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“Marco Polo City”. Nuovo scandalo territoriale a Venezia
15 Ottobre 2006
Articoli del 2006-2007
Una società privata propone la realizzazione di una nuova “città” sul margine della Laguna, fuori da ogni pianificazione pubblica, in un "forum” al quale partecipa tutto l’establishent locale e nazionale . Esili (per ora) le proteste. Notizie da la Nuova Venezia del 13, 14 e 15 ottobre 2006

13 ottobre 2006

Piano da 300 milioni per trasformare lo scalo veneziano in Marco Polo City

Il master plan della Save prevede il raddoppio del sistema aeroportuale - Una porta d’eccellenza per il Nordest - Previsto nel 2020 un traffico passeggeri di 15 milioni sorretto da un moderno centro intermodale

VENEZIA. I numeri condensano gli obiettivi di Save. Il master plan dell’aeroporto di Venezia indica il sostanziale raddoppio dell’infrastruttura attuale, in funzione di un traffico di passeggeri stimato in 15 milioni al 2020.

Lo scorso anno il sistema aeroportuale veneziano ha fatto volare 7,1 milioni di persone. Il master plan al 2020 prevede una seconda pista lunga 2,3 chilometri e distante 1,7 chilometri dall’attuale (oltre la strada statale Triestina), 74 aree di parcheggio per aeromobili su circa 1,1 milioni di metri quadrati di piazzale, un terminal passeggeri con superficie di 130mila metri quadrati integrato alla nuova stazione ferroviaria Tav, parcheggi per oltre 11mila auto. Una cifra ancora: la realizzazione di questi piani implica un investimento di 300 milioni di euro. Numeri che sintetizzano la portata della sfida racchiusa in questo master plan, di cui in queste pagine anticipiamo alcune tavole progettuali. L’aeroporto Marco Polo è candidato a divenire la porta per eccellenza nella rete di mobilità del Nordest, collegato con tutte le modalità di trasporto lungo il Corridoio transeuropeo numero 5.

L’arco temporale sul quale è cadenzato il piano può apparire remoto. Non è così. In materia di infrastrutture, la pianificazione su base 10-15 anni è del tutto ragionevole data l’estenuante lentezza del processo autorizzativo e dati i tempi di elaborazione di un dossier progettuale estremamente complesso. Non di meno, è necessaria una analisi approfondita delle tesi di Save, anche in relazione al delicato contesto ambientale e urbanistico in cui l’aeroporto è sorto.

Al netto del dialogo necessario con le istituzioni e con la popolazione locale, il potenziamento del quartiere aeroportuale può includere una importante chance di sviluppo. Naturalmente per Save il raddoppio dell’infrastruttura e dei traffici è uno dei principali drivers di sviluppo della società, quotata in Borsa due anni fa e da allora al centro del risiko del settore su scala nazionale e internazionale. Ma la presenza di un forte e strutturato polo aeroportuale può essere un fattore di spinta dell’economia del territorio nel suo insieme. In una stagione segnata da reti di relazioni sempre più «lunghe» in economia, laddove la produzione è dislocata anche a migliaia di chilometri dal quartier generale dell’azienda, la disponibilità di efficienti servizi di collegamento aereo è un plus di primario rilievo. Specularmente, l’economia turistica del territorio veneto può avere un notevole vantaggio dalla presenza di un esteso network di rotte aeree. Particolarmente significativo, al proposito, è il volano costituito dallo scalo di Tessera rispetto all’attività crocieristica basata a Venezia. Da ultimo, ma non per ultimo, va pure ricordato un dato statistico che il presidente di Save cita di frequente: Enrico Marchi sottolinea che per ogni milione di passeggeri, cresce di mille unità il numero dei lavoratori dipendenti di Save. A questa cifra va poi aggiunto l’indotto (ossia le attività di coloro che, dai taxi ai ristoranti, hanno relazione con la vita del Marco Polo).

Lo scenario non è tuttavia per nulla sgombro di problemi. Il principale aspetto critico ha a che fare con la negazione stessa - attualmente - di Tessera quale nodo infrastrutturale. Non esiste aeroporto intercontinentale degno di tal nome che sia raggiungibile, e di frequente con estrema difficoltà, solo in auto. Su scala internazionale, l’aeroporto di Parigi «Charles De Gaulle», per esempio, è interconnesso direttamente con la rete dei treni ad alta velocità (Tgv).

