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Vezio De Lucia
Salerno: I suoi padri non vogliono più il PRG di Bohigas
11 Dicembre 2005
Articoli del 2004
L'intervento di Vezio De Lucia all’assemblea che si è tenuta a Salerno il 9 gennaio 2004,. In testa una mia premessa, e in calce, il collegamento all'appello, dal medesimo sito.

“De Luca lo volle, De Luca non lo vuole più”: così si può sintetizzare lo scontro in atto a Salerno. Il sindaco De Luca, diessino, uno dei personaggi più in vista e più impegnati nella politica urbana, aveva chiamato Oriol Bohigas a fare il PRG. Il piano, molto discusso, era stato varato e ampiamente discusso. Improvvisamente, l’ex sindaco (ma ancora dominus incontrastato dell’establishment locale) De Luca, e con lui il nuovo sindaco De Biase, avevano deciso che il piano, sebbene costruito sulla base di “progetti”, avrebbe comunque impedito di decidere caso per caso su questo o quest’altro intervento. L’assessore all’urbanistica Fausto Martino, aveva dato le dimissioni per protesta. Alla sua si è aggiunta la protesta di numerosissimi esponenti del mondo della politica e della cultura. Sostenitori e critici del “piano Bohigas” si sono trovati concordi nel difendere la pianificazione come metodo non rinunciabile per governare uno sviluppo democratico della città: le procedure del PRG consentono comunque di correggerne i difetti, e di proseguire la discussione di merito su un terreno costruttivo e trasparente.

Inserisco di seguito un intervento di Vezio De Lucia all’affollata assemblea che si è tenuta a Salerno il 9 gennaio 2004, tratto dal sito della Sinistra ecologista Campania. In calce, il collegamento all'appello, dal medesimo sito.

1. Mi sembra opportuno cominciare inquadrando la crisi repentina dell’esperienza salernitana – esperienza ripetutamente presentata come molto innovativa – nel panorama dell’urbanistica nazionale. In questo periodo si fronteggiano in Italia tre linee di tendenza.

1.1 La prima è quella della deregulation esplicitamente praticata. Capofila è il comune di Milano. A Milano non c’è più il Prg come lo intendiamo noi. E’ diventato una specie di catasto dove si registrano gli accordi fra il comune e la proprietà fondiaria. Il comportamento di Milano non è illegale. Coerente con gli istituti dell’urbanistica contrattata, che utilizzano l’accordo di programma come procedura di deroga agli strumenti di pianificazione. Programma di recupero, di riqualificazione, contratto d’area, patto territoriale, Prusst, sportello unico, eccetera. Con l’aggravante che, spesso, gli atti della deregulation sono approvati al riparo dalle osservazioni dei cittadini (garanzia prevista fin dalla legge del 1942) e spesso non sono nemmeno discussi nei consigli comunali, cui spetta solo la ratifica della firma del sindaco.

La linea milanese non è a favore del mercato, né della concorrenza, né della privatizzazione. Interlocutori dell’amministrazione non sono le imprese ma la proprietà fondiaria. E’ una linea regressiva. E’ un possente rilancio della speculazione fondiaria, mistificata come modernizzazione, con le conseguenze che si possono immaginare dal punto di vista della questione morale e della trasparenza.

1.2 La seconda linea è diametralmente opposta a quella milanese. Comprende le regioni e i comuni dove continua a praticarsi un corretto governo del territorio. La Toscana (ma potrei ricordare tutte e tre le ex regioni rosse, il Veneto, la Liguria, le Marche, eccetera). In Toscana, la pratica degli strumenti urbanistici è rigorosa ed estesa a tutti comuni. A meno di 10 anni dall’approvazione della legge 5/1995, tutti comuni hanno completato o stanno completando la formazione dei piani di nuova generazione (piano strutturale e regolamento urbanistico). La qualità dell’esperienza è evidente a chiunque, e basta pensare all’incanto della campagna toscana, dov’è sostanzialmente inibita ogni trasformazione non direttamente connessa alla produzione agricola. In Toscana, non mancano certo errori e incongruenze, basta citare l’insistenza della regione per l’insensata soluzione autostradale del corridoio tirrenico in Maremma.

Questa seconda linea di tendenza comprende Napoli che, almeno finora, seppure non senza fatica, ha perseguito la formazione di un nuovo Prg. Certamente, la vicenda della Coppa America ha posto in luce la fragilità della situazione napoletana. Ma tant’è.

