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Paolo Cacciari
Noi retrogradi ed egoisti profanatori del mercato
23 Maggio 2006
Articoli del 2005
Una riflessione sull’evento-simbolo della protesta in Val di Susa. da Liberazione del 7 dicembre 2005

Difficile trattenere la rabbia. Ma forse il modo più coerente per sostenere la straordinaria popolazione della Valle Susa è non farsi spezzare il filo del ragionamento, riuscire ad essere più tenaci dei manganelli; non smettere di argomentare, avere fede nel convincimento.

E se la violenza repressiva del Governo delle destre lesiona i corpi, spezza gli arti, produce dolore fisico (altra forza non conoscono), una sofferenza non meno amara produce l’incomprensione di tanta parte dei rappresentati del centrosinistra, che propugnano una urbanistica e un ambientalismo contrattato, una sorta di compromesso tra le ragioni del vivere e quelle del mercato.

Chiamparino, Bresso, persino Ciampi… che pure sono persone studiate e intelligenti, non riescono a comprendere la novità dei conflitti territoriali di “nuova generazione”che stanno impegnando intere comunità di abitanti in vertenze territoriali di straordinaria radicalità.

Valle di Susa è l’ultimo e più drammatico, ma evidentemente non hanno prestato sufficiente attenzione ai premonitori Scanzano, Acerra, Civitavecchia, Marghera e molti altri che non hanno avuto nemmeno il sostegno delle cronache. Ciò perché non solo le destre, ma anche la cultura tradizionale della sinistra sono così stregate dall’idolatria della crescita, dello sviluppo, del progresso tecnologico, da dimenticare di porsi la più semplice delle domande: "Perchè lo si fa, a quale scopo, a favore di cosa, a discapito di chi altri?". Siamo in un mondo - diceva Rossana Rossanda in Appunti di fine secolo - in cui la febbre del fare strumentale soffoca l’essere.

Insomma, abbiamo perso il senso, il significato, la ragione finale del nostro agire produttivo. Siamo immersi in un mondo che dà per scontato che il bene coincida con la quantità di denari che si riescono ad investire, con la quantità di metricubi che si riescono a costruire, con la quantità di merci che si riescono a produrre, con la velocità con cui le materie prime si trasformano in merci e le merci in rifiuti. Se metti in dubbio questi assiomi ti prendono per pazzo: "Come? Non vuoi che le merci corrano più veloci? che le fabbriche costruiscano più vagoni? che gli ingegneri progettino sistemi sempre più evoluti? Ma allora sei contro il progresso!".

La loro logica è totalizzante, impenetrabile, un “pensiero unico” ossessivamente ripetuto: l’occupazione, il salario, la ricchezza, il benessere… la felicità, in definitiva, dipendono dai capitali investiti e messi a valore in produzione. Il presidente della Patria declama: "Non possiamo essere tagliati fuori dall’Europa". Ma in realtà pensa che non si può rinunciare ad un investimento europeo così grande. Il professor Prodi titola: “Sviluppo o declino” e alle nostre orecchie suona come una minaccia.

Da professoressa di Ecologia ambientale Bresso, spiega: "I treni sono meglio dei Tir". In realtà pensa che la logistica sia il settore strategico per il futuro dell’economia. Come si fa a rifiutare questo ben di Dio? Retrogradi ed egoisti!

Premesso che la prospettiva di vivere in un “corridoio”, per quanto numerato “5” e dalle origini e destinazioni affascinati (Barcellona-Kiev), non può attrarre nessuna persona di buon senso; superato ciò che non si può superare, cioè l’irreversibilità di alcuni impatti ambientali; fingendo di non sentire le bugie francesi secondo cui i Tir viaggerebbero ad Alta velocità; messe da parte le incongruenze progettuali e le alternative mai comparate (Valutazione strategica del progetto) … rimane la questione di fondo: è proprio vero che far transitare più merci e più passeggeri lungo la Pianura padana comporti qualche beneficio ai suoi legittimi abitanti?

Oppure, più crudemente, ci viene chiesto di immolare un ulteriore pezzo della nostra terra e della nostra vita al dio della crescita, del progresso e della redditività dei capitali delle banche europee?

Vista dal satellite la Pianura padana ha l’aspetto di una megalopoli “senza forma e senza sentimento”, una non-città maleodorante, un fenomeno cancrenoso cui insiste permanentemente una nube brunastra di gas tossici, densa solo quanto quella stazionante su Bombay. Vista da dentro la città diffusa padana è un’“ampia poltiglia” di cemento e asfalto a servizio delle più casuali, bizzarre, inquinanti iniziative economiche dove è sempre più difficile muoversi, respirare, vivere.

E’ questo lo sviluppo “effettivamente esistente” che gli abitanti in carne e ossa conoscono. Ed è questo il “modello” che la Tav è destinata a servire e ad incrementare. Non c’è, quindi, nulla da stupirsi se qualche comunità locale non ancora disintegrata nelle sue relazioni umane dall’avanzare della città capitalistica diffusa abbia deciso di opporre un rifiuto (rifiuti analoghi li hanno posti gli svizzeri, gli austriaci, gli sloveni). Se ciò avviene non è per merito dell’ecomarxismo e nemmeno dell’anarcolocalismo. Avviene semplicemente perché la saturazione è un fenomeno naturale conosciuto sia in fisica (ancorché ignorato dagli economisti) che in sociologia (ancorché contrastato con i manganelli della polizia).

In altri termini, molte persone hanno preso coscienza dei propri luoghi e non credono più alla bugia della diffusione del benessere per trickle down effect. Per “sgocciolamento” o per “percolazione” sul territorio arrivano solo i reflui inquinati delle grandi opere.

7 dicembre 2005

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