La progettazione delle Ferrovie dello Stato prevede a Tessera una gigantesca stazione ferroviaria per i treni ad alta velocità. Stazione che sarà interamente interrata, sulla linea tra Mestre e Trieste. Ma i disegni sono poco più che schizzi, di finanziamenti nemmeno l’ombra. Le Fs soffrono una crisi finanziaria di straordinaria gravità (seconda solo a quella di Alitalia). Ma occorrerà pure che il governo dica una parola chiara sulla linea Tav Transpadana, di cui a Ovest di Verona non esiste nemmeno un tracciato condiviso dagli enti locali. E’ in avanzata fase di costruzione la tratta Padova-Mestre, nulla di più. Quanto al nodo di Mestre, non è neppure stato abbozzato un dibattito sul dislocamento della stazione Tav a Mestre piuttosto che a Tessera. Di sicuro non è ipotizzabile che di stazioni Tav ce ne siano due a una manciata di chilometri di distanza. Tutta da capire è poi la posizione della Regione Veneto riguardo al tracciato della linea Tav Mestre-Trieste, che il Cipe nel 2003 ha voluto affiancata al percorso dell’autostrada A4. La Regione Veneto non esclude che i treni Tav corrano lungo nuovi binari posti sulla costa.

Restando ai binari, è sempre di là da venire il finanziamento di una idea ormai antica chiamata Sistema ferroviario metropolitano regionale. L’idea consiste in una bretella che si stacchi dall’attuale linea Fs Mestre-Trieste e, affiancata al raccordo autostradale, consenta un agevole accesso al Marco Polo ai clienti veneti e friulani.

Rimane da dire un altro fattore critico. Nemmeno per chi raggiunge Tessera in auto è facile stimare i tempi di percorrenza. La tangenziale di Mestre è una incognita imponderabile. E qui viene in causa la questione del Passante autostradale Dolo-Quarto d’Altino. Il primo lotto del Passante, tra A4 (Quarto) e A27 (Mogliano) dovrebbe essere inaugurato nell’estate del prossimo anno. Ma le risorse finanziarie fino a oggi disponibili sono in via di rapido esaurimento: nell’arco di 2-3 mesi i 113 milioni stanziati dallo Stato e i 174 milioni anticipati dal general contractor Impregilo saranno terminati.

Sta al governo indicare, nella complicata vertenza che oppone il ministro Antonio Di Pietro e le concessionarie autostradali, come è possibile che i pedaggi riscossi alle barriere di Venezia siano finalizzati alla costruzione del Passante. Ne va di mezzo, tra l’altro, anche l’efficienza del polo aeroportuale. (p.pos.)

13 ottobre 2006

Il «quadrilatero d’oro» intorno all’aeroporto cambierà volto

di Alberto Vitucci

Un puzzle con Casinò e stadio abbellito dalla firma di Gehry

VENEZIA. Il quadrilatero d’oro prende forma. Da scalo aeroportuale, il Marco Polo si candida a diventare «il primo gate dell’Euroregione del Nord Est». Non soltanto un aeroporto, dunque, ma un grande nodo intermodale, unico punto di arrivo per le reti ad Alta Velocità, i nuovi collegamenti ferroviari e autostradali. Un’area destinata a cambiare volto nei prossimi anni, con investimenti di miliardi. E’ questo l’ambizioso progetto («Master plan») realizzato dall’architetto Giulio De Carli per conto di Save. Un piano che prevede accanto all’ulteriore ampliamento dell’aerostazione la seconda pista, infrastrutture, alberghi e centri commerciali. E nelle aree vicine, il nuovo stadio, il terminal di Gehry e la nuova sede del Casinò. Un puzzle che prende forma e che in alcune parti è già definito. Restano sullo sfondo le diversità di vedute tra enti locali e la società aeroportuale, Provincia e Comune hanno ritirato i ricorsi al Tar che avevano portato due anni fa a un’aspra polemica con Save. Un segno di disgelo che dovrebbe essere accompagnato dalla nomina nel Cda della società aeroportuale dei due consiglieri «politici», in sostituzione dei due funzionari nominati ai tempi della guerra legale. In cambio del ritiro dei ricorsi, dovrebbe arrivare l’accordo sulle nuove localizzazioni di stadio e casinò. E il via libera al futuristico terminal da 130 mila metri quadri progettato dall’architetto canadese Gehry. Un sogno dello scomparso presidente Gianni Pellicani, e la porta sull’acqua che ancora manca al terzo aeroporto d’Italia. Dove ancora oggi chi arriva da Venezia con il motoscafo deve percorrere un chilometro a piedi per andare agli aerei, senza navetta e senza tapis roulant.

