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Nicolai Ouroussoff
Ce la farà New Orleans, a sopravvivere alla propria rinascita?
23 Maggio 2006
Articoli del 2005
Contro l'idea di New Orleans ricostruita come "parco a tema" della città tradizionale. New York Times, 20 ottobre 2005 (f.b.)

Titolo originale: Can New Orleans survive its rebirth? – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

NEW ORLEANS – L’ottimismo scarseggia da queste parti. E mentre la gente inizia a frugare nelle distruzioni lasciate dall’urgano Katrina, si insinua la sensazione che il colpo finale debba ancora arrivare, e che cancellerà irrevocabilmente il passato della città.

Il primo segno premonitore è comparso quando il sindaco C. Ray Nagin ha annunciato che il modello per la rinascita sarebbe stato quello dell’insediamento pseudo-suburbano chiamato River Garden, nel Lower Garden District. La sola idea ha allarmato i conservazionisti, che temono il rifacimento dei quartieri storici in forma di lottizzazioni senza carattere servite da negozi big-box.

Più di recente, Nagin ha preso in considerazione la possibilità di sospendere le norme di tutela storica, per rendere New Orleans più invitante per i costruttori: evocando così la possibilità di devastazioni architettoniche e avidità senza limiti.

Ma non sono solo politici e costruttori ad avere colpe, qui. Per decenni la mainstream architettonica ha accettato il presupposto che le città possano esistere in un punto fisso del tempo storico. Ne risulta una versione fiabesca della storia, le cui conseguenze potrebbero essere particolarmente gravi per New Orleans, che era già sulla buona strada per diventare un’immagine da cartoline del proprio passato anche prima che l’uragano colpisse.

Ora, con la città nelle condizioni più vulnerabili, queste voci minacciano di sovrastare tutte le altre. Un dibattito sulla ricostruzione della Costa del Golfo tenuto di recente in Mississippi [vedi link su Eddyburg a pie’ di pagina n.d.T.] è stato dominato dai sostenitori del New Urbanism, che esprime una visione sentimentale e storicista del funzionamento delle città. Nel frattempo chi sostiene una lettura più complessa della storia urbana – ovvero che comprenda la realtà del XX e XXI secolo oltre al fascino di New Orleans del XIX – rischia di essere relegata ai margini.

Il destino che minaccia la città si può verificare a River Garden, il modello futuro preferito dal sindaco. Poche settimane dopo la tempesta, ho attraversato la zona insieme a Wayne Troyer, architetto del luogo che si oppone alla visione del sindaco. Per suggerire alcune caratteristiche da quartiere tradizionale di New Orleans, qui le case sono progettate secondo una miscela di stili. C’è una fila di edifici a schiera su Laurel Street, con le ringhiere di ferro battuto che riprendono molto liberamente quelle del Quartiere Francese. Poco lontano, edifici bifamiliari un po’ più grandi sono modellati sui bungalows tradizionali, con tetti puntuti, portici poco profondi e finestre con persiane decorate a graziose tonalità di rosa, giallo, e azzurro.

Si vedono tutti i segni caratteristici di una lottizzazione suburbana convenzionale. I fili del telefono sono invisibili, sepolti, e le case un po’ più distanti una dall’altra delle loro corrispondenti nella New Orleans vera, per lasciar spazio all’ingresso pavimentato per l’auto. La maggior distanza vorrebbe offrire privacy ma fa pensare invece a diffidenza; il percorso per l’auto tiene la gente lontana dalla strada, e coltiva il senso di isolamento. L’indizio più evidente del fatto che siamo entrati in un ambiente surreale, è la vista di carrelli della spesa vuoti in mezzo ai prati. Vengono dal vicino Wal-Mart, che ha da tempo rimpiazzato i negozi locali in tutti gli Stati Uniti. Al giorno d’oggi, gli ubiqui scatoloni e insegne bianco-blu di Wal-Mart rappresentano la nostra ritirata dentro a un mondo sigillato e omogeneizzato.

Quello che manca del tutto, da River Garden, sono naturalmente i dettagli sottili della vita quotidiana, che si costruiscono nei decenni, e che pure quel quartiere afferma di avere.

A parere di Troyer, l’evidenza più visibile è tutto quel che rimane: cinque solidi edifici di mattoni, unica traccia del quartiere di case popolari St. Thomas Hope, costruito nei primi anni ‘40. Le forme semplici, sormontate da tetti in tegole piatte, rappresentano esattamente il tipo di edilizia pubblica disprezzato dai funzionari pubblici ai nostri giorni.

