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Maria Lluisa Marsal
La nuova legge urbanistica catalana: principi e regole
12 Gennaio 2006
Esperienze straniere
Il governo socialista della Catalogna ha approvato nel 2005 una nuova legge urbanistica, centrata sui principi di solidarietà e sostenibilità, che introduce nuove regole finalizzate a garantire un'adeguata offerta di abitazioni destinate ai gruppi più deboli (più del 40% del totale del patrimonio abitativo urbano) ed a governare la dispersione insediativa (m.c.g.).

Sintesi della legge urbanistica della Catalogna, approvata nel 2005, appositamente scritta per Eddyburg da Maria Lluisa Marsal, Departament d'Urbanisme i Ordenació del Territori, Escola Técnica Superior d'Arquitectura del Vallès, Universitat Politécnica de Catalunya

Uno dei primi impegni del nuovo governo socialista della Catalogna è consistito nel promuovere la revisione della legge urbanistica 2/2002 approvata dal precedente governo di centro. Si tratta della “Llei 10/2004, de 24 de desembre de modificaciò de la Llei 2/2002, del 14 de marc, d’urbanisme, per el foment de l’habitatge assequible, de la sostenibilitat territorial i de l’autonomia local”: a partire dalle revisioni ed innovazioni introdotte da questa legge, è stato recentemente approvato il Text refòs de la Llei d’Urbanisme, decreto legislativo 1/2005 del 26 luglio.

Occorrerà ricorrere ad altri testi di ambito e competenza statale per completare la legislazione in materia urbanistica in Catalogna (legge 6/1998 sulle valutazioni, vari regolamenti…). La redazione di leggi sulla materia continua a buon ritmo, con la preparazione della nuova Llei d’Habitatge, nel contesto del Decret del Pla pel Dret a l’Habitatge (2004-2007).

Le modifiche proposte dalla L.10/2004, rispetto alla precedente L. 2/2002, perseguono l’introduzione di alcuni miglioramenti che si concentrano su due obiettivi molto chiari: il suo carattere sociale e territoriale, insieme ad una grande preoccupazione dedicata a chiarire e riformare concetti che non erano sufficientemente chiari nella legislazione anteriore.

Una prima definizione migliorata è quella che appare nello stesso titolo della legge, in materia di sostenibilità. Il prologo della legge definisce il territorio catalano come una realtà ambientalmente sostenibile, funzionalmente efficiente, economicamente competitiva e socialmente coesa.

Ben diversa e fortemente contradditoria era la definizione contenuta nel testo di legge precedente (L. 2/2002), che recitava in ordine sparso: “...questa legge si pronuncia chiaramente a favore di uno sviluppo urbanistico sostenibile, sulla base dell’ utilizzo razionale del territorio, per rendere compatibili la crescita urbana e il dinamismo economico necessari con la coesione sociale, il rispetto dell’ambiente e la qualità di vita delle generazioni presenti e future.”

Allo stesso modo, continuando ad esaminare la premessa della L. 2/2002, si esprime la preoccupazione per fenomeni non desiderati, però includendo anche il loro contrario. Si individua la dispersione dell’urbanizzazione, la specializzazione funzionale dello spazio e il rischio della segregazione indotta dal mercato immobiliare, (…) rispondendo con la difesa della compattezza degli insediamenti, la diversificazione funzionale e l’integrazione sociale(…). Ma queste buone intenzioni non trovano una traduzione coerente negli articolati della legge.

Per concludere questa introduzione, centrata sull’analisi degli obiettivi che si perseguono nelle due leggi, faremo riferimento a un aspetto che non serve né chiarire né migliorare, ma semplicemente sradicare: la speculazione.