Il master plan disegna Tessera come dovrebbe essere nel 2020, quando l’aeroporto nato sulle barene in mezzo alla laguna potrebbe raggiungere la soglia dei 15 milioni di passeggeri l’anno. Un piazzale da un milione e 100 mila metri quadrati che può ospitare 74 aerei, parcheggi per 11 mila auto, alberghi e spazi per la logistica, le stazioni dell’Alta velocità e della linea Sfmr regionale. E poi il nuovo stadio con servizi e attività ricettive e commerciali collegate, la sede del Casinò per cui l’Urbanistica sta trattando con gli architetti di Save. E infine, la terza pista. La contestata infrastruttura che gli abitanti della zona non vogliono. 2300 metri di lunghezza, poco più di un chilometro a nord est di quella esistente nell’area fra la bretella autostradale e il fiume Dese.

Nel futuro dell’aeroporto c’è anche la sublagunare. Il contestato progetto, bocciato dai tecnici di Comune e Provincia un anno fa, giace in qualche cassetto. Ma nel master plan del nuovo aeroporto è segnato sulla cartina come una struttura già realizzata, collegata allo scalo.

Infine, l’area sud. Qui Save non ha ancora trovato un accordo con i fratelli Poletti, imprenditori trentini e nuovi padroni del Venezia calcio, proprietari delle aree strategiche che affacciano in laguna dove è prevista la nuova strada di accesso all’aerostazione. Con loro ci si dovrà accordare.

13 ottobre 2006

Appuntamento oggi e domani alla Fondazione Cini

Due giorni di «Stati generali» con Cimoli e il ministro Bianchi

VENEZIA. Sarà il presidente di Save, Enrico Marchi ad aprire gli Stati Generali questa mattina alle 9.15 alla Fondazione Cini sull’isola di San Giorgio a Venezia. Seguiranno gli interventi del sindaco Massimo Cacciari, del presidente della Provincia Davide Zoggia e quello del governatore regionale Giancarlo Galan. Gli Stati Generali sono suddivisi in quattro sessioni su quattro temi. I primi due - il business e i sistemi di collegamento e mobilità - saranno affrontati oggi; gli altri due - le funzioni urbane e le prospettive strategiche - saranno affrontati domani. Nell’arco dei due giorni di discussioni interverrano tra gli altri il presidente dell’Enac, Vito Riggio, l’amministratore delegato di Unicredito Italiano, Alessandro Profumo, l’amministratore delegato delle Generali, Giovanni Perissinotto, l’amministratore delegato delle Ferrovie, Marco Moretti, il presidente di Alitalia, Giancarlo Cimoli, il presidente di Assaereo, Fausto Cereti, il vicepresidente della Delta Air Lines, Doug Blissit, l’amministratore delegato di Hapag-Lloyd Express, Roland Keppler, il presidente dell’Enav, Bruno Nieddu, il presidente di Copenaghen Airport, Niels Boserup, il presidente degli Industriali veneti, Andrea Riello, il Ceo del Vienna International Airport, Herbert Kaufmann. E’ previsto anche un intervento in video di Frank O. Gehry, architetto e progettista del «Venice Gateway». Interverranno inoltre il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, il viceministro Cesare De Piccoli, il presidente della commissione Trasporti e Turismo Paolo Costa e il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Riccardo Illy. La seconda sessione su «sistemi di collegamenti e mobilità» sarà coordinata dal direttore de La Nuova di Venezia e Mestre Paolo Possamai.

14 ottobre 2006

Marco Polo, ponte europeo in un corridoio bloccato

di Alessandra Carini

Al mega-aeroporto veneziano del futuro mancano infrastrutture stradali e ferroviarie - Per ora vinta sulla carta la sfida lanciata da Marchi. Denunciati i gravi ritardi italiani sul Corridoio Cinque

VENEZIA. La sfida del Marco Polo per diventare la piattaforma aeroportuale del Nordest è, almeno sulla carta, vinta. Il master plan è fatto, gli accordi con Treviso quasi, quello con Ronchi dei Legionari è nelle cose. Sarà un polo sostanzialmente privato. Il presidente della Regione, Giancarlo Galan annuncia che venderà le sue quote che, per patti già scritti, entro il novembre del 2007, finiranno a Enrico Marchi e soci, Generali comprese, facendo raggiungere ai privati la maggioranza. Ma senza un contorno di infrastrutture ferroviarie e stradali che facciano del Marco Polo un punto di snodo infrastrutturale quella sfida rischia di essere persa, non solo per Venezia e tutto il Nordest ma anche per l’Italia. Perchè significa che il Paese avrà perso l’occasione per far passare a Sud delle Alpi il Corridoio Cinque sul quale le decisioni dell’Europa sono imminenti e i ritardi accumulati dal sistema italiano enormi.

