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Dean E. Murphy
Il sogno americano, un oggetto smarrito
12 Dicembre 2005
Articoli del 2004
Sviluppo demografico caotico a Las Vegas, in un clima e con miserie da corsa all'oro. Storie della maggioranza di poveri e delusi, mentre si asfaltano chilometri di ottimo deserto. dal New York Times/La Repubblica del 9 giugno 2004 (fb)

LAS VEGAS - Nella parte sud del Las Vegas Boulevard, ben oltre lo skyline della città disegnato dai casinò, c’è un hotel a tre piani, raramente frequentato da turisti. Il parcheggio è disseminato di camion di traslochi e roulotte. Davanti al gabbiotto c’è la fermata di uno scuolabus. Un cartello sul prato promette sconti per soggiorni di una settimana o più. Le camere disadorne (coperte e lenzuola si pagano a parte) vedono regolarmente messe alla prova le promesse di un nuovo inizio offerte da questa città nel deserto.

Questo frequentatissimo hotel e gli altri appartenenti alla catena Budget Suites of America sono l’ equivalente in calcestruzzo delle carrozze disposte in cerchio del vecchio West : una comunità di sognatori; pionieri e individui in lotta per sopravvivere, in breve sosta lungo il cammino verso qualcosa di migliore.

“Quando siamo arrivati ho dormito avvolta nelle camicie di mio papà”, racconta Jamie Rose Galloway, trapiantata qui dalla California, che ha recentemente festeggiato con la famiglia il suo diciassettesimo compleanno in un alloggio di due stanze sul retro. È avvezza alle difficoltà: “Siamo stati anche peggio. Un tempo eravamo senza tetto e vivevamo nel camion di mio padre”.

Molti al loro arrivo a Las Vegas utilizzano i Budget Suites in attesa di trovarsi un alloggio in questa insidiosa città, occhio di un ciclone demografico che negli ultimi trent’ anni ha trasformato il deserto americano da frontiera dimenticata a terra del desiderio. La metamorfosi non ha mutato solo l’arido paesaggio (Las Vegas e i suoi sobborghi nella Contea di Clark si estendono oggi su seicento chilometri quadrati di deserto, contro i 100 del 1970); ha comportato anche un costo sociale che molti nuovi arrivati giudicano insostenibile.

L’ufficio delle imposte stima, sulla base delle dichiarazioni dei redditi, che lo scorso anno circa 55.000 persone hanno rinunciato al sogno di vivere nel sud del Nevada trasferendosi altrove. Uno studio condotto nel 2003 dal Fordham Institute for Innovation in Social Policy ha definito il Nevada e i confinanti Arizona e New Mexico stati oggetto di “recessione sociale” perché afflitti da problemi cronici come criminalità, povertà infantile, suicidi tra adolescenti e anziani, uso di droghe e alte percentuali di abbandono dell’istruzione obbligatoria.

“Questa città sta crescendo troppo rapidamente”, commenta Sarah S., barista 25enne del Missouri, in sosta al Budget Suites diretta a Dallas insieme al marito e alla figlioletta di sei anni, dopo due anni trascorsi a Las Vegas.

“Non do il nostro cognome a nessuno L’ho imparato vivendo qui”.

Aspettando la ricchezza

Al Budget Suites non ti chiedono di esibire contratti né carte di credito.

Se questo significa poco per gli ospiti dotati di risorse finanziarie, spalanca però le porte a legioni di americani che non hanno accesso al credito. Arrivano con l’unico desiderio di trovare un buon lavoro e una casa, incuranti degli ostacoli incontrati sulla strada che li ha portati qui.

“La gente una volta era solo di passaggio qui, adesso sono sempre più quelli che restano”, spiega Hal K. Rothman, docente di storia all’Università del Nevada di Las Vegas, autore di numerosi saggi sulla città. “Chi viene qui in maggioranza ha in programma di andarsene, la considera una sosta. Ma che cosa succede quando questa città ti ama, e ti mette davanti un furgone portavalori lasciandoti prendere tutto ciò che vuoi”?

