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Tahar Ben Jelloun
Ascesa e caduta del mito Zidane
14 Febbraio 2007
Articoli del 2006
Una riflessione dall’interno (del mondo di oggi, non del calcio) su un episodio che ha colpito molti. Da la Repubblica dell’11 luglio 2006

Faccio parte di quella categoria di persone che non si appassionano al calcio. Alcuni miei amici considerano questa mancanza d’interesse un difetto, soprattutto per un romanziere che ha il ruolo di osservare la società e scrutare negli animi. Domenica sera ho scrutato corpo e anima di un giocatore: Zidane. Ho capito subito di trovarmi davanti a un artista, un uomo fuori dal comune, un genio che scrive con i piedi, che danza con il cuore, che canta e incanta milioni di persone. Mi è capitato di guardare qualche partita di questi mondiali.

Ho imparato come il calcio sia l’unico nazionalismo accettabile per tutti, uno sciovinismo al limite del razzismo. Ho visto come i ragazzini si identifichino in questo o in quel giocatore. È facile, non richiede sforzi, si segue con gli occhi un pallone e quando si avvicina alla zona pericolosa si urla.

Domenica sera non tifavo né per la Francia né per l’Italia, ritenendo che nel gioco le due squadre si equivalessero. Errore! Ho guardato la partita in un bar del Marocco dove tutti tifavano non tanto per la Francia quanto per Zidane. Non potevo far eccezione e soprattutto spiegare alla gente che l’importante è il gioco e «che vinca il migliore». No: tutti gli occhi erano puntati su Zidane e nient’altro che Zidane.

Bisognava tener conto della situazione e, come mi ha fatto notare un vicino, «che cosa significa che nella nazionale francese 9 su 11 sono nordafricani?» Perché 9? Ho contato che c’erano 7 giocatori di pelle nera, Zidane è nato a Marsiglia da una famiglia cabila.. ma il nono chi è? Il mio vicino urla: «Ma il musulmano Ribery! È francese ma si è convertito all’islam sposando una maghrebina». Presto si dirà che è l’islam a farli vincere.

E poi c’è stato il dramma, l’incomprensibile dramma in cui Zidane ha deliberatamente dato una testata a Marco Materazzi, dopo che questi l’ha insultato. Stando al Guardian di ieri, Materazzi gli avrebbe dato del "terrorista". Che importanza ha cosa gli ha detto? In pochi secondi Zidane è precipitato dalla vetta. Dev’essere stato ferito profondamente dalle parole di Materazzi per aver reagito a quel modo. Dopo il cartellino rosso, il silenzio e la costernazione hanno raggelato il bar. Zidane non giocava più, la partita non meritava più. Un uomo con le lacrime agli occhi si alza e ci parla di un filmato che mostra come i giocatori italiani si allenino a sferrare colpi agli avversarsi senza farsi beccare dall’arbitro. Un ragazzo piange e dice che gli italiani hanno fatto cadere in trappola Zidane.

E io? Ammetto che ero arrabbiato. Non vedere più Zidane, il suo sorriso discreto, la sua andatura danzante e la sua simpatia comunicativa mi mancava. Pur ammettendo che entrambe le squadre hanno giocato molto bene, ho seguito la fine della partita con occhio distratto, perché la vittoria non sarebbe più venuta dal gioco ma dal caso, dalla fortuna, da un lancio di dadi.

Ho capito quanto i popoli arabi abbiano bisogno di un leader che non faccia politica. Hanno bisogno di qualcuno in cui identificarsi e che dia loro motivo di fierezza. Ma come mi ha detto mio nipote, maniaco del calcio, «Zidane ha reagito come un subnormale e si è rovinato l’immagine». Sì, è un eroe stanco, ferito dall’insulto.

Un giornale giamaicano, il Gleaner, faceva osservare che «Zidane ha contribuito a unificare l’umanità più di qualsiasi trattato politico, come Diego Maratona, per drogato, imbecille e incontrollabile che fosse, ha riunito intorno a sé più gente di Platone, Kant, Einstein, Gandhi e Mandela!».

Adesso non ho voglia di giocare. Scrittori come Gadda, Mallarmé, Faulkner o Joyce non hanno mai raccolto intorno alle loro opere più di una manciata di lettori, eppure hanno trasmesso all’umanità uno spirito e un immaginario che apparterranno alla storia per secoli. Siamo seri: il calcio è un gioco, un gioco che piace a oltre due miliardi di persone, d’accordo, ma anche un’incredibile macchina per fare soldi, e questo è ben lungi dall’essere innocente o veramente umano. Il calcio è diventato un’industria che macina miliardi di euro. È questo che sta guastando il gioco e lo sta trasformando in un affare con troppi interessi in ballo. Quanto a Zidane, la sua carriera non si riassume in quell’incidente. Dicendogli addio, speriamo di vederlo tornare anche solo per dire ai giovani di non cedere alla violenza. In questo, la sua parola vale mille volte quella di qualsiasi uomo politico.

(traduzione di Elda Volterrani)

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