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Eugenio Scalfari
Dietro Primavalle i fantasmi di Salò
15 Febbraio 2007
Scritti 2005
Una riflessione sugli anni Settanta e sui tentativi di strumentalizzazione di oggi. Da la Repubblica del 20 febbraio 2005

Capisco che la prescrizione d´un reato di strage come quello di Primavalle del 1973 (perché di questo si trattò, anche se nella sentenza fu derubricato a omicidio colposo) susciti emozione anche a trentadue anni di distanza. Ma un´emozione montata col frullatore mediatico, l´evocazione di memorie lottizzate e non condivisibili, la mobilitazione dei "talk show" televisivi, la chiamata di correi fisici e metafisici, il tutto servito ad un´opinione pubblica frastornata, in perenne ricerca di piatti ravvivati col pepe di Caienna, fa pensare. Di solito la moneta cattiva scaccia dal mercato quella buona. Nel caso in questione il rogo appiccato da un gruppuscolo di disperati, nel quale perirono carbonizzati i due giovanissimi fratelli Mattei, ha scacciato per qualche giorno dalle prime pagine argomenti di ben altro rilievo e attualità. Questo è un dato di fatto preliminare che merita d´esser considerato.

Dal frullatore mediatico sono emersi personaggi che avevamo dimenticato a giusta ragione; altri che nel frattempo avevano mutato pelle e colore assumendo con spregiudicata disinvoltura nuovi ruoli e nuove tribune e, insieme con loro, è riemersa un´atmosfera di violenza, di furore, di regolamento di conti, sapientemente stimolata, una vampata d´inferno artificialmente amplificata, un "horror" in piena regola popolato di attori tratti da una realtà remota: attori incanutiti, arrochiti, ma tuttora in cerca d´un qualsiasi palcoscenico dal quale esibire la propria rabbia e le proprie inaccettabili giustificazioni.

C´è una logica in questa follia? Sì, io credo che vi sia. Ma prima di parlarne cerchiamo di guardare il quadro con il distacco che il tempo consente a quanti furono allora testimoni di ciò che avvenne e possono dunque rendere ancora testimonianza scevra di faziosa partecipazione.

* * *

La contabilità dell´orrore si divide in due partite: quella dei singoli omicidi mirati e quella delle stragi.

Due partite di eguale efferatezza ma di assai diversa fattura. Redatte entrambe sulla bocca dell´inferno da demoni di natura opposta: rosi da passioni di tenebra i primi, gelidi e professionali i secondi; ma entrambi congiunti contro l´ordine costituito, contro il sistema democratico, contro lo Stato costituzionale.

Le persone della mia generazione ricordano bene quegli anni. Ricordano le prime vittime degli omicidi mirati, quelli caduti per mano dei gruppi di estrema destra e quelli caduti per mano dei gruppi di estrema sinistra.

E ricordano le stragi che segnarono l´inizio dei cupi anni di piombo: piazza Fontana del dicembre ?69 e poi Brescia e poi i treni e poi la stazione di Bologna e Peteano, e il punto culminante del mattatoio, il rapimento di Aldo Moro, la sua detenzione il suo omicidio, cui seguì ancora la lunga e sanguinosa scia fino a Roberto Ruffilli, con i truci "post scriptum" di D´Antona e di Biagi.

Faida tra opposte ideologie e comune invidia e disadattamento sociale? Certo. Opposti estremismi? Certo. Disegni eversivi e "golpe" minacciati per influire sullo svolgersi della politica? Certo.

Nel lungo articolo pubblicato sul "Foglio" di giovedì scorso in cui Lanfranco Pace abbozza una giustificazione peggiore del suo trentennale silenzio, c´è una frase, una sola, da cui traluce una scheggia di verità e di sincerità. Leggetela con attenzione quella frase, che spiega molti fatti di allora e molti successivi percorsi di quei personaggi che arrivano ai giorni nostri.

«Per noi [di Potere Operaio] l´antifascismo e a maggior ragione l´antifascismo militante non è mai stato nemmeno alla lontana una priorità. Lo scontro per noi, nelle fabbriche e nel territorio, era contro lo Stato e le sue articolazioni. Ed era contro il Pci, equivoco da sciogliere, ibrido da superare. Certo i fascisti c´erano e dovevamo prenderne atto. Ma controvoglia, come si fa con qualcosa che ti occupa la visuale e ti distoglie dal vero obiettivo».

Ammazzavano i fascisti e ne erano a loro volta ammazzati, ma per toglier l´ingombro che ostruiva la visuale e nascondeva gli obiettivi veri: il sistema, lo Stato, il Pci. Non a caso, quando arrivarono in campo le Br al culmine di quel percorso di confusa violenza, le forze che si opposero al terrorismo furono la Democrazia cristiana e il Partito comunista. E a quelle forze, guidate da Benigno Zaccagnini e da Enrico Berlinguer e sorrette compattamente dall´intera società italiana, si deve se il terrorismo fu sconfitto senza che la democrazia fosse stravolta e i diritti fossero indeboliti o addirittura confiscati.

La stampa fece allora interamente il suo dovere. Voglio ricordarlo perché da tempo è invalso l´uso di accusarla di volta in volta di faziosità e di conformismo. E poiché il nostro giornale si trovò anche in quell´occasione a raccontare e a testimoniare i fatti e la verità, dirò anche in che modo cercammo di adempiere al nostro dovere professionale. Cito da un editoriale di "Repubblica" pubblicato il 15 gennaio del 1979 con il titolo "Due morti che pesano sulla nostra coscienza".

