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Alberto Statera
La base Usa raddoppia e Vicenza si ribella
26 Ottobre 2006
Articoli del 2006-2007
Vogliono fare di Vicenza, Veneto, Italy la più grande base USA fuori dagli USA. Che dirà il governo italiano? Da la Repubblica del 26 ottobre 2006

Dopo mezzo secolo di convivenza con gli americani, Vicenza rivive oggi la

"sindrome del barbiere Eolo" raccontata da Goffredo Parise nel 1956. E stasera lo psicodramma, scandito da una manifestazione di protesta politicamente trasversale nella piazza palladiana che solo cinque giorni fa ha inneggiato agli anatemi di Berlusconi contro Prodi e fischiato l´inno nazionale, si consuma in un Consiglio comunale arroventato.

Nella Sala Bernarda dovrà decidere se dare o no l´aeroporto Dal Molin alla 173esima Brigata paracadutisti, facendo di Vicenza la più potente base militare americana d´Europa.

Il barbiere Eolo vedendo arrivare mezzo secolo fa in piazza dei Signori un italo-americano di nome Roy de Ciccio sospettò che fosse una staffetta spedita in città per i primi contatti con la popolazione alla vigilia dell´installazione delle truppe Setaf. Di lì a poco giunsero le truppe americane. Aveva ragione Eolo. Ma stavolta il Roy de Ciccio non s´è visto, perché a preparare a dovere il terreno del nuovo sbarco americano, già concordato dal governo Berlusconi, c´era il sindaco forzista, grande amico dell´ex premier, il quale è stato testimone delle sue seconde nozze. Ex fascista, o post, poi deputato leghista nel 1994 e infine approdato a Forza Italia, Enrico Hullweck, un medico pediatra che la sua ex avversaria elettorale Laura Fincato, deputata ulivista vicentina, definisce sorridendo «mellifluo», trattava in segreto almeno da un paio d´anni la superfetazione della presenza militare americana a Vicenza e la concessione dell´aeroporto Dal Molin. Operazione strategica per gli Stati Uniti, che ai bordi di quella pista, distante solo un paio di chilometri dalla basilica palladiana, hanno progettato un nuovo villaggio per due o tremila soldati americani provenienti dalla Germania, dove non li vogliono più, che si aggiungerebbero ai 3000 già in città, riunificando i quattro battaglioni e il comando della 173esima brigata paracadutisti, il team di combattimento, la brigata aviotrasportata d´élite destinata ad operazioni «chirurgiche» in Medioriente. Tanto che a presentare l´operazione, accolto più o meno con gli onori che spettarono a Orson Wells e a Olivia de Havilland nel 1955, giunse il 27 gennaio 2004 alla Caserma Ederle, sede delle truppe americane di stanza a Vicenza, il vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney. Hullweck sapeva. Ma non l´ha detto alla città, finché la città non l´ha scoperto.

Così i tranquilli vicentini, quasi tutti occupati normalmente a far tre volte il segno della croce e a contar schei, non l´hanno mandata giù e stasera, senza distinzione di colore, andranno a urlarlo sotto la Sala Bernarda.

«La protesta è nata dai comitati spontanei, i partiti sono arrivati dopo», giura Laura Fincato che, con Lalla Trupia, ha raccolto alcune decine di firme di parlamentari ulivisti per il «no» al progetto americano. Un bel problemino per il ministro della Difesa Arturo Parisi, che si trova in mano impegni del precedente governo, l´opposizione di parte cospicua della maggioranza e Rifondazione Comunista che minaccia addirittura di «negare il sostegno all´esecutivo», al momento per bocca del segretario veneto e deputato Gino Sperandio e del segretario cittadino Ezio Lovato, se il prevedibile «sì» del Consiglio comunale vicentino venisse avallato dal governo senza che prima si svolga almeno un referendum.

Uno dei leader dei comitati spontanei, che si chiama Albera, snocciola i mille e uno motivi, a parte i silenzi menzogneri di Hullweck, per dire no a Camp Ederle 2: l´aeroporto Dal Molin è in piena zona residenziale, sul fiume Bacchiglione, a un paio di chilometri dal centro di Vicenza, patrimonio Unesco dell´umanità, ed è l´unica area verde da Vicenza a Schio e Thiene; l´impatto ambientale e per la mobilità sarebbe devastante, non meno della perdita di valore delle case e della definitiva americanizzazione della città, che già di problemini ne dà non proprio da niente. Ma il vero argomento lo coglie Marino Quaresimin, ex sindaco di Vicenza della Margherita: «Perché gli americani vogliono proprio l´aeroporto Dal Molin e non le altre migliori localizzazioni che si sono proposte? Chiaro, perché gli interessa la pista. Lo dice la logica: da dove volete che si buttino i paracadutisti della 173esima, dal campanile della basilica? «Il generale Frank Helmick giura che non useranno la pista dell´aeroporto e che in città non ci saranno armamenti pesanti, già custoditi a pochi chilometri di distanza a Longare e Tormeno e in altri siti di stoccaggio segreti sparsi nei dintorni. Ma possibile che la brigata d´élite debba fare 150 chilometri di autostrada in camion o in pullman, attraversando il passante di Mestre, per partire verso una missione "chirurgica" in Medio Oriente o anche per andare ad addestrarsi? O i paracadutisti si lanceranno dal campanile?

