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Edoardo Salzano
Il romanzo della città
6 Ottobre 2006
Recensioni e segnalazioni
Recensione della nuova edizione del libro di Vezio De Lucia, Se questa è una città, con prefazione di Piero Bevilacqua, editore Donzelli. Da Carta, n. 35 del 7-12 ottobre 2006

Nell’introdurne la nuova edizione Piero Bevilacqua afferma che il libro di Vezio De Lucia (Se questa è una città, Donzelli Mediterranea 2005) “possiede la freschezza del classico”. E la scrittura (semplice, rapida, costruita con parole mai di gergo eppure sempre precisa e rigorosa) è certamente quella di un classico. A me ad esempio ricorda la prima pagina del Sergente nella neve di Mario Rigoni Stern.

Forse è proprio la scrittura una delle doti che ha consentito a un testo di urbanistica, quale è quello di De Lucia, di accedere a un pubblico vasto. Raramente un libro che parla di piani regolatori e di abusivismo, di estenuanti battaglie d’opinione e di complesse pratiche amministrative, di distruzioni del territorio e di tentativi di risarcimento, che racconta eventi ricchi di tecnicità e normalmente riservati agli “addetti ai lavori”, riesce a trovare un pubblico largo fuori dai circuiti accademici.

È un libro che, come ha scritto Antonio Cederna nella prefazione all’edizione del 1992, “sarebbe da rendere obbligatorio nella scuola e nelle università”. Ma non solo nelle aule: dovrebbe esser letto da chiunque voglia essere parte attiva nella vita della comunità. Del resto, più d’una testimonianza rivela che, più degli studenti, l’hanno letto amministratori locali e cittadini appassionati al governo della loro città, tecnici negli avamposti del “buongoverno” del territorio e urbanisti militanti. Insomma, persone interessate a conoscere (gli eventi che hanno determinato l’ambiente della nostra vita e gli strumenti mediante i quali è possibile modificarne il corso) non per divenire più colti, ma per cambiare la realtà nella quale vivono.

Ma De Lucia non è uno scrittore: è un urbanista. Se accetta di scrivere libri è perché le sue numerose esperienze professionali e politiche lo hanno convinto che da soli non si vince. Si vince se si riesce a far comprendere a un numero ampio di cittadini che le nostre città e i nostri territori sono così, nel bene e nel male, perché noi li abbiamo costruiti così. E se non ci viviamo bene, siamo noi che dobbiamo e possiamo modificare le cose.

La privatizzazione dell’urbanistica (i cui alias sono speculazione edilizia, prevalenza della rendita immobiliare, urbanistica contrattata) è il nemico dei nostri anni. È il nemico che De Lucia, raccontandone le malefatte, combatte e spinge a sconfiggere. Asservire un bene comune – quale è la città – agli interessi venali di un gruppetto di privilegiati è indubbiamente il peccato d’origine di ogni “malaurbanistica”.

Ma la premessa di quella privatizzazione, e la garanzia della sua sopravvivenza, sta nel fatto che è privatizzata la conoscenza dell’urbanistica. Finché questa sarà appannaggio esclusivo di alcune ristrette categorie professionali, in larga misura mobilitabili dai “padroni della città”, ben poche saranno le speranze di un futuro migliore. Scrivere Se questa è una città è allora parte sostanziale del lavoro di urbanista che De Lucia ha svolto e continua a svolgere: come funzionario del Ministero dei lavori pubblici (dove giunse dopo aver rifiutato un ben più lauto incarico, che lo avrebbe impegnato a favorire gli interessi immobiliari privati), come autore di rilevanti progetti pubblici di tutela e riqualificazione di città e territori (il Piano comprensoriale della Laguna di Venezia, il Piano paesaggistico dell’Emilia Romagna, la ricostruzione a Napoli dopo il terremoto del 1980, il Piano regolatore di Napoli con la prima Giunta Bassolino).

Le sue esperienze professionali e politiche sono parte delle vicende della politica urbanistica italiana. Era giovane funzionario del Ministero di Porta Pia quando la Direzione generale dell’urbanistica fu protagonista nel documentare e denunciare lo scandalo di Agrigento, nel disegnare la “legge ponte” del 1967 e nel documentare lo scempio compiuto nell’anno di moratoria, nel predisporre il decreto sugli standard urbanistici (che per la prima volta rese concreto il diritto dei cittadini a fruire di adeguate quantità di spazi pubblici). Era più maturo quando videro la luce, attorno a quell’ufficio, provvedimenti di grande rilievo come la legge per la casa del 1971, quella sul regime dei suoli del 1977 e quella per l’equo canone del 1978.

Le vicende dell’urbanistica contemporanea in Italia, che De Lucia racconta, sono perciò in larga misura eventi della vita e delle passioni dell’autore. È una delle cause, e non la minore, dell’indubbio fascino del suo libro per il lettore, spinto a sentirsi partecipe delle speranze e delle delusioni attraverso le quali il filo della narrazione si svolge.

Eppure, come scrive uno storico di mestiere come Bevilacqua, Se questa è una città è “un equilibrato, riccamente documentato saggio di ricerca storica”. Una simile definizione, prosegue Bevilacqua, “non si fonda soltanto sulla valutazione del metodo e delle procedure di documentazione che sostengono il testo, ma anche […] sul fatto che De Lucia, mentre dà conto dei processi di trasformazione della città e del territorio, colloca i fenomeni esaminati nel loro contesto storico”.

Così, lo svolgersi delle vicende della “condizione urbana nell’Italia contemporanea”, è anche una storia dell’Italia dagli ultimi anni del Fascismo ai primi del Berlusconismo. Una storia vista dalla parte del territorio. Non meraviglia che, da questo punto di vista, appaiano momenti alti quelli, corrispondenti ai governi di centrosinistra degli anni 60 e 70, nei quali il buongoverno del territorio ebbe il massimo di speranze e seppe foggiare i migliori strumenti e correre le più felici avventure.

Né stupisce che vengano descritti come momenti drammatici sia quelli in cui, all’uscita del fascismo, i governi italiani scelsero una ricostruzione dell’economia e della società che scatenò il saccheggio del territorio e fu foriera delle gravissime distorsioni che oggi soffriamo, sia – più tardi – quelli che videro oscillare il paese tra l’arricchimento delle riforme degli anni del centrosinistra e le tendenze controriformatrici. Tendenze che poi si svilupparono negli anni 90, dando luogo al trionfo dell’urbanistica privatizzata, del prevalere della rendita immobiliare tra i moventi delle trasformazioni urbane e territoriali, dell’indebolimento di tutti gli strumenti dell’azione pubblica.

Se i prossimi anni vedranno svilupparsi i nuovi germi di rivendicazione per una città e un territorio vissuti e governati come un bene comune dell’umanità di oggi e di quella di domani il merito sarà anche di libri come questo.

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