La madre di Jamie Rose, Lori Galloway, quel furgone lo sta ancora aspettando. Lei è l’eterna ottimista della famiglia, quella che vede per loro un futuro rose e fiori, benché abbia collezionato una disavventura dopo l’altra.

In un momento particolarmente duro della loro vita in California si infilava sotto la camicetta salsicce e formaggio, quando andava all’ alimentari a comprare il pane. “Che cosa avrebbe fatto lei se i suoi figli avessero avuto fame?”, chiede senza mezzi termini. “Potevo permettermi solo il pane”.

Le cose qui vanno già meglio. Lori riesce a mettere un pasto in tavola facendo il giro delle mense gestite dalle chiese e i frequentando i buffet a basso costo dei casinò. Ha recuperato le semplici stoviglie bianche rovistando nelle discariche, i suoi figli lo considerano un gioco. “Credo che i miei figli avranno una vita migliore”, dice. “A Jamie Rose piace cucinare e qui c’è un’ottima scuola per cuochi”.

Lori, 44 anni, si lascia andare alle recriminazioni solo sul fatto che continua ad ingrassare per via della medicina che prende per il cuore, e che il governo non sembra granché interessato ad aiutare le famiglie come la sua, anche se ogni due settimane la donna riscuote un assegno di invalidità. Ma si frena subito.

“Certo mi piacerebbe un alloggio un po’ più grande”, dice e aggiunge poi in tono più allegro: “Siamo più di una famiglia qui”.

Denny Cowie, che ha preso una stanza nell’edificio dietro i Galloways dopo un divorzio, guarda con cinismo alle centinaia di migranti sognatori che ha incontrato. Dice che neanche a lui è mai capitato di trovare il metaforico furgone portavalori dispensatore di facili al ricchezze.

Molti sogni qui si infrangono, spiega Cowie tra un sorso di birra e l’altro fuori dalla sua stanza al secondo piano, e i suoi vicini inevitabilmente vengono a elemosinare -alcool, sigarette, cibo e denaro. La spirale negativa può diventare pericolosa, spiega.

“Non c’è niente di peggio che tornare a casa dal lavoro e vedere una macchina della polizia nel parcheggio che preleva qualcuno”, racconta Cowie, lui stesso immigrato qui dall’Iowa.

Sedotti e abbandonati

Ma Cowie, 63 anni, nasconde un lato tenero. Nell’angolo cottura della sua stanza ha un armadietto colmo di scatole di pasta e di salsa di pomodoro che distribuisce agli altri ospiti dell’hotel quando sono a corto di cibo.

“Si può finire sbranati in questa città”, commenta Cowie, impiegato in una tipografia che stampa volantini pubblicitari per l’industria pornografica, distribuiti agli angoli delle strade.

“Chi si ferma qui magari è in cerca di casa o di un appartamento oppure in fuga da qualcosa. Chissà, non c’è modo di scoprirlo”. Questa è Las Vegas, dopo tutto, un luogo di seduzione e disillusione che premia i residenti al pari dei visitatori, coronando i sogni di alcuni e rifiutando ostinatamente di mantenere le sue promesse nei confronti di un infinità di altri.

Jeff Hardcastle, demografo dello stato del Nevada, afferma, basandosi sulle stime di alcuni studi, che dei nuovi arrivati a Las Vegas e nella contea di Clark, uno su due riparte. “Gente che viene, gente che va”, commenta. Non importa. Sono comunque di più quelli che vengono, da tutti gli angoli degli Stati Uniti, in maggioranza con l’unico scopo di comprare casa.

“In questa città c’è da far soldi”, spiega Rita Pina, 46 anni, di Oakland, California, che si è stabilita in un Budget Suites vicino all’aeroporto di Las Vegas nord con il marito Israel. “L’idea è di trovarci tutti e due un lavoro e, nel giro di due anni, comprarci una casa”.

Le legioni di speranzosi coloni sono talmente numerose che gli amministratori hanno difficoltà a tenere il conto. Una previsione ufficiale elaborata dal demografo dello statoJeff Hardcastle vuole la popolazione del Nevada in crescita di 1,3 milioni di unità nell’arco dei prossimi vent’anni, per arrivare a 3,6 milioni di abitanti.