Ma per Troyer e molti altri architetti della sua generazione, le semplici strutture a tre piani, attorno a una piccola core centrale, hanno dimensioni umane che le distinguono dai grossi interventi. Anche coi propri difetti, riflettono un patto sociale – la promessa di una casa decorosa a basso costo per ogni cittadino – infranto molto tempo fa, e che molto probabilmente non sarà certo ricomposto dalla gentrification urbana.

E River Garden non rappresenta ancora lo scenario peggiore. Guidando lungo il canale industriale qualche giorno dopo, sono arrivato a Abundance Square, un quartiere residenziale per famiglie a redditi misti. Le strade nude del quartiere incrostate di fango sono fiancheggiate da abitazioni che vorrebbero evocare l’immagine di una comunità tradizionale. Ma qui, il risultato è una formula genericamente suburbana: case col medesimo aspetto a scatola, regolarmente separate dagli accessi per le auto, prati vuoti e un sistema di vie privatizzate.

L’argomento a favore di quartieri del genere, naturalmente, sarebbe che New Orleans deve essere ricostruita in fretta, e la formula delle case standardizzate è meglio di niente. È l’argomento delle aspettative troppo modeste, che serve gli interessi dei costruttori e priva la città di tutta la sua vita.

Il presupposto è che l’unica alternativa sarebbe quella di non far niente. Ma in realtà, il modo in cui gli architetti pensano alle città si è evoluto per un certo periodo di tempo; la questione è se la città voglia attingere alle risorse intellettuali che ha a disposizione. Stephanie Bruno, per esempio, dirige il progetto Comeback del Preservation Resource Center. Negli ultimi dieci anni il centro ha restaurato case di architettura vernacolare locale del XIX secolo dette shotgun e bungalows creoli nei quartieri più poveri della città. L’intero programma, rara miscela di conservazione e prospettiva sociale, era parte di una strategia più ampia per far risorgere le zone più povere. Legando continuità storica e orgoglio di appartenenza locale, dimostra che la rivitalizzazione urbana non può essere ridotta a formule ottuse.

Appena a su della St. Claude Avenue, nella Ninth Ward,molte delle abitazioni restaurate appaiono relativamente intatte dalla strada, anche se sono fortemente danneggiate all’interno. Comunque, molte possono ancora essere salvate, dato che sono costruite in acero, un legno duro che di solito resta intatto anche dopo le inondazioni.

Sarà un lavoro difficile, individuare cosa possa essere restaurato. Richiederà il tipo di sostegno pubblico che è diventato una rarità, in un paese che tende a mettere sullo stesso piano interessi privati e benessere collettivo. Quello che la signora Bruno e altri temono di più, è che queste case siano semplicemente spazzate via con le ruspe, come espediente per far spazio a insediamenti di grossa scala come Abundance Square (dopotutto, perché costruire una casa o due quando si può spazzar via un intero quartiere, ricostruirlo, e ammassare profitti enormi?)

Anche se si salveranno molte delle umili case shotgun della signora Bruno, i paesaggi urbani del XX secolo molto probabilmente troveranno pochi difensori. Realizzata nel catino a basso livello, la zona di Mid City simboleggia l’abbraccio della modernità. La sua mescolanza di bungalows in stile California case tardo-vittoriane, ora seriamente danneggiate, ha più elementi in comune con gli sterminati paesaggi di Los Angeles che con le immagini romantiche delle radici europee della città. E come tale, probabilmente sarà ignorata dai custodi locali del passato architettonico.

Solo per ritenere, magari, che gli stili storici rigidamente compartimentati della città possano essere riproposti entro quartieri interamente ricostruiti, sostenendo così una versione del passato in forma di parco a tema.

Senza dubbio grandi parti di New Orleans dovranno essere ricostruite dalle fondamenta. Ma i migliori architetti al lavoro, oggi, probabilmente guarderanno per ispirazione al cavernoso Superdome come alle spirali della Cattedrale di St. Louis. Perché comprendono come le innovazioni della città nel XX secolo – dai bungalows ai canali alle freeways – sono parte integrale della sua identità, tanto quanto l’architettura vernacolare del XIX.

Questo ci lascia meglio attrezzati ad affrontare le questioni della New Orleans del XXI secolo. Passato e futuro devono imparare a vivere insieme.

Nota: il testo originale ripreso dal sito dello International Herald Tribune; l’approccio dei Nuovi Urbanisti citato implicitamente più volte, qui su Eddyburg nell’articolo ripreso da New Urban News (f.b.)

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