Dice sconsolato Riccardo Illy, presidente della Regione Friuli: «Il sistema aeroportuale del Nordest non parte se non c’è la Ferrovia che vada a est e per adesso non c’è neanche il progetto. Purtroppo in questo settore facciamo un passo avanti e due indietro, come i gamberi e pensiamo sempre ai costi della realizzazione e non a quello che paghiamo se le opere non si fanno». E conclude sfiduciato: «Visto che è un Corridoio europeo perchè non deleghiamo all’Unione il compito di realizzarlo?». Ribatte un concretissimo ma amaro Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie: «Scontiamo tagli pazzeschi fatti l’anno scorso e un’incapacità cronica di stabilire priorità sul territorio e di valutare i costi: l’alta velocità non si può fermare dapertutto». E sparisce ad est la litania di date, anche se sempre disattese, che spesso davano la speranza. L’alta velocità si farà sì, ma chissà quando.

La prima giornata degli Stati generali dell’Aeroporto di Venezia, convocati da Marchi per segnare il punto sul suo progetto, uno dei più importanti oggi in campo aeroportuale, si è concluso così con una sorta di «vittoria mutilata». Vittoria perchè Marchi incassa un’adesione sostanziale di Massimo Cacciari al suo progetto (anche se la seconda pista è ancora in contestazione), l’impegno formale di Galan a vendere, l’adesione del viceministro dei Trasporti Cesare Piccoli a rivedere le norme sui requisiti di sistema e quelle della finanziaria che impongono il passaggio al demanio delle aree non destinate al servizio aeroportuale. E, infine, un primo sì da parte di Renato Chisso alla stazione dell’alta velocità a Tessera. Mutilata perchè nel corso degli interventi che si sono susseguiti è emerso che tutto il resto del sistema, sul quale soprattutto l’Italia si gioca la sua credibilità, rischia di franare sotto i macigni dei ritardi e dell’incapacità di decisione strategica.

Paolo Costa, presidente della commissione Trasporti del Parlamento europeo, non ha avuto difficoltà a mostrare quanto sia strategico ai fini dell’Europa, lo snodo aeroportuale nordestino che fa perno sul Marco Polo. Le slides presentate a illustrazione della sua posizione nell’Europa dei Corridoi mostrano una fitta rete che passano proprio nel tratto che va da Verona a Trieste con una tendenza, dice, «di un’asse che è destinato a spostarsi sempre più a Est». «Ma le scelte non sono più dilazionabili», aggiunge.

Entro l’anno l’Europa stabilirà le regole finanziarie. Prima dell’estate dove allocare i soldi. Per sapere in quali «tasche» potrebbero finire sono indispensabili tre condizioni: che sia firmato il trattato internazionale, che il progetto tecnico sia approvato, che ci sia l’impegno dei governi a finanziarlo». Ma il trattato italo-sloveno non c’è, anche se Illy ha annunciato per il 16 ottobre una riunione tra i rappresentati dell’ arco sud europeo.

Un pugno di mesi separa l’Italia da queste decisioni, è un abisso se si tiene conto dei tempi e della coerenza delle delibere italiane. Dalle risposte alle domande poste dal direttore della Nuova Venezia, Paolo Possamai, sono emersi così interrogativi che per ora non trovano risposta. Da quelli sollevati da Alessandro Profumo che dice che le banche sono disposte a finanziare progetti e investimenti ma che vogliono certezze di introiti e di tempi. E che conclude: «Mi domando perchè nel 1864 si trovarono i soldi per il Frejus e oggi non ci sono per la Torino-Lione». A quelli di Moretti che dopo avere ricordato con orgoglio che le Ferrovie sono diventate tra i più grossi investitori europei e non sono più un carrozzone di residui passivi è passato all’enumerazione delle difficoltà: «L’anno scorso sono “spariti” 6 miliardi di euro di finanziamenti, abbiamo fatto miracoli per non chiudere i cantieri. Ecco perchè il progetto Mestre-Ronchi non c’è». Ma non c’è solo questo a tormentare il percorso dell’Alta velocità ferroviaria. Ci sono i costi pazzeschi imposti dalle richieste, il passaggio di Vicenza, e poi Padova, il quadruplicamento della linea: chi mai li finanzierà? E perchè si dovrebbero spendere tutti questi quattrini per fare queste opere anzichè collegare Bari e Napoli che costa molto meno e rovescerebbe la situazione di una gran parte del Sud? E poi c’è un territorio che non vuole stabilire priorità e si illude che l’ alta velocità possa essere fermata ad ogni campanile: «Ci vuole un’ autorità che stabilisca le priorità e che pensi ai collegamenti fra le grandi aree metropolitane». Merce rara in un Paese poco incline alle decisioni e troppo attento a contemplare le risse tra gli enti locali. Comunque nel 2008 sarà fatta la Bologna-Milano, nel 2009 la Firenze-Bologna, poi la Torino-Novara. Ad est c’è la certezza, tra poco, della Padova-Mestre. E un piano per la Treviglio-Verona che però costa 5 miliardi e mezzo di euro. Tutto il resto e in mente dei.