I nuovi residenti sono solo gli ultimi di una processione umana che si snoda da decenni, molto più estesa di Las Vegas. Più di sette milioni di persone si sono trasferite in quattro stati dell’arido sud ovest dal 1970, trasformando dune sabbiose in cemento urbano da Tucson a St. George, Utah.

Una casa ogni 20 minuti

Las Vegas e i suoi sobborghi sono diventati una destinazione privilegiata a causa dell’abbondanza di lavoro legata all’industria del gioco d’azzardo e ad una riserva in espansione di alloggi a basso costo. I casinò dello Stato hanno ricavato dal gioco d’azzardo 930 miliardi nel mese di marzo, battendo il record stabilito nel gennaio 2001.

Intanto ogni venti minuti qui viene costruita una nuova casa ma non basta ancora a tenere il passo con il convoglio di camion dei traslochi che entra in città. Ma una generazione di immigrazione ha infranto molte illusioni circa i costi del patto col deserto. La gente trova ancora case e posti di lavoro qui ma anche aria inquinata, densa di polvere di cantiere, una rete idrica sovraccarica, servizi sanitari carenti, traffico impossibile, un tasso di suicidi tra gli adolescenti e di abuso di stupefacenti in rapida crescita, e una cultura di gioco d’ azzardo e sesso ventiquattrore su ventiquattro che dalla Strip filtra all’esterno, considerata alla fine intollerabile da molti nuovi arrivati con figli.

Niente illusioni qui

“Nessun genitore di buon senso che desidera un futuro per i suoi figli vuole restare qui”, dice Ann Sheets, 31 anni, madre single di tre bambine in procinto di tornare nel Michigan, dove è cresciuta.

Un’analisi economica realizzata per il governatore del Nevada nel 2002 , mostrava che i nuovi arrivati tendenzialmente versavano in condizioni economiche peggiori rispetto agli altri cittadini dello stato. Lo studio evidenziava che il reddito lordo dei nuovi arrivati era del 30% inferiore a quello degli altri residenti.

Secondo le stime del Centro per la ricerca economica e imprenditoriale dell’Università del Nevada di Las Vegas, più di un quarto dei nuovi ingressi nella Contea di Clark dispone di un reddito familiare inferiore ai 25.000 dollari l’anno.

Intanto i prezzi delle case si sono impennati, con aumenti del 20% sulle nuove costruzioni e del 30% su quelle già esistenti nei primi tre mesi di quest’anno, rispetto ai dati relativi allo stesso periodo nel 2003.

“Non ho idea del perché la gente continui a venire”, commenta Ann Sheets. “Io ho tentato per tre anni, facendo anche due lavori insieme. Non c’è spazio per i sogni qui. Vedo la gente al lavoro con addosso gli stessi vestiti del giorno prima”.

Ann Sheets occupa una stanza al terzo piano del Budget Suites fino a tutto luglio, quando, finita la scuola, potrà andarsene per sempre. È stata lei a mandare la seconda delle sue figlie, Amber, 11 anni, a portare ai Galloway due coperte. Non li conosceva ma aveva sentito parlare di loro e delle speranze che riponevano in questa città, speranze che lei ormai aveva abbandonato.

“Sa qual è il mio sogno?”, dice la signora Galloway nella stanza occupata dalla sua famiglia al Budget Suites. “Vorrei poter andare al supermercato e non dover rinunciare a nessun acquisto”.

“Io vorrei una stanza e un letto tutti per me”, si inserisce Jamie Rose.

“Una casa con un giardino intorno da curare”, aggiunge la madre.

Poco dopo la signora Galloway, rassettata la scolorita maglietta di cotone senza maniche, chiede un passaggio in macchina fino ad una chiesa nei pressi dell’aeroporto che quel giorno distribuisce zuppa, carne in scatola e riso. Continua a parlare di quanto sia grata di poter iniziare una nuova vita, ma per tutto il viaggio non fa che piangere.

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