La L. 2/2002, credeva erroneamente che la disponibilità di più suolo avrebbe ovviato alle distorsioni del mercato e alla speculazione, “(…) questa legge modifica, attualizza e semplifica le procedure con l’obiettivo di imprimere celerità ed efficacia al processo decisionale così da disporre in ogni momento di suolo debitamente urbanizzato, come metodo per lottare contro le distorsioni del mercato e contro la speculazione, con la convinzione che non è soltanto il suolo urbanizzabile, bensì il suolo urbanizzabile necessario e, soprattutto, quello urbanizzato in anticipo, ad evitare situazioni di tensione nella domanda e ripercussioni conseguenti sul prezzo finale dei prodotti immobiliari.

La revisione introdotta con la L. 10/2004è molto piùambiziosa, poiché vuole promuovere nuove soluzioni che rafforzino i meccanismi esistenti per risolvere le problematiche relative al mercato delle abitazioni (si veda il punto successivo),

Possiamo a questo proposito distinguere le innovazioni introdotte dalla nuova legge e ordinarle secondo i due principali obiettivi che persegue, in ambito sociale e territoriale.

Con lo scopo di promuovere l’accesso della popolazione alla casa, un primo e nuovo strumento riguarda la realizzazione di un parco di abitazioni pubbliche(viviendas dotacionales publicas) per l’accoglienza temporanea di categorie di persone con bisogno di assistenza o emancipazione, all’interno di politiche sociali previamente definite. L’introduzione dell’abitazione come servizio pubblico è un concetto realmente corretto che però perde forza quando, dalla lettura dell’articolato di legge, si deduce che le risorse per realizzare questa offerta abitativa andranno detratte da quelle disponibili per i servizi pubblici locali, in misura pari al 5% al massimo. La percentuale che si propone non è molto rilevante (presuppone un totale di 1000 m2 in un nuovo settore di sviluppo di 10 ha., con una densità di 100 abitazioni/ha ); inoltre, è basata su un trasferimento di risorse dalla dotazione di servizi pubblici all’abitazione pubblica, con pregiudizio in uno dei due ambiti.

Sempre in materia di pianificazione residenziale, si introducono i Piani direttori urbanistici per la programmazione di politiche sopracomunali relative all’uso del suolo e alla casa, per la elaborazione dei quali si promuove la cooperazione intercomunale.

La pianificazione territoriale delle abitazioni è importante quanto molti altri aspetti, ragion per cui reclameremmo la stessa territorialità per questi ultimi, al fine di scaricare di responsabilità la pianificazione comunale, erroneamente titolare di queste funzioni.

Allo scopo di garantire la coerenza fra i Piani direttorie i Piani comunali, questi ultimi dovranno incorporare un nuovo documento, la memoria social, dedicato a garantire la produzione di abitazioni pubbliche e di altri tipi di edilizia sociale di competenza della legislazione di settore.

Una novità che rappresenta un progresso significativo rispetto alla L. 2/2002, è l’incorporazione di tutte le cessioni di titolarità pubblica con trasferimento al patrimonio municipale di suoli e abitazioni; patrimonio che, separato da altri beni municipali, sarà destinato alla attuazione delle politiche abitative, garantendo delle quote minime anche nei piccoli comuni.

Queste cessioni ai comuni dovranno corrispondere, nella maggior parte dei casi, al 10% delle opportunità edificatorie concesse ai privati nei settori di nuova urbanizzazione.

La nuova legge continua dunque a perseguire l’obiettivo di rendere prioritario lo sviluppo di nuovo suolo urbanizzabile, e pertanto gli interventi per la realizzazione di edilizia sociale si localizzeranno anche nei nuovi settori. Con l’introduzione della medesima regola di cessione di un 10% vigente nella città costruita, ma non consolidata, si otterrà una certa omogeneizzazione della rendita nei due ambiti urbani (è opportuno sottolineare che questa ultima ipotesi di cessione sarà valida nel caso di settori di riqualificazione urbana o comunque in aree di intervento che generino plusvalore).