14 ottobre 2006

Confronto pubblico sul futuro dell’aeroporto

Oggi e domani si svolgono nell’isola di S. Giorgio, promossi da Save, i cosiddetti stati generali dell’aeroporto, per i quali s’è fatto ricorso al presuntuoso conio di Marco Polo City. Nelle dichiarazioni del presidente di Save, Enrico Marchi, questo evento servirebbe a presentare i piani di sviluppo dell’infrastruttura aeroportuale e a condividerli con la «società civile». Le dichiarazioni del presidente Marchi sono senz’altro significative, consentono di penetrare nella forma mentis di chi, in quest’ultimo anno, si è nei fatti sottratto a quel confronto pubblico che nel buon ritiro di S. Giorgio dovrebbe essere praticato. Premesso che le forme e gli stili della condivisione sono quelli dei luoghi pubblici e degli organismi rappresentativi e democratici, e che la figura claustrale prelude piuttosto alla separatezza e alla divisione del decisore dagli astanti, le interviste che Enrico Marchi ha rilasciato in questi giorni rappresentano la più radicale contraddizione con il nobile scopo cui gli stati generali si votano, e dimostrano tutta la distanza che intercorre tra il predicato e il praticato da parte di Save. Stupisce che Enrico Marchi si periti di affermare che il nuovo Master Plan dell’aeroporto «è stato presentato alla Provincia e al Comune» e che qui ritenga di avere assolto il proprio ruolo. Dovrebbe rammentare, il presidente di Save, che le scelte sull’evoluzione di un territorio, l’atto della pianificazione, gli indirizzi su come le comunità territoriali possono evolversi e trasformarsi, hanno un carattere radicalmente pubblico, rappresentano cioè uno degli elementi per i quali una società può davvero dirsi democratica e aperta. Nei fatti e negli atti fin qui compiuti, il presidente di Save ha eletto sé e i propri partners quali soggetti attivi della pianificazione, pretendendo di imporre le volontà dei privati ai decisori istituzionali che, a differenza del patto di potere che ha consegnato a Marchi la società Save, sono retti da un patto civile che ha nella legittimazione popolare l’intima e originale sua natura.

Ancor prima che nel merito delle scelte proposte dagli stati generali, è quindi il percorso che pone capo alla decisione che appare viziato da una stortura colossale e insanabile. Perché, se si sostituisce al decisore pubblico sulla pianificazione e sulla composizione dei diversi e legittimi interessi coinvolti il decisore privato che rappresenta proprio uno o alcuni di quegli interessi (magari con il complice silenzio degli attori istituzionali), è evidente che ogni possibile garanzia che le scelte sui territori avvengano contemperando tutte le sensibilità e vocazioni degli stessi è destinata a venire meno. Nel momento in cui le scelte sul futuro dell’aeroporto di Venezia possono modificare in modo determinante i pesi e gli equilibri urbani della città, sul piano delle nuove economie delle reti di mobilità su rotaia e di interscambio piuttosto che sulla possibile espansione di attività commerciali o della logistica, è la città stessa a doversi riappropriare, mediante le forme rappresentative che ne incarnano la volontà, del ruolo dirigente dei nuovi processi di espansione. Ciò cui pensiamo è del resto quel che le migliori democrazie europee praticano da tempo, interpretando il pubblico appunto come il soggetto prediletto della governance dei grandi disegni metropolitani, di soggetto direttore in grado di coinvolgere in legame di partnership i grandi attori economici e sociali che ogni comunità esprime.

