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Howard W. French
Nelle città dell’esplosione economica la chiave della stabilità futura in Cina
23 Maggio 2006
Articoli del 2005
Nel far-west petrolifero cinese, esplosione economica ed emarginazione delle minoranze. International Herald Tribune, 21 dicembre 2005 (f.b.)

Titolo originale: Bursting boom town holds key to a stable China – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini



KORLA, CINA – L’aeroplano a elica pieno di uomini d’affari plana su questa un tempo sonnolenta città-oasi nell’estremo ovest della Cina, volando basso sulla spettacolare catena delle montagne Tian Shan, ora coperte di neve.

Nel minuscolo, primitivo aeroporto, dove si deve aspettare all’aperto nel freddo pungente per i bagagli, un cartellone sopra lo scassato terminal annuncia chiaramente che qualcosa è cambiato: dice “ Hotel Petrolio”, in cinese, inglese, e nella grafia araba usata dalla minoranza regionale etnica Uighur.

Di notte, le fiamme dai nuovi campi petroliferi accendono l’orizzonte lungo strade desolate che si diramano in ogni direzione da questa città sui margini di uno dei più vasti deserti del mondo, il Taklimakan.

Di giorno, i treni scaricano passeggeri: i nuovi arrivati migranti cinesi dalle affollate campagne dell’est, o nella stagione dei raccolti i lavoratori giornalieri a decine di migliaia, per raccogliere il cotone e la frutta che cresce nelle distese di proprietà dei grandi investitori della costa orientale.

Queste brulicanti “ insta-cities” sono piuttosto comuni sulla prospera costa orientale. Ma in molti modi quello che sta accadendo a Korla e nelle altre città simili nella Regione Autonoma dello Xinjiang Uighur è molto più impressionante. E a un livello che pochi sospettano la nell’est, il futuro del paese dipende dal successo qui.

La Cina ha una sete inesauribile di petrolio e gas, e lo Xinjiang li produce entrambi in quantità sempre maggiori. In più, grazie alla vicinanza all’Asia Centrale, la regione è diventata il percorso preferito degli oleodotti dal Kazakhstan e oltre.

Dato che questa è la regione o provincia più vasta della Cina in termini di superficie, abitata dalla principale minoranza di popolazione musulmana, quello che succede in Xinjiang è cruciale per la futura stabilità del paese. Come per il Tibet a sud, il controllo cinese sullo Xinjiang è piuttosto recente. Molti delle minoranze Uighur e Kazakh aspirano da lungo tempo all’indipendenza.

Pechino ha represso duramente il separatismo e ha vietato le scuole religiose in Xinjiang, per paura che potessero fomentare radicalismo e separatismo islamico. Ma ora, come accade altrove in Cina, il governo sembra scommettere sulla forte crescita economica come il modo migliore per consolidare il proprio controllo.

Le recenti scoperte petrolifere nella regione hanno certamente creato un’atmosfera di fiducia fra politici e mondo degli affari, in gran parte proveniente dall’est. La produzione di gas naturale è raddoppiata negli ultimi cinque anni, e quella di petrolio sta pure crescendo velocemente, in particolare nel vicino bacino del Tarim.

”Questo posto pompa e brilla” racconta Jim Scott, esuberante americano che trascorre la maggior parte dell’anno in Xinjiang, a vendere valvole ad alta pressione e altri macchinari per l’industria estrattiva alle compagnie cinesi. “Ve lo garantisco, qui c’è un boom in corso. Ci sono più trivellazioni e ricerche di quanto possiate immaginare”.

Oltre agli stranieri del petrolio, l’esplosione estrattiva sta attirando migliaia di imprenditori cinesi dalle città costiere, come Shanghai.

Alcuni arrivano già ricchi, pronti a investire. Altri, come Qian Bolun, 36 anni, che abita qui da 15, cercava fortuna a Korla quando era poco più di un villaggio polveroso.

Un tempo il livello di affari auspicato da Qian era passare da bevande per un quinto di yuan (15 cents), a quelle da uno yuan. Ora tratta esclusivamente prodotti come generatori industriali, trattori, attrezzature per l’estrazione.

La nuova economia del petrolio ha lasciato il segno dappertutto a Korla, dai grandi magazzini e centri commerciali allineati lungo l’ampia via del centro, fino al grande quartiere dei locali notturni immerso nella luce dei neon dopo il tramonto.

Ora la città ha 420.000 abitanti, e cresce di 20.000 all’anno.

Con tutti questi successi economici, i problemi con le minoranze a Korla non sono stati risolti, ma semplicemente accantonati. Lungo le strade del quartiere centrale, i negozi gestiti da Uighur sono una rarità, e gli stessi Uighur in giro sono pochi. Al di là del fiume che taglia la città in due, tra parte vecchia e nuova, la proporzione si inverte.

”Gli Uighur di solito non tengono una vetrina. Affittano uno spazio d’angolo” dice Hao Lin, 32 anni, commerciante di personal computer in un nuovo centro commerciale specializzato in informatica. “I loro clienti sono Uighur. Molto pochi di loro fanno affari con la compagnia petrolifera Tarim. Quelli li fanno gli Han”, ovvero membri, come lui, del principale gruppo etnico cinese.

In una bottega di barbiere al di là del fiume rispetto al centro città, tre uomini Uighur siedono davanti a una stufa a carbone.

”Ho studiato all’università di Urumqi” la capitale provinciale “per tre anni, ingegneria meccanica” dice il barbiere Uighur, Yasen Keyimu, 25anni, “ma non riesco a trovare un lavoro nell’industria petrolifera. Tanta formazione superiore, e non trovo lavoro”.

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