Alla luce di quanto detto, è facile vedere che la grande questione aperta è la città costruita e consolidata, dove la mobilizzazione dello stock costruito è realmente un problema che si traduce in segregazione a causa della modesta diversificazione delle attività economiche e dei gruppi sociali. Il meccanismo possibile, probabilmente l’unico, persegue un’osmosi di usi fra i settori lucrativi e quelli non lucrativi.

Si amplia l’ipotesi di realizzazione di abitazioni pubbliche nelle cosiddette zone(gli ambiti affidati alla promozione da parte degli operatori privati). Se con la legislazione anteriore (L2/2002)la riserva obbligatoria di suolo era corrispondente al 20% del totale della superficieresidenziale realizzabile, ora vi si aggiunge un 10% addizionale nei comuni con più di 10.000 abitanti o nelle capitali di comarca. È opportuno sottolineare che la costruzione di queste abitazioni da parte del privato sarà condizionata da un calendario stabilito dal piano; il mancato rispetto dei tempi potrà determinare l’espropriazione dei terreni.

Il piano regolatore, generale o particolareggiato, potrà stabilire le riserve di abitazioni senza la necessità di approvare un nuovo piano o un nuovo programma municipale, prevedendo allo stesso tempo una distribuzione omogenea di queste abitazioni con lo scopo di evitarne la concentrazione spaziale.

Con la riserva di abitazioni pubbliche su suolo privato, 30% in molti casi, sommata a quella realizzata su suolo pubblico che va ad aggiungersi al patrimonio municipale di suolo e abitazioni, 10% in più, e all’opportunità di realizzazione delle viviendas dotacionales publicas (di cui sopra) si equipareranno praticamente gli stock di edilizia residenziale pubblica e privata. Si tratta di valori uguali o inferiori a quelli già realizzati nel resto delle comunità autonome (ad esempio: Madrid, 50% di abitazioni pubbliche, Paesi Baschi, 60%).

Dalle innovazioni introdotte dalla nuova legge urbanistica, che saranno ulteriormente approfondite dalla futura Llei d’Habitatge, si evidenzia un deciso impegno a favore dell’accesso all’abitazione per i gruppi più deboli, al fine di ridurre le distorsioni del mercato ed arginare la speculazione.

Il secondo cavallo di battaglia della legge è la sostenibilità territoriale, la tutela del suolo non urbanizzabile, la protezione del paesaggio e l’uso razionale delle risorse territoriali.

Una volta individuato e riconosciuto l’indesiderabile fenomeno della dispersione insediativa, la legge si propone di contrastare l’occupazione indiscriminata del territorio, con il divieto di urbanizzare terreni con pendenza superiore al 20% (sempre, e quando non si renda assolutamente impossibile la crescita di nuclei esistenti), o di classificare come urbanizzabili terreni che abbiano perduto i loro valori forestali per l’effetto di incendi.

Sulla stessa linea, e finché non si introdurrà la direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alla valutazione di determinati piani e programmi di tutela ambientale, si prescrive che i piani debbano incorporare la valutazione di impatto ambientale.

Infine, si deve sottolineare la preoccupazione dedicata a rendere più agile la gestione urbanistica in tutti gli ambiti, da quello comunale a quello privato. Si aumentano le competenze dei comuni, autorizzandoli ad approvare piani e programmi municipali. In questo modo si velocizza l’attività urbanistica dei comuni.

Per quanto riguarda la pianificazione attuativa,si elimina una delle regole anteriori che obbligavano a mantenere una quota, eguale o superiore al 45% di suolo privato nei nuovi settori di sviluppo. A questa disposizione si aggiunge un ampliamento della legislazione anteriore: la possibilità di delimitare ambiti e settori discontinui non soltanto nelle aree di proprietà pubblica, ma anche privata. In questo modo si ritiene di poter progettare interventi migliori che aiutino a compensare gli squilibri nella città esistente, consentendo al comune la realizzazione di una propria strategia di intervento.

Allegati:

- il testo in lingua originale

- il testo della legge

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