Lecito allora pensare che la pista sia l´oggetto del desiderio. Se è così, sarebbe come autorizzare una caserma da 600 mila metri cubi più pista d´atterraggio a Villa Borghese a Roma o al Valentino a Torino.

«Uscivano alle prime ore del mattino, pochi potevano vederli», scriveva Goffredo Parise nel racconto «Americani a Vicenza», che avrebbe voluto essere un reportage, ma, come lui dice, «è piuttosto una intuizione figurativa della funebre spettacolarità di oggetti americani (uomini e cose) che vidi cinque anni dopo in America, carichi del loro falso splendore».

Anche oggi escono alle prime ore del mattino dalla caserma Ederle, per il jogging d´addestramento in gruppo verso il Monte Berico, con gli zaini affardellati. O, più o meno verso la stessa ora, escono dalle discoteche di lap-dance, dalle periferie del sesso a pagamento. E sono questi, spesso ragazzi che tornano da missioni in Iraq, che angosciano la città serena e produttiva che ha introiettato la democristianità dei Rumor e dei Bisaglia, il culto dei papi. E´ l´angoscia dei tassisti del primo turno, dei vicentini faticatori e mattinieri che ne vedono qualcuno pisciare ubriaco sulle pietre del Palladio o, peggio, a far rissa tra loro, come mezzo secolo fa capitò a Parise, sgomento per un lago di sangue che usciva da un occhio accoltellato.

Interviene, efficiente, la Military Police e il generale garantisce che i controlli saranno persino più severi. Ma come frenare ragazzi che tornano dalle missioni di guerra?

Quelli che hanno famiglia stanno nel loro «Villaggio della pace», se non sono di turno escono col loro immenso Suv targato «ZA», cui nessun vigile fa le multe, ma la spesa si fa dentro, il pane arriva dalla Germania. Dentro la caserma e dentro il villaggio ci sono il supermercato, la scuola, il campo di basket e baseball, le piscine, i centri ricreativi, adesso pure l´ospedale, in base ad un accordo con la Usl numero 6, di cui si dice informato l´ex sindaco Quaresimin. Sono forse quindicimila in tutto, con le famiglie, più del dieci per cento dei vicentini.

Trecentosei milioni di dollari è l´investimento previsto per il raddoppio della base, che potrebbero salire al doppio. I costruttori locali, Ingui, Maltauro e gli altri, sono lì ansiosi per la nuova americanizzazione cementiera, ma non tutta la locale Confindustria presieduta dal capo di Federmeccanica Massimo Calearo. Il sindaco e i suoi, come il consigliere di An Francesco Rucco, che pur si dichiara fortemente «antiamericano», dicono che l´economia potrà giovarsene e anche l´occupazione di personale vicentino nella base, che è già di qualche centinaio di persone.

La Camera di commercio e gli enti locali hanno partecipato a sponsorizzare un libretto intitolato The american heart of Vicenza che è un piccolo peana americanista, teso a dimostrare che, dopo cinquant´anni di coabitazione, gli americani a Vicenza vivono «like ordinary citizens». Ma il 62 per cento dei vicentini, secondo un sondaggio condotto dal professor Ilvo Diamanti su un campione rappresentativo di 1500 persone, è fieramente contrario a Camp Ederle 2. Addirittura l´85 per cento pretende un referendum. Il vicepremier Francesco Rutelli l´ha promesso, qualunque sia stanotte l´esito della Sala Bernarda.

Poi c´è la questione più generale, che è stata posta dal vecchio liberale Sergio Romano: se l´America fa una politica estera non conforme ai nostri interessi, perché mai l´Italia dovrebbe ospitare basi che sono strumenti di quella politica? Si chiudano, semmai, anche quelle esistenti, in ossequio alla sovranità nazionale.

Brutta serata, dopo Sala Bernarda, per Arturo Parisi, che non potrà più fare a scaricabarile, e per Prodi. L´American heart of Vicenza rischia di diventare per loro un altro incubo.

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