In netta controtendenza con l’esperienza del capoluogo è quella della provincia di Napoli. La vicenda della recente contestazione del Ptcp è straordinaria e dovrebbe raccontarla Antonio Di Gennaro, alla cui indignazione e determinazione è dovuto in larga misura il successo della protesta. Ha giovato certo il ruolo della stampa, a partire dall’intervento su la Repubblica di Giovanni Valentini.

La stessa cosa non si può dire a proposito dell’auditorium di Ravello, caso nel quale la stampa è quasi tutta a favore dell’intervento e mistifica le posizioni di chi è contrario. Senza entrare nel merito, a Italia nostra e a chi vi parla non interessa – per ora – la questione dell’architettura. Interessa una cosa che viene prima della qualità architettonica: la legalità. Se si realizzasse, l’auditorium di Ravello sarebbe un’opera abusiva. Non basta una firma importante a sanare un’opera illegale. Anche per gli scempi di Punta Perotti a Bari si pensò di mettere tutto a tacere con la firma di Renzo Piano. Ma non è tutto. Nel tentativo di legittimare l’intervento, si è fatto ricorso a un’inverosimile interpretazione delle norme vigenti che consentirebbe in tutti i comuni della Costiera Amalfitana e della Penisola Sorrentina sforniti, come Ravello, di Prg, di costruire – fuori dei centri abitati – 1.000 mc a ettaro. Sarebbe cancellato, obliterato, uno dei paesaggi più celebri del mondo].

1.3 La terza linea dell’urbanistica nel panorama nazionale. Quella dell’ipocrisia: dichiararsi a favore del piano, con tanti se e tanti ma. E’ il caso del comune di Roma e della sua formula del “pianificar facendo”. Tuttavia, un anno fa, il comune di Roma ha adottato il nuovo Prg, ora in fase di controdeduzioni.

A questa linea appartiene, ahimè, anche la vicenda bolognese. Bologna, ex capitale dell’urbanistica progressista, ancor prima del sindaco Guazzaloca, ha imboccato la strada della contrattazione. Esiste in proposito un’esauriente documentazione raccolta dalla cosiddetta Compagnia dei Celestini. Speriamo in Cofferati.

Concludo sul panorama dell’urbanistica nazionale, raccomandando il libro di Francesco Erbani, L’Italia maltrattata, e il sito di Edoardo Salzano, eddyburg. In entrambi trovate un quadro aggiornato e ben illustrato su fatti e misfatti dell’urbanistica nazionale.

2. Prima di riprendere il discorso su Salerno, bisogna qui chiarire subito e bene che non si tratta di difendere il piano regolatore come se fosse un valore in sé. Il Prg è uno strumento, una procedura amministrativa, in larga misura indifendibile. Siamo i primi a dirlo. E da molti lustri. Chi vi parla lo dice da una vita. Non si deve perciò spacciare la nostra come una posizione passatista o formalista.

Il problema è un altro: si tratta di non buttare insieme all’acqua sporca anche il bambino. Qui il bambino è rappresentato dalla tutela di fondamentali interessi pubblici che, con l’urbanistica contrattata, sono disattesi. Un vero e proprio principio della civiltà europea è il primato dell’interesse comune sull’interesse del singolo. Proprio dalla consapevolezza di questo principio, e dalla sua necessità, nasce la disciplina urbanistica.

Che l’urbanistica contrattata disattenda questi principi lo dimostra in modo illuminante proprio la vicenda salernitana.

3. Non ho dubbi sul fatto che il caso di Salerno appartenga al blocco dell’ipocrisia. Sulla stessa lunghezza d’onda dell’urbanistica romana, ma peggio. Evidentemente al peggio non c’è limite.

Il Prg di Salerno è un piano che non condivido. Il pensiero dichiaratamente anti-urbanistico di Oriol Bohigas si è rivelato un formidabile e micidiale paravento al riparo del quale ha operato chi rifiuta qualsivoglia disegno unitario per il futuro della città, sapendo che ciò porrebbe un freno all’esercizio disinvolto del potere.

