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Marcello Barbanera
Un ego smisurato a svantaggio del monumento
26 Aprile 2006
Beni culturali
Tra “W l’Architettura moderna ovunque e comunque” e “Non si tocchi una pietra del centro storico”, una posizione saggia. Da il manifesto del 25 aprile 2006

Nelle polemiche che hanno accompagnato il nuovo museo dell'Ara Pacis (la più scriteriata è quella del candidato a sindaco di Roma Gianni Alemanno, il quale vorrebbe spostare il nuovo edificio in periferia) ciò che rischia di restare nell'ombra è proprio l'altare decretato dal Senato di Roma nel 13 a.C. e inaugurato nel 9 in onore di Augusto. Finora l'attenzione è stata polarizzata dall'edificio di Richard Meier e dal suo impatto sulla piazza, ma poco ci si è chiesti se il museo abbia assolto la sua funzione primaria: cioè l'esposizione adeguata del monumento, in confronto alla precedente sistemazione. Siamo informati del fatto che la teca di Ballio Morpurgo era ormai inadeguata e quindi era necessario trovare una nuova soluzione per il monumento. Ci si chiede, una volta stabilito di rimuovere il vecchio edificio, perché mantenere l'altare nello stesso posto e non musealizzarlo altrove?

La decisione di ricomporre i frammenti dell'altare accanto al Mausoleo di Augusto era - e rimane - arbitraria, dato che essi furono ritrovati altrove, nelle fondazioni di un palazzo a fronte della chiesa di S. Lorenzo in Lucina. Tuttavia, decidendo di fare rimanere l'altare laddove era stata collocata nel 1938, sarebbe stato saggio prevedere un concorso architettonico - che fin da allora comprendesse tutta la piazza - invece di imporre il nome di Richard Meier. A ben guardare, dietro quella decisione sembra esserci un atto di provincialismo culturale che ha condotto a ritenere adeguato al compito un architetto all'apice della fama, dopo il completamento del gigantesco complesso espositivo del Getty Center. Se questo è stato il criterio, la committenza poteva investire anche altri, a partire da Frank Gehry, che avrebbe collocato una delle sue architettura decostruttiviste sulle rive del Tevere: in fondo meglio la provocazione che l'inadeguatezza. L'edificio di Meier non è sgradevole di per sé: il nitore delle pareti, i suoi angoli taglienti, la combinazione del travertino con il vetro sono il risultato di un disegno elegante e pulito, seppur con delle cadute di tono, come l'inserimento della parete in travertino scabro, sul lato del Lungotevere; sembra bugnato, ma il bugnato ha negli edifici una sua funzione visiva e strutturale, mentre qui sembra un vezzo, dunque stona. Ma le critiche maggiori riguardano il contesto e la funzionalità: la teca precedente era modesta e non invasiva, mentre l'edificio di Meier sembra una nave spaziale posatasi su una terra straniera, che fa violenza all'eleganza della Chiesa di San Rocco, frutto di un moderato intervento urbanistico di Valadier. Ma anche il dialogo con il resto della piazza, tutt'altro che ispirata alla moderazione, resta difficile da immaginare. All'interno la sensazione non muta: certo le vetrate sono ampie, e belle le vedute su entrambi i lati, tanto sui resti della tomba di Augusto quanto sul viale alberato del Lungotevere. Ma cosa ne ha guadagnato il monumento per cui questo ingombrante edificio è stato edificato? Francamente non molto.

Eliminate le pedane laterali, la processione del fregio superiore risulta meno visibile di un tempo e tutto l'altare appare come schiacciato sotto il peso di pesanti lacunari, collocato com'è al centro di una architettura che immiserisce l'oggetto esposto richiamando, piuttosto, l'attenzione su stesso. L'edificio non è ancora completo ma dubito che la fontana prevista cambierà di molto l'impatto urbanistico, né credo che tutte le facilities previste negli interni aiutino molto la fruizione del monumento. Ancora una volta - come succede nella maggior parte degli esempi di architettura museale - il contenitore prevale sul contenuto, e l'architetto dimentica che bisognerebbe partire dall'oggetto da esporre piuttosto che dal proprio ego. In definitiva, il problema del nuovo museo è un problema di contesto. A Tor Tre Teste, infatti, nella periferia est di Roma, Meier ha realizzato una bellissima chiesa, connotata da tre vele; l'edificio si inserisce in un luogo di non-architettura, dominato da una edilizia periferica priva di carattere, e contribuisce a riqualificarlo.

Piazza Augusto Imperatore è dotata di una stratificazione architettonica che avrebbe richiesto un intervento più rispettoso del suo polimorfism. Lasciando l'edificio di Meier mi sono girato più volte verso l'ingresso, cercando di comprendere che cosa mi ricordassero quelle superfici candide, quelle linee nette, quelle colonne (la citazione dozzinale, all'ingresso, dovrebbe richiamare lo gnomone dell'orologio augusteo), quel vetro del museo: e ciò che mi è venuto in mente è la razionalità dell'architettura di Le Corbusier, le ville californiane dipinte nei quadri di David Hockney, forse per tutto quel bianco, così estraneo ai colori di Roma.

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