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Mariarosa Vittadini
Aree urbane abbandonate al traffico
23 Luglio 2006
Muoversi accedere spostare
Ancora utili riflessione informazioni sul traffico e il suo governo, da www.lavoce.it

Mariarosa Vittadini, Aree urbane abbandonate al traffico

Le aree urbane sono divenute il luogo della congestione stradale, del deterioramento da traffico dell’ambiente, dell’inquinamento dell’aria, dell’insicurezza, cioè sono uno dei fattori più critici del funzionamento del paese. Tanto che il disagio complessivo del muoversi è divenuto uno dei motivi importanti di peggioramento della qualità della vita quotidiana. Congestione e insicurezza si riverberano poi su tutto il sistema dei trasporti, comprese le infrastrutture per le lunghe distanze, con un danno economico diretto e indiretto di amplissime proporzioni.

La gravità del problema si comprende meglio se si considera che la mobilità di breve raggio costituisce la grandissima maggioranza della mobilità dei passeggeri. Il rapporto Isfort-Asstra del 2005 fotografa la situazione in questi termini: tra il 2000 e il 2004 la mobilità delle persone in Italia sarebbe in netto decremento (-6 per cento degli spostamenti e -25 per cento delle percorrenze), mentre la mobilità interna ai perimetri urbani continuerebbe a crescere. (1) Nei perimetri urbani si concentrerebbe così, al 2004, poco meno del 90 per cento della totalità degli spostamenti di persone e poco meno del 60 per cento delle percorrenze (passeggeri-km). (2)

Il declino del trasporto pubblico

Tutte le componenti del trasporto pubblico urbano, con pochissime eccezioni, fanno registrare una situazione di ristagno, quando non di perdita di quote di domanda. Sempre l’indagine Isfort-Asstra quantifica nella modesta proporzione del 12,7 degli spostamenti e 15,2 delle percorrenze la quota percentuale di mobilità urbana servita dal trasporto pubblico. Tali quote salgono rispettivamente al 23 per cento e al 31per cento nelle città di maggiori dimensioni, ma restano comunque inferiori a quelle delle città centro-europee. I principali problemi ruotano intorno alla antica e tuttora irrisolta questione degli investimenti per i trasporti locali. Abbandonata alla fine degli anni Settanta l’idea di addossare gli investimenti per lo sviluppo del trasporto pubblico ai fragili bilanci comunali, lo Stato ha finanziato direttamente, di volta in volta, questa o quella componente infrastrutturale o tipologia di mezzi. Provvedimenti e leggi frammentarie, ad hoc, spesso emergenziali e al di fuori di qualsiasi visione programmatica hanno finanziato, a singhiozzo, opere mai sottoposte alle necessarie valutazioni.

Il risultato è l’evidente sottodotazione delle città italiane rispetto alle città europee.

Quantità e qualità

Le modalità di organizzazione della circolazione consentono tuttora all’ automobile, nella maggior parte dei casi, di vincere la competizione sulla velocità e la sicurezza dei tempi di viaggio. Le profonde trasformazioni nella organizzazione del territorio degli ultimi venti anni si sono accompagnate a un mutamento altrettanto profondo della struttura degli spostamenti, sempre meno sistematici e sempre meno destinati alle zone centrali. Il trasporto pubblico ha invece mantenuto la tradizionale impostazione orientata al servizio dei centri, lasciando sostanzialmente all’auto le altre relazioni.

Rivedere questa impostazione comporta un enorme sforzo organizzativo, finanziario e anche culturale. Significa passare da politiche "modali" a politiche di integrazione (dei servizi, degli orari, delle tariffe, dell’uso delle infrastrutture, anche dell’automobile, utilizzando ampiamente politiche di pricing delle strade opportunamente mirate. Il trasporto pubblico locale italiano si distingue in Europa per la più bassa quota di trasporto su ferro: 35 per cento contro il 55 per cento della Francia, il 53 per cento della Germania, il 52 per cento dell’Inghilterra. (3)

