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Ida Dominijanni
Antigone a Genova, la colpa è di Stato
14 Febbraio 2007
Articoli del 2006
Ancora una volta la legalità si scontra con le antinomie di un mondo complesso. Un'opinione netta su una vicenda intricata. Da il manifesto, 29 settembre 2006 (m.p.g.)

Don Francis Darbellay, il priore dello Chateau Verdun, lo sa che c'è una legge dello Stato e una legge della Croce, e quando non coincidono non ha dubbi, sceglie la seconda. Lo sa anche una delle due nonne di Maria, che frequenta la letteratura greca e cita le parole di Antigone contro Creonte: «Ci sono delle leggi superiori a quelle degli uomini che io devo seguire». L'ambasciatore bielorusso non lo sa, e perentoriamente domanda che la corte d'appello di Genova riconosca la sovranità della Bielorussia. Le ragioni del sangue contro la ragion di Stato, il ghenos contro la Legge, come a Tebe?

Qui però non c'è un fratello da seppellire, ma una bambina da allevare; la bambina non è una figlia naturale, nelle sue vene circola sangue straniero; e la ragion di Stato non è univoca, trattandosi di una questione di confine fra due stati. Che cosa diventa la tragedia di Antigone sotto queste coordinate?

La legge bielorussa vuole che Maria sia restituita al suo paese d'origine; «senza condizioni», aggiunge l'algido ambasciatore. La legge italiana vuole che Alessandro Giusto e Chiara Bornacin, padre e madre aspiranti di Maria, rispondano del reato di sottrazione di minore. Non è perbene quello che hanno fatto, non ci si può «impadronire» di una bambina sequestrandola, e c'è una lobby di altri aspiranti genitori che non gli perdona di aver bloccato le loro pratiche di affidamento dei figli di Chernobyl rovinando i rapporti con la Bielorussia. Quell'affezione per la piccola Maria non meritava altre e più sapienti mediazioni?

I coniugi Giusto in verità non sembrano due pericolosi sovversivi. A fare le cose secondo la legge ci hanno provato: hanno ospitato Maria per la prima volta nell'estate del 2003, sono andati a trovarla nell'orfanotrofio di Vilejka, ne hanno chiesto l'adozione a gennaio del 2004. Non l'hanno ottenuta, e nel frattempo la piccola ha raccontato violenze fisiche e psicologiche accertate da medici e psicologi e ha minacciato di suicidarsi se la costringono a tornare in quell'istituto. Nascondendola in Val d'Aosta, i Giusto non si sono impadroniti di un giocattolo o di un capriccio: hanno sottratto una bambina a una legge ingiusta e a una procedura irrazionale. Non hanno neanche difeso le ragioni del sangue contro la ragion di Stato: hanno affermato le ragioni di una famiglia meticcia, non consanguinea, contro lo jus soli di una sovranità anacronistica, che si vuole padrona dei suoi bambini dentro i suoi confini, salvo cederli per brevi soggiorni; e che oggi - parola ancora dell'algido ambasciatore - privilegia le adozioni nazionali su quelle internazionali perché si sente insieme minacciata dalla denatalità e rassicurata dalla ripresa economica.

Le vacanze dei bambini bielorussi, si sa, non sono solo una questione di buoni sentimenti ma anche una questione d'affari. A causa delle tortuosità delle leggi sull'adozione, si sa, sui bambini abbandonati si svolgono talvolta loschi traffici. Quando le leggi sono irrazionali, il mercato se ne avvantaggia e non va per il sottile. Ma anche nelle pieghe del mercato nascono e crescono sentimenti, affetti, legami, che la legge colpevolmente tarda a riconoscere. E nelle pieghe della globalizzazione, dei suoi squilibri e delle sue ineguaglianze, nascono relazioni e forme sociali inedite, che la sovranità statuale si ostina a disconoscere. Né la famiglia né lo Stato sono più quelli di una volta: ci sono bambini abbandonati in patria che trovano famiglia fuori, ci sono, nella complessa galassia dei migranti, figli che lasciano madri e padri e madri e padri che lasciano i figli per trovare lavoro altrove, ricongiungimenti familiari difficili, separazioni coniugali inevitabili, amori troncati e amori trovati. E' il ghenos oltre il ghenos di oggi, quando anche lo Stato dovrebbe andare oltre lo Stato. A Genova un amore era stato trovato. Se viene troncato, la colpa è di Stato.

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