Ciò cui invece pensa Marchi, nel solco di una troppo consumata abitudine italica, è il depauperamento di quell’altissimo valore economico e sociale rappresentato dal cuore dell’infrastruttura aeroportuale, dal suo snaturamento utile a spingere la società nel pelago pericoloso delle speculazioni finanziarie, lasciando sempre più alle spalle il suo fondamento industriale. Se la contemporaneità impone agli universi urbani il modello della rete tra soggetti come unica via per una pianificazione delle grandi funzioni urbane davvero praticabile (soprattutto in un tempo che deve misurarsi con la sostenibilità e il limite di ogni territorio), Marco Polo City si attarda invece tra le peggiori esperienze novecentesche di concentrazione massiva degli insediamenti, use a ricercare il profitto dei pochi piuttosto che quello dei molti.

Ciò cui occorre invece tendere è l’integrazione dei sistemi urbani con le reti di trasporto e mobilità, con la valorizzazione del capitale ambientale inteso come soggetto propulsore di sviluppo economico (del tutto inesplorato per la nostra città è il ruolo ad esempio del bosco di Mestre e della linea di gronda come incubatori di nuova intrapresa), in una prospettiva che non concepisce Venezia come un solum isolato, ma la inserisce in una tramatura urbana e sociale che giunge almeno fino a Trieste e la inserisce al centro dei grandi corridoi europei. In fondo, ciò a cui pensiamo, ciò cui vogliamo ritornare (e, se riusciamo a farlo, è perché assumiamo il concetto dell’interesse pubblico come paradigma dell’azione e della scelta) non è altro che quell’«apertura al mondo» e alle sue opportunità che, a partire dal ’300, fece di Venezia una delle capitali d’Europa e del mondo.

Andrea De Pieri, Silvia Falchi, Alessandro Ruffini, Carla Falchi, Emanuele Rosteghin, Nicola Da Lio, Marina Dragotto, Francesco Fracassi, Gabriele Scaramuzza, Gianluca Trabucco, Carmela Tarantino, Massimo Ongaro, Matteo Ribon, iscritti ai Ds di Venezia

14 ottobre 2006

«Il masterplan? Sarà un’altra Val di Susa»

Il presidente Scaramuzza è furibondo «Quell’aeroporto futuro è uno scandalo» - «Il territorio così sarà distrutto Cacciari ha il dovere di fermare questo scempio»

FAVARO. «Siamo stati invitati ma tra il pubblico, non certo a dire la nostra». Il presidente di Favaro Gabriele Scaramuzza ieri era a Venezia, all’isola di San Giorgio, ad assistere alquanto allibito alla presentazione del nuovo master plan di Save e immaginare nel frattempo, la distruzione delle aree ancora libere e da salvaguardare del territorio della Municipalità. «E’ uno scandalo» commenta lapidario. Alta Velocità, nuovi collegamenti ferroviari e autostradali, l’ampliamento dell’aerostazione e soprattutto la seconda pista, infrastrutture, alberghi e centri commerciali.

Fino ad un anno fa un master plan dai contorni sfuocati ma pur sempre di portata che dire mastodontica non rende l’idea, pubblicato quasi in sordina nel sito dello scalo veneziano. Invece ora, le più meste e grigie previsioni della Municipalità prendono forma. E la polemica si accende nuovamente. «Abbiamo ricevuto un invito, ma non certo a rappresentare le istanze del territorio - spiega il presidente Gabriele Scaramuzza -, e il sindaco di Venezia non ha sicuramente difeso i cittadini, ha spiegato che condivide le linee strategiche del master-plan di Enrico Marchi, parlando anche di scali integrati, ma bisogna scegliere, o l’una o l’altra soluzione, non certo entrambe». Insomma, il «cerchiobottismo» in questo caso non è apprezzato dall’ente locale. «Siamo stati ottimi profeti - continua Saramuzza -, anzi lo sviluppo prospettato è ancora peggiore di quello che immaginavamo». Ancora una volta il presidente di Favaro attacca sindaco e giunta. «Fino ad ora sono stati inadempienti, bisogna capire se questa città ha deciso di spogliarsi definitivamente del ruolo di pianificazione dello sviluppo del suo territorio e lasciarlo al presidente di Save, il Comune deve dire «no» al master plan, adesso Cacciari deve dirci se la sua scelta è quella di massacrare i territori per favorire gli interessi del privato, oppure se attuare una seria politica industriale dei gruppi aeroportuali mediante l’integrazione degli scali». Ancora: «Deve venire a Tessera e a Ca’ Noghea, a dirlo davanti a tutti i cittadini e spiegare perché espropria in modo scandaloso il territorio del principio democratico che rende una città una comunità viva, quello di scegliere del proprio futuro». Aggiunge il presidente: «Il sindaco non ha il mandato per concludere accordi con Save perché non è legittimato a farlo così come non può violentare il territorio». Conclude Scaramuzza: «L’esasperazione può portare anche alla Val di Susa». Una dichiarazione di guerra. Sulla stessa linea il capogruppo della Margherita: «Lo spazio ragionevolmente accettabile - commenta Fiorenzo Bison -, è il limite della Triestina, tutto il resto avrebbe delle conseguenze disastrose, altri aeroporti ce ne sono, l’Alta Velocità consente l’integrazione con lo scalo friulano, al resto ci opponiamo».