La quota di trasporto su ferro è un buon indicatore di qualità del servizio. In Francia, Germania e Inghilterra tram e ferrovie locali hanno per lo più sedi proprie, frequenze elevate, e hanno beneficiato di notevolissimi investimenti in innovazioni tecnologiche delle infrastrutture e dei mezzi. In molti capoluoghi regionali italiani il potenziamento infrastrutturale per lo sviluppo di servizi ferroviari regionali e metropolitani è da anni in via di realizzazione con tempi lunghissimi e discontinuità di finanziamento defatiganti. E i servizi di trasporto ferroviario regionale effettivamente prodotti non hanno dato finora brillante prova di sé.

Una cura che può uccidere il paziente

Per ottenere qualche risultato in termini di alleggerimento della congestione lungo gli assi stradali e autostradali che attraversano le aree dense occorre, insieme allo sviluppo dei servizi ferroviari, procedere alla integrazione ampia di tutti i mezzi di trasporto, automobili comprese, ripensare tutte le reti infrastrutturali (strade incluse) e le loro tariffe d’uso con l’obiettivo di far funzionare il sistema integrato, ripensare alle modalità di sviluppo degli insediamenti e alla localizzazione dei grandi attrattori. Stiamo invece assistendo al processo inverso. Forti della esasperazione per la congestione endemica degli assi che attraversano le aree dense sono nati ovunque progetti di grandi bypass autostradali e di nuovi anelli tangenziali sempre più esterni. Milano, Bologna, Firenze, Roma, Venezia e molte altre città si misurano oggi con simili proposte.

La logica è quella di spostare il traffico di attraversamento su nuovi assi esterni lasciando i vecchi al traffico locale. È del tutto evidente che questa cura ammazza il paziente. Perché la nuova capacità stradale incentiva ulteriore speranza di muoversi verso la città e nella città con l’automobile e si satura con incredibile rapidità. Con il risultato che i nuovi assi autostradali non si pongono, per loro natura, il problema dell’integrazione modale, mentre la strada vecchia dal punto di vista dell’integrazione resta inadeguata come prima.

Speranze per il futuro

Qualche speranza per il futuro potrebbe venire dalla effettiva elaborazione e realizzazione dei Piani urbani della mobilità introdotti con il Piano generale del trasporto locale. Perché i Pum sono strumenti di pianificazione dei trasporti come "progetti di sistema", si pongono in una prospettiva di lungo periodo, considerano le infrastrutture come componente fondamentale dell’assetto territoriale e delle sue trasformazioni e assegnano all’amministrazione che pianifica la piena responsabilità delle sue scelte. Il che equivale a dire che devono essere elaborati insieme ai piani per il governo del territorio e sulla base di valutazioni economiche e ambientali più rigorose di quelle che hanno accompagnato le opere della Legge 211/92. Tuttavia, dei mille miliardi (dell’anno 2000) che ogni anno avrebbero dovuto essere dedicati al loro finanziamento non vi è traccia. Mentre una buona quota di risorse della Legge obiettivo è dedicata alla realizzazione dei bypass autostradali.

Sembra dunque urgente cambiar rotta. Il problema delle aree dense e della loro infrastrutturazione ha ormai una dimensione e una gravità troppo a lungo sottovalutate nelle politiche nazionali.

(1) Si veda Isfort-Asstra Avanti c’è posto? Rapporto annuale Asstra-Isfort sulla mobilità urbana: i bisogni dei cittadini, le risposte della città, aprile 2005. L’indagine è condotta mediante interviste a un campione significativo di persone con età compresa tra 14 e 80 anni. Per "spostamenti urbani" si intendono quelli destinati allo stesso comune di residenza dell’intervistato e inferiori a 20 km.

(2) Il condizionale è d’obbligo perché molte altre fonti di informazione fanno registrare invece una crescita forte delle distanze percorse e della mobilità con origine in un comune e destinazione in un altro comune: dunque esterna ai perimetri urbani come definiti dall’Isfort.

(3) Si veda l’analisi di benchmark europeo condotta da Earchimede per Asstra e Anav.

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