«Tre giorni fa un agente di polizia in borghese ha ucciso il giovane Alberto Giaquinto con un colpo di pistola alla nuca. Cioè sparandogli da dietro mentre il giovane stava fuggendo. Poche ore dopo un "commando" di estremisti di sinistra ha ucciso a revolverate il giovane Stefano Cecchetti, "reo" di frequentare un bar dove si danno spesso convegno estremisti di destra. Sono entrambi, l´uccisione di Giaquinto e quella di Cecchetti, fatti gravissimi non solo perché due vite di giovani sono state falciate da una violenza barbara e inutile, ma anche perché hanno messo a nudo una verità sconcertante: noi giornalisti "democratici", noi opinione pubblica "democratica", abbiamo cercato inconsciamente di rimuoverli, di archiviarli al più presto e di dimenticarcene.

Fosse stato ucciso da un agente in borghese con un colpo di pistola alla nuca un giovane "democratico", noi giornalisti "democratici" e noi opinione pubblica "democratica" non avremmo dato tregua per giorni e giorni, avremmo chiesto conto in tutte le sedi di quanto era accaduto, avremmo invocato prevenzione e repressione e riforme. Ma nel caso di Giaquinto e di Cecchetti la nostra attenzione è stata distratta, la nostra protesta assente o flebile e passeggera.

Mi sono accorto di questo comportamento leggendo i giornali a cominciare da "Repubblica" e non esito ad affermare che si tratta d´un comportamento orribile, quello di pesare il valore della vita e le responsabilità della violenza secondo i colori di bandiera. Per la parte che ci compete ne faccio pubblica ammenda: perciò non rimuoveremo i due morti dell´altro ieri, come non rimuoviamo le cinque donne colpite nella stanza di Radio Città Futura. La sorte di tutti ci deve toccare e ci tocca allo stesso modo; e allo stesso modo, con la stessa ferma tenacia, dobbiamo condannare i responsabili ed esigere la loro punizione esemplare».

* * *

Una cosa ci è sempre stata ben chiara: l´attacco allo Stato democratico e alle forze politiche che in quegli anni ne assunsero la difesa non ebbe mai gli aspetti di una guerra civile. Fu, come sopra ho ricordato, l´attacco di bande terroristiche e prima ancora di estremisti di destra e di sinistra in cerca d´avventura, drogati di violenza e di inconcreti furori ideologici mentre, nello stesso tempo, professionisti del killeraggio organizzavano stragi contro innocenti per elevare la tensione pubblica e piegare la democrazia ai loro turpi disegni.

Personalmente ho sempre pensato che neppure lo scontro del '43-45 tra la resistenza partigiana e le bande di Salò abbia avuto natura di guerra civile.

Non ci fu, dalla parte di Salò, appoggio di popolo. Le milizie del governo fascista operavano come forze ausiliarie dell´armata tedesca di occupazione, senza alcuna partecipazione emotiva e tantomeno pratica della popolazione che dette invece alle formazioni partigiane tutto l´appoggio che si poteva dare in un paese occupato da truppe straniere.

Ci furono a guerra finita massacri odiosi effettuati da partigiani ancora in armi, e furono disonoranti per i valori di libertà in nome dei quali la Resistenza era insorta contro il nazismo.

Nel 1947, con opportuna saggezza, il governo e per esso l´allora ministro della Giustizia, Palmiro Togliatti, promulgò una generale amnistia per i reati di sangue commessi in quell´arco di anni.

Quell´atto di doverosa clemenza chiuse la guerra di liberazione. Restano intatti i valori che animarono (laddove ce ne furono) l´una e l´altra parte e resta intatto il giudizio, tante volte ripetuto da Carlo Azeglio Ciampi di quale sia stata la causa e la parte giusta e quale la causa e la parte sbagliata.

* * *

I conti sono dunque stati chiusi da allora e non li ha certo riaperti la violenza, lo stragismo e il terrorismo degli anni di piombo che furono e sono questione della magistratura ordinaria.

Qual è dunque la finalità che sta dietro al frullatore mediatico che ha montato l´"horror" del rogo di Primavalle con tutto il seguito (ultra-noto e ultra-analizzato) degli annessi e dei connessi? La probabile finalità non è la ricerca della verità, che per la parte ancora ignota spetta alla magistratura di ricercare oppure non sarà mai raggiunta. Si vuole invece riaprire il tema di Salò. Si vuole rimettere in discussione un punto fondamentale e cioè la base di legittimità su cui è nata la Repubblica e la Costituzione repubblicana. Si vuole metter mano, appena sarà politicamente possibile con la scadenza del settennato di Ciampi, ai principi enunciati nella prima parte della Costituzione, fondati sui valori della democrazia e dell´antifascismo.

Il primo passo su quella strada si chiama Salò. A chiudere quella questione l´amnistia del '47 non basta più. Si vuole il riconoscimento dello "status" di combattenti per le milizie fasciste e la loro completa equiparazione morale e materiale alle formazioni partigiane. Con il che non si cambia soltanto lo stato giuridico degli individui che militarono nella parte sbagliata e in difesa di valori negativi, ma (questo è il vero obiettivo) si vogliono cambiare i fondamenti dello Stato repubblicano, la sua identità e la sua legittimazione storica.

Temo (ma spero di sbagliarmi) che il sapiente montaggio dell´"horror" di Primavalle sia strumentalizzato (o strumentalizzabile) a questo fine, ben più gravido di conseguenze politiche e morali. Ma confido che la saggezza della pubblica opinione non cada nelle trappole del "trash" a tutti i costi e preferisca semmai gli "horror" di Dario Argento a quelli di Lollo e dei suoi compagni di crimine, più o meno ravveduti.

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