(Marta Artico)

15 ottobre 2006

Il ministro «benedice» Marco Polo City

di Matteo Marian

Bianchi: «Buon piano, può essere sostenuto» Generali pronte ad aumentare la quota in Save - L’esponente del governo «Venezia è zona chiave per i rapporti con l’Est»

VENEZIA. «La scarsità di risorse impone delle scelte. I progetti di sviluppo infrastrutturale sono centinaia, per tutti i soldi non ci sono. Questo significa che un buon progetto potrà essere sostenuto, a discapito di altri, come il ponte sullo Stretto, che non dimostrano altrettanta qualità. A me, Marco Polo City sembra un buon progetto». Il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi «benedice» il master plan di sviluppo del Marco Polo presentato da Save. Non manca di sottolineare come, nella sua crescita, la società veneziana debba coinvolgere la comunità - «è un rapporto indispensabile», sottolinea - e come ci siano alcuni aspetti del piano «che non mi hanno convinto». Ma la struttura portante del progetto, che guarda al 2020, viene ritenuta intelligente e di alto respiro. Tanto da poter essere «un esempio a cui rifarsi».

Certo, va fatta la tara su interrogativi di non poco conto (alta capacità, Sistema ferroviario regionale e Passante) e, forse, sulla «convenienza» di non far scattare altri allarmi in un territorio dove si scende in piazza contro la Finanziaria. Ma Bianchi è apparso «competente e serio», il commento a microfoni spenti colto in uno scambio tra Enrico Marchi e Andrea Riello. E anche sincero, e rassicurante, nel rispondere ai temi cari al presidente di Save. «I beni demaniali aeroportuali inseriti nella Finanziaria? Non me ne sono accorto, ripareremo al malfatto» ha ammesso il ministro che ieri è intervenuto alla giornata conclusiva degli stati generali su Marco Polo City. Mentre sui requisiti di sistema ha precisato che «la cosa da fare non è cancellarli, ma riformarli profondamente riunendo i diversi soggetti coinvolti».

Tornando al cuore del progetto Save, Bianchi ha avuto parole lusinghiere per il progetto. «Ho molto apprezzato il modo di proposione, c’è una visione alta e a lungo periodo, cosa che è mancata a questo Paese. Un’idea che stiamo reintroducendo nel piano generale della mobilità. Inoltre, ho guardato con interesse all’attenzione posta all’intermodalità, un’idea avanzata e vincente. Ma anche alla visione della città aeroporto, e cioè al trasferimento di funzioni urbane nell’ambito di una struttura tradizionalmente considerata solo come uno scalo». A tutto questo, ha spiegato il ministro, «si aggiunge la carica simbolica enorme che ha Venezia e l’opportunità di creare una porta importante in una zona strategica per i rapporti con l’Est».

La città aeroportuale ha raccolto, quindi, consensi trasversali. Da quelli del governatore Galan, l’altro ieri, a quelli dell’urbanista e docente universitario entrato nella squadra del governo Prodi in quota Pdci. Un aeroporto visto come «motore di sviluppo», come prima porta nella rete della mobilità del Nordest, collegato con tutte le modalità di trasporto lungo il Corridoio V. Rimane ora da capire come accendere questo motore, trovando, allo stesso tempo, un interlocutore istituzionale in grado di rispondere a una richiesta, come ha rivelato Massimo Colomban, giunta recentemente da Frank Gehry: «Chi mi promette che la Venice Gateway sarà realizzata?».

