare ogni anfratto delle nostre esistenze. Nella strategia del partigiano, la popolazione non si compone di cittadini con idee e occupazioni diverse ma si suddivide in fanatici, ribelli e indifferenti.

Molto, forse tutto, dipenderà dalla coalizione guidata da Prodi: dalla capacità che essa avrà di aiutare i cittadini a ricongiungere l’imperativo della legittimità con quello della legalità. Chi sistematicamente invoca superiori legittimità mette infatti in causa la liceità delle leggi, attenta alla stabilità dell’ordine giuridico, sospende per ciascuno ­ politico e cittadino ­ l’esecuzione dei propri doveri. Il resistente o il gregario sono le due uniche figure in cui si sostanzia il rapporto con l’autorità. Anche nella sinistra questa tradizione eversiva ha radici forti: il caos rivoluzionario affascina estremisti d’ogni tipo.

Restaurare la maestà della legge non è solo questione etica. Non è solo il tentativo di fondare su norme condivise e non arbitrarie sia la legalità, sia la legittimità. È operazione necessaria perché ricomincino a proceder bene l’economia, la crescita affidabile delle imprese, l’imposizione di tasse che consentano a ospedali e scuole di funzionare, l’abitudine dei magistrati all’autonomia, alla correttezza. Restaurare la maestà della legge non è abbassare toni e conflitti ma togliere al conflitto i miasmi della distruttività e del libertinaggio. È un compito immane: sia perché gran parte della classe politica non è più abituata a una libera parola che non sia libertino turpiloquio, sia perché un certo numero di politici continuerà ad agitare il vessillo della vera democrazia, mutilata o usurpata. Questo agitarsi non è solo l’inelegante incapacità di perdere, derisa dalla stampa estera. La mancanza d’eleganza interiore è un veleno terribile, come lo sono l’ottusità e l’ignoranza militanti. Si può scommettere naturalmente su isole di razionalità nella futura opposizione: Berlusconi potrebbe restare isolato. Ma è la sinistra con i suoi comportamenti, il suo stile e le sue politiche che dovrà fare il lavoro essenziale.

Il senso del dramma potrà aiutare l’Unione a lavorare e superare le divisioni. In fondo il mandato di oggi non è molto diverso da quello che generò la volontà costituente nel dopoguerra, quando l’urgenza era di restaurare un’affidabile legalità democratica. Se tale è il mandato, i partiti e le identità contano, ma ancor più conta la coalizione che dovrà favorire il ritorno a un rapporto di fiducia tra italiani e giustizia, italiani e Stato, italiani e diritti-doveri.

Continuare a occuparsi delle identità partitiche significa sottovalutare il dramma: pensare d’aver tempo, agio. Invece tempo e agio son brevi, e per tanti motivi c’è incendio in casa. La maggioranza vincente è esigua, minacciosamente. Il Nord che produce ricchezze non le ha dato fiducia. Il rapporto degli italiani con legalità e giustizia è guastato. L’Europa è inferma, e per ricostruirsi ha bisogno di Parigi e Berlino ma anche di Roma.

Non ultima, la Conferenza episcopale: anch’essa s’è acclimatata a un’Italia anomala, intervenendo nella sua politica come non usa in altre democrazie.

Il discorso sui valori che essa fa e che viene esibito da molti esponenti del centro-destra nasconde la rinuncia a stigmatizzare un ormai diffuso dispregio dell’etica pubblica.

Rifondare il senso delle leggi e lo spirito costituente è difficile, imporrà un’inusuale disposizione al sacrificio. Verrà il giorno in cui ci si occuperà delle singole culture politiche e identità. Ma fino a quando c’è chi combatte irregolarmente una sua guerra da partigiano, converrà sospendere ogni calcolo particolare e avere un obiettivo prioritario: ripristinare non solo la maestà della legge, ma l’utilità per tutto un popolo di questa maestà.

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