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Salvatore Settis
La legge sull’ambiente un dono agli abusivi
10 Giugno 2006
Beni culturali
Salvatore Settis illustra un altro risvolto nefasto della vergognosa legge finanziaria, su la Repubblica del 1 dicembre 2003.

SI ERA capito che la Finanziaria di quest’anno passerà alla storia come il più selvaggio e determinato attacco al patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale del nostro Paese; ma sbaglia chi crede che abbiamo già toccato il fondo con la sequenza di provvedimenti come il condono edilizio e il silenzio-assenso. Con un nuovo colpo di mano, infatti, la legge sull’ambiente, già più che criticabile e più che criticata anche su queste pagine, si sta trasformando in una sanatoria senza confini e senza regole di qualsiasi abuso, di qualsiasi forma di distruzione del paesaggio.

Il testo della legge delega in materia ambientale (A.S. 1753 B) è stato presentato dal ministro dell’ambiente, Matteoli, di concerto con altri dieci ministri (Tremonti, Lunardi, Castelli, Moratti, Frattini, Buttiglione, Marzano, Alemanno, Stanca, La Loggia), ed è ora al Senato, in attesa della finale approvazione. Ma il testo tornato al Senato in seconda lettura è radicalmente diverso da quello originario: vi si è insediato infatti un perverso emendamento, presentato da parlamentari di maggioranza e votato alla Camera in presenza di esponenti del governo (fra cui il sottosegretario all’ambiente), che modifica radicalmente la portata della depenalizzazione degli illeciti penali in materia paesaggistica.

Che cosa è cambiato rispetto al testo approvato dal Senato in prima lettura? All’art. 32, la totale depenalizzazione era prevista solo "per i lavori compiuti in difformità dalla autorizzazione" rilasciata al richiedente, il che almeno ipotizzava che vi fosse stata una qualche richiesta di autorizzazione. Nella nuova versione, l’estinzione del reato è estesa anche ai "lavori compiuti in assenza di autorizzazione", cioè alle forme più bieche e becere di abusivismo. Non è tutto. Nella versione originaria del testo, si prevedeva almeno che l’estinzione del reato avvenisse solo a condizione che "le difformità non abbiano comportato aumenti delle superfici utili o dei volumi": questo comma, nella nuova versione emendata, è stato semplicemente soppresso, il che vuol dire che chi ha trasformato abusivamente un canile in un condominio di venti piani riscuote il plauso del legislatore. Infine: nella versione originaria l’estinzione del reato era subordinata al pagamento di una sanzione pecuniaria, mentre ora tale sanzione viene rinviata sine die, e solo "ove sia accertato il danno arrecato". In altri termini, con la nuova norma anche chi avesse costruito un grattacielo su una spiaggia senza nemmeno provare a chiedere l’autorizzazione non solo non ha più commesso alcun reato, ma nemmeno pagherà un centesimo di multa. Peccato che questa norma non sia arrivata in tempo a salvare le otto orripilanti torri del villaggio Coppola (Caserta), "la città degli abusi", appena demolite dopo decenni di battaglia civile, come ha raccontato Francesco Erbani nel suo L’Italia maltrattata: sembra fatta a misura per casi come quello.

Con questo emendamento, la possibilità di sanare piccoli abusi paesaggisticamente irrilevanti si trasforma in una generale depenalizzazione degli illeciti contro il paesaggio di qualsiasi forma e dimensione. Il paesaggio del Bel Paese diventa terra di nessuno, regalata agli abusivi, dei quali non c’è dubbio che, con una norma come questa, vincerà il peggiore, cioè chi ha meno scrupoli, il più violento nel distruggere il paesaggio per proprio tornaconto. Inutile e ingenuo sarebbe sperare che la valutazione di compatibilità delle opere abusive, delegata ai Comuni, sia un argine sufficiente: complicatezza delle procedure e le ovvie pressioni locali inducono al più grande pessimismo.

Infine, un’aggravante ulteriore: questo art. 32 della legge sull’ambiente interviene a modifica dell’art. 163 del testo unico sui beni culturali e ambientali (490/1999), e ciò a meno di un mese da quando il Consiglio dei ministri ha approvato il testo del Codice Urbani, che certo non contiene nulla di remotamente simile a una norma tanto incivile e devastante. Chiediamoci per un momento: cui prodest? L’art. 163 del testo unico ha lo scopo di scoraggiare, con multe e con sanzioni penali, le edificazioni abusive nelle aree vincolate: la nuova legge, se approvata, è destinata al contrario a sancire e incoraggiare l’abusivismo, senza nemmeno la scusa (sbandierata ai tempi del condono) di "far cassa", visto che in questo caso anche le sanzioni pecuniarie sfumano nel nulla. La conclusione è inevitabile: la nuova norma, che per lo Stato non comporta alcun vantaggio, nemmeno quello (assai dubbio) di raggranellare un po’ di soldi, è concepita e fatta nell’esclusivo interesse degli abusivi come quelli del villaggio Coppola, cioè di cittadini che si sono distinti per aver violato la legge, e che verranno in tal modo premiati.

Con questo emendamento, dunque, la legge sull’ambiente non solo calpesta tutte le norme vigenti, non solo delegittima preventivamente il codice Urbani, ma fa impallidire persino le recentissime norme sul condono edilizio, che prevedono sì la depenalizzazione degli illeciti contro il paesaggio, ma subordinando la concessione del condono a una valutazione favorevole di compatibilità espressa dalle Soprintendenze. Nel giro di poche settimane anche quella legge, che pure aveva destato le più gravi (e giuste) preoccupazioni dell’opinione pubblica, dev’esser parsa troppo soft agli estremisti dell’assalto all’ambiente. L’arrembaggio continua, senza regole e senza remore. Gli 11 ministri che hanno firmato il disegno di legge originario sono tutti d’accordo con questo emendamento? E gli altri ministri? E il presidente del Consiglio? E i senatori della Repubblica (maggioranza e opposizioni), alla cui responsabilità è ora affidata la prossima mossa? Dovere dei cittadini in questo triste frangente è ricordare al governo e al Senato l’articolo 9 della nostra Costituzione, secondo il quale "La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". Lo rileggano, se l’hanno dimenticato, e fermino, finché siamo in tempo, questa norma scellerata.

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