I buoni progetti, è la convinzione di Marchi, trovano i finanziamenti necessari. E, in questo senso, le Assicurazioni Generali (azioniste di Save) si sono dette pronte a fare la loro parte. «Le compagnie assicurative, operando come investitori istituzionali, potrebbero contribuire maggiormente alla crescita economica del Paese - ha commentato l’amministratore delegato del Leone, Giovanni Perissinotto -. La speranza è che il decollo della previdenza permetta la creazione di veicoli in grado di supportare queste operazioni. Noi siamo pronti a impegnarci, ma servono norme adeguate per poterlo fare. Se la legislazione lo permettesse, le assicurazioni potrebbero destinare una parte delle riserve tecniche (accantonamenti effettuati a fronte di obblighi futuri verso i propri assicurati) in strumenti finanziari per lo sviluppo di nuove infrastrutture. Oggi questo accade solo in parte».

Rispetto all’annunciata cessione di parte della quota della Regione Veneto in Save (volontà ribadita venerdì dal presidente Galan) Perissinotto ha dichiarato che alle Generali «non dispiacerebbe aumentare la partecipazione in Save, ma, allo stesso tempo, non sarebbe male un allargamento ad altri soci qualificati». Per Marchi la quota sarà riassorbita dal Leone e da Finint.

15 ottobre 2006

«Un polo espositivo unico? A Tessera»

Olivi (PadovaFiere): «Per noi Veneto City è un’alternativa astratta»

VENEZIA. L’integrazione delle funzioni urbane nella città aeroportuale ha fatto breccia. Casinò, sedi di società multinazionali, stadio, commercio e fiere, secondo il piano di Save. E proprio sul sistema fieristico tornano a farsi strada vecchi sogni. «Pensando a un polo regionale, non si può che immaginarlo vicino all’aeroporto» ha sottolineato dal palco della Fondazione Cini Andrea Olivi, amministratore delegato di PadovaFiere. «Venezia ha una formidabile capacità evocativa: quando vado all’estero per spiegare da dove arrivo parlo di Venezia». I se e i ma, nonostante il tema sia tornato d’attualità a palazzo Blabi, però non mancano. «La politica si dovrebbe ritirare da questa attività» ha precisato Olivi tornando a ricordare come la società padovana sia l’unica interamente privatizzata in Italia. «Invece di preoccuparsi di tutelare rendite locali la questione dell’unico polo fieristico andrebbe affrontata con logica imprenditoriale. Ci sarà un perché al fatto che un’area metropolitana più piccola di Los Angeles (il riferimento è alle province di Padova, Venezia e Treviso, ndr) non riesca ad esprimere un’unica realtà dove organizzare grandi manifestazioni fieristiche».

Non è un mistero che PadovaFiere ha la necessità di trovare una sede più adeguata a un business che deve porsi in un’ottica di mercato internazionale. «Quando parlo di un polo vicino all’aeroporto non intendo Veneto City - aggiunge Olivi -. A oggi questa è un’alternativa molto astratta, quella di Save è più chiara». Il manager chiamato a coordinare tutti gli eventi fieristici del gruppo Gl Events (azionista di riferimento di PadovaFiere) non scorge, comunque, elementi di novità rispetto al vecchio e infruttuoso dialogo sul polo veneto. «Verona è difficilmente coinvolgibile, nelle vicinanze dell’aeroporto potrebbe insistere un’unione fra Padova, Venezia e Treviso. Ma accanto alle grandi idee servono, anche, i numeri. Ovvero l’unico elemento che permette una valutazione sulla convenienza, imprenditoriale, di un’operazione di questo genere. Senza dimenticare che serve l’accordo di tutti: dalla nostra parte serve l’assenso del Comune di Padova. Resta il fatto che costituire un polo a Venezia darebbe la possibilità anche di attrarre investimenti diretti dall’estero».

Per Olivi, lo spostamento di PadovaFiere in quella che dovrebbe essere Veneto City a oggi non è un’ipotesi concreta. «Nessuno ci è mai venuto a parlare di area e affitti» sottolinea. Ma anche la prospettiva di Marco Polo City, «pur essendo più chiara», sconta un problema. «Pensare di realizzare un’intesa fieristica tra Padova, Venezia e Treviso con un orizzonte di tempo che guarda al 2020 non serve a nulla - spiega -. Altro che 14 anni, al massimo bisogna ragionare nell’arco di due anni. Le fiere italiane che possono essere competitive a livello internazionale sono due o tre. E invece lo Stato butta centinaia di milioni in quartieri fieristici inefficienti. Penso a Roma a Bari, sono soldi buttati dalla finestra. Così hanno fatto tanto la destra che la sinistra. E questo per tutelare vere o presunte rendite locali». (m.mar.)

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