Certe spregiudicate e accattivanti proposizioni di Bohigas hanno fatto strage. Sono autorizzato da Alfonso De Nardo a leggere alcune righe di una sua lucida autocritica – come si diceva una volta:

“Per un bel po’ di tempo ho guardato con attenzione all’esperienza di Salerno, per nulla preoccupato delle conseguenze della teorizzata inversione del rapporto tra piano e progetto. Che ci sarà mai di male – pensavo – se, durante l’attesa dell’elaborazione e dell’approvazione del PRG (che da queste parti, come si sa, richiede almeno 10 anni) il sindaco riesce ad attuare interventi reali di trasformazione urbana? Mica può lavorare solo per i suoi successori! E per un po’ il ragionamento teneva. Teneva per i primi anni del sindacato, magari per tutto il primo sindacato. Teneva finché gli interventi reali erano la Lungoirno, il parco Mercatello, la metropolitana, i concorsi per le carceri vecchie, per la stazione marittima, per il palazzetto dello sport. E mettiamoci pure l’albergo nell’area del vecchio cementificio, che era passata agli occhi dei più come delocalizzazione del Jolly. Ma sono fatti che assumono tutt’altro significato dopo 10 anni e quando agli interventi di chiara valenza pubblica si succedono ormai, in reiterazione parossistica, le proposte d’iniziativa privata e di interesse prevalentemente privato”.

Non è questa la sede per sviluppare una critica circostanziata al Prg. Mi limito solo a riprendere fra gli argomenti già illustrati dallo stesso De Nardo, quelli che mi sembrano di importanza decisiva. In particolare:

a. il piano è molto sovra-dimensionato, la crescita demografica è smentita dalla realtà (nell’ultimo decennio la popolazione è diminuita di circa 10.000 abitanti);

b. il piano disconosce la drammaticità della cosiddetta “città compatta”, che vive una condizione di saturazione e congestione insostenibile da decenni. L’ipotesi della sua riqualificazione, a partire dall’eliminazione dei vuoti urbani, non può tradursi in un disastroso aggravamento della saturazione. L’inverosimile funzione calmieratrice conferita alla costruzione di nuove residenze nelle aree urbane più centrali è un alibi che non può convincere neanche i profani;

c. il piano considera, insomma, in maniera distorta il rapporto con la periferia e con i comuni limitrofi, destinati a vedere aggravata la loro sudditanza alla aree centrali.

Allora, che facciamo? Sono stato sempre convinto che un Prg non buono vada rifatto. Ma ciò non significa che ci si debba schierare con chi semplicemente non vuole il piano, per avere mano libera nello sfruttamento della città. Significa invece che ci dobbiamo sporcare le mani e pretendere che il piano prosegua nel suo iter, facendo tutto il possibile per migliorarlo. Sono pienamente d’accordo con l’appello promosso dalle associazioni ambientaliste e da altri, e lo sottoscrivo. E sono del tutto solidale con Fausto Martino. Ha sostenuto in passato posizioni che non condivido. Ma la limpidezza del suo comportamento è fuori discussione.

Non mi sottraggo a valutazioni politiche. Mai come in questo caso va ricordato che l’urbanistica è politica e il rinnovamento dell’urbanistica è impensabile se non coincide con il rinnovamento della politica.

Riconosco all’ex sindaco Vincenzo De Luca il merito di un netto miglioramento della qualità della vita nella sua città, ma ciò non autorizza a porre le basi per un inevitabile futuro peggioramento di quelle stesse condizioni di vita con operazioni sconsiderate.

Qui a Salerno, si è costituito un movimento unitario, qualificato, consapevole e agguerrito. Tanto più importante, questa novità, perché viene da una città del Mezzogiorno. Dove, in generale, la partecipazione alle questioni relative al governo del territorio è sempre stata scarsa, o meglio, limitata a proteste contro la localizzazione di impianti dannosi (discariche e simili), ma raramente attenta a problemi di più generale e meno immediato interesse pubblico.

4. Concludo con una citazione. Dopo la sconfitta dell’amministrazione di sinistra del 1985, intervenne Italo Insolera, con una memorabile intervista all’Unità: “Dico che mancò una filosofia complessiva del cambiamento, non si cambia nel profondo se si insiste nell’abbandono di ogni ideologia come ispiratrice dei fini e dei mezzi. E se qualcuno sostiene che la pianificazione non occorre, sono costretto a ricordargli che non occorre alle classi dirigenti, ma alle altre sì. Credo sia questo il punto da cui è necessario ricominciare”.

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