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Francesco Erbani
Così cambia il futuro delle città
6 Giugno 2006
Articoli del 2004
Su la Repubblica dell'8 aprile 2004, introduduce due interviste a L. Mazza e a E. Salzano, pro e contra la nuova legge urbanistica della Casa delle libertà

Una ventata neoliberista, anzi una burrasca, si abbatte sull´urbanistica italiana. Sta per giungere in porto la riforma della legge che dal 1942 regola il governo del territorio. Ed è una riforma, patrocinata dalla maggioranza di centrodestra, che spazza via alcuni dei principi cruciali della pianificazione, di ciò che regola, cioè, la trasformazione di un suolo: dove si costruisce, dove no, dove vanno fatte le strade, i ponti, i binari, dove c´è verde da tutelare, paesaggio da rispettare, dove c´è agricoltura da salvaguardare.

In primo luogo viene incrinato lo stesso principio della pianificazione, quello per cui in una città gli interventi devono essere coordinati l´uno con l´altro e rispondere a una visione d´insieme. In secondo luogo viene abbattuto il primato dell´autorità pubblica, sostituita da una serie di "atti negoziali" in cui la stessa autorità pubblica (il Comune, per esempio) è solo uno dei protagonisti di una trattativa (l´altro o gli altri sono i privati). In terzo si affida alla discrezione delle Regioni definire quali luoghi vanno pianificati e quali no.

La riforma, che nel mese di aprile viene discussa in Commissione per giungere in aula prima dell´estate, ha un padre che ha già sperimentato queste soluzioni. Si chiama Maurizio Lupi, è un deputato di Forza Italia. «Questa è una legge che fissa principi», spiega Lupi, «seguendo il nuovo dettato costituzionale che affida allo Stato poteri di indirizzo e alle Regioni facoltà legislativa». Non è vero, assicura, che tutta la pianificazione passa alla contrattazione: essa infatti si dividerebbe in due fasi, una di tipo più strutturale, che resta affidata all´ente pubblico, e un´altra di tipo attuativo, che procede invece per via negoziale.

Prima di arrivare a Montecitorio, Lupi è stato assessore all´urbanistica del Comune di Milano, dove questa filosofia della deregulation si è inverata in un documento datato maggio 2000 ed elaborato da Luigi Mazza ( che qui sotto intervistiamo), docente di urbanistica al Politecnico, professionista molto stimato e noto per le sue simpatie diessine. A Milano si è bandito il piano regolatore sostituito da un documento di indirizzi in cui sono fissati una serie di obiettivi di massima anche questi - si legge nel documento - soggetti a modifica. Per il resto tutto il futuro della città è affidato alla contrattazione fra l´amministrazione comunale e i privati (proprietari di aree, di industrie dismesse, di immobili, oppure grandi investitori). Chi vuole può presentare un progetto. Una commissione comunale lo valuta e, se lo ritiene apprezzabile e in linea con gli indirizzi fissati, lo approva. Partito di gran carriera, il sistema milanese si è però via via inaridito: da un centinaio di progetti si è scesi, negli ultimi mesi, a poco meno di una decina.

La soluzione milanese si è comunque diffusa in molte altre città, dove il vecchio piano regolatore non è stato formalmente soppiantato, ma lo si è nei fatti svuotato procedendo per progetti riferiti a singole trasformazioni, spesso in contrasto con il piano. Il modello della giunta Albertini (che raccoglieva una serie di pratiche e di leggi proliferate dagli anni Ottanta in poi) ha trovato orecchie sensibili presso amministrazioni di centrodestra, ma anche di centrosinistra (ultima in ordine di tempo la giunta di Salerno, che ha accantonato il piano redatto da Oriol Bohigas, che pure era ispirato alla dottrina della deregulation più spinta).

La legge divide gli urbanisti, incassando l´obiezione di molti ( vedi qui sotto l´intervista a Edoardo Salzano, per molti anni professore a Venezia), ma anche una tiepida adesione dai vertici dell´Inu, l´Istituto nazionale di urbanistica. Contrarie, invece, alcune associazioni ambientaliste, come Italia Nostra.

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