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Eugenio Scalfari
Parmalat e Rete4 con dedica ai lettori
11 Dicembre 2005
Scritti 2004
Un articolo dedicato a due inquietanti eventi dell’anno: il dominio dell’informazione e la degradazione dell’economia. E una strofa di Rilke. Su la Repubblica del 28 dicembre 2003.

IL NATALE è passato, il Capodanno è vicino e i nostri cuori si sono colmati di affetti e di memorie presenti e lontane nello spazio e nel tempo.

Nonostante tutto. Nonostante la durezza dell´attualità che sussegue, ci circonda, ci angoscia, ci ferisce: i morti in battaglia, i morti degli agguati, i morti dei terremoti, i morti per caso. No, non è stata una pausa sia pur breve agli affanni e alle cure quotidiane, ma appena un respiro, un sollievo fugace, una festa colorata in un mondo sempre più buio, illuminato da lampi di tenebra.

Nella nostra Italia per fortuna non c´è un clima di tragedia, la sorte e il carattere del nostro popolo ce l´hanno finora risparmiato. I problemi che ci troviamo a fronteggiare sono gravi per noi ma piccoli rispetto alle dimensioni planetarie del mondo globalizzato.

Appena una settimana fa eravamo alle prese con il rinvio della legge Gasparri alle Camere e con la bancarotta di Parmalat. Si aspettava con curiosità il decreto preannunciato dal governo sul destino di Rete 4 e l´esito della vicenda che ha coinvolto migliaia di lavoratori, di azionisti, di creditori della grande azienda di Collecchio.

Le due questioni avevano e hanno implicazioni economiche, politiche, giudiziarie che ancora debbono manifestarsi, ma gli atti compiuti in questi pochi giorni sembrano ragionevoli, quasi che il buon senso e il lume della ragione abbiano una volta tanto prevalso sugli animal spirits dei contendenti in campo. Personalmente ne ho ricevuto un´impressione positiva ed ecco perché.

Per Parmalat si è fatto quanto era necessario e urgente fare: separare la struttura industriale da quella finanziaria e truffaldina, nominare un commissario esperto con pieni poteri, perseguire i reati commessi, studiare e indagare sui buchi neri dei mancati controlli in attesa di procedere a un più efficace sistema ordinamentale. Gli impazienti disegni del ministro Tremonti di creare una nuova Autorità per la tutela del risparmio, che avrebbe dovuto nascere come una Minerva armata dalla testa d´un piccolo Giove con il visibile intento di condurre nelle mani del potere politico la struttura creditizia del paese, sono stati bloccati.

L´opposizione ne ha messo in luce la pericolosità; una parte della maggioranza ne ha condiviso l´allarme e ha imposto al governo una soluzione più saggia e responsabile: accrescere i poteri finora troppo scarsi della Consob sulle imprese e sugli operatori finanziari, attribuire in prospettiva il controllo sulle concentrazioni bancarie all´Autorità antitrust lasciando alla Banca d´Italia la vigilanza sugli istituti di credito e sulla stabilità del sistema.

Si tratta d´un percorso ragionevole e condivisibile, insieme a quello di rafforzare le sanzioni contro chi falsifica i bilanci e truffa gli azionisti e i creditori; l´opposto di quanto fece il governo appena un anno e mezzo fa con la legge che depenalizzava quel reato. L´arresto di Calisto Tanzi va ovviamente nella giusta direzione.

Resta naturalmente da vedere come ed entro quanto tempo questi propositi e questi impegni già assunti di fronte alla pubblica opinione si materializzeranno, ma è importante che siano stati indicati come la sola strada da percorrere.

Non illudiamoci tuttavia che maggiori sanzioni e più efficaci controlli siano sufficienti a moralizzare il nostro capitalismo finanziario restituendolo alla sana funzione di canalizzare il risparmio verso investimenti produttivi di ricchezza reale. Se infatti la crisi Parmalat, come altre analoghe esplose sui mercati della finanza e del credito mondiali, fosse un fenomeno sporadico dovuto all´impegno perverso di alcuni truffatori, le misure previste sarebbero sufficienti a impedirne o almeno a renderne ancor più saltuario il ripetersi.

Sappiamo invece che quelle crisi provengono da una tendenza del mercato a privilegiare il rialzo dei valori azionari rispetto ai profitti ottenibili dalla conduzione produttiva delle aziende. Derivano cioè dalla tendenza degli amministratori ad anteporre scenari di breve termine a considerazioni e strategie industriali a medio e lungo periodo. Sappiamo infine che la finanziarizzazione della ricchezza ha ricevuto un impulso irresistibile dalla pratica delle stock options riservate al management determinando bolle speculative a ripetizione e spingendo i vertici aziendali a concentrarsi sulla speculazione piuttosto che sugli investimenti e sulla ricerca innovativa.

Nei giorni scorsi si è molto discusso sul tema delle mele marce e di quelle schiette, arrivando alla conclusione consolatoria che le mele buone siano la stragrande maggioranza e quelle guaste un´inevitabile eccezione che conferma la regola.

È sperabile che sia così; probabilmente amministratori e manager sono quasi tutti animati da oneste e lungimiranti intenzioni, ma questa conclusione è priva di reale significato. Se la struttura del sistema favorisce oggettivamente la speculazione finanziaria rispetto al profitto dell´industria, le buone intenzioni soggettive vengono relegate nel libro dei sogni mentre la prassi inclinerà verso il malaffare.

Questa è purtroppo la verità. Per correggerla i controlli e le dure pene giudiziarie - pur necessari - non bastano né bastano le prediche sull´etica negli affari delle quali son piene tutte le bocche. Occorre prosciugare l´acqua dentro la quale prosperano i frutti velenosi del capitalismo speculativo; occorrono strumenti di vigilanza sovranazionali che fronteggino il malaffare sovranazionale. Altrimenti le buone intenzioni saranno parole scritte sull´acqua, senza effetti se non quelli di metter l´anima in pace ai moralisti e lasciare campo libero ai truffatori.

La qualità della classe dirigente politica non è elemento secondario per educare all´etica gli uomini d´affari. Ed è qui che conflitti di interessi così abnormi come quello presente e irrisolto al vertice del nostro governo costituiscono un elemento portante di corruttela e di diffusa disponibilità a calpestare sia l´etica sia la legalità.

Sul decreto-legge che definisce la procedura esecutiva della sentenza della Corte concernente Rete 4 la mia opinione dissente dai giudizi totalmente negativi espressi da molti esponenti dell´opposizione, a cominciare da Francesco Rutelli. Mi sembrano infatti giudizi preconcetti e forse poco attenti alla sostanza di quel provvedimento, sul quale c´è anzitutto da dire che esso era previsto dalla stessa sentenza della Corte dove si impone al potere legislativo di provvedere all´esecuzione del dispositivo affinché riceva concreta attuazione.

Quella sentenza, come ricordiamo, era stata in qualche modo scavalcata dalla legge Gasparri che, divenuta volontà del Parlamento, aveva deciso di accordare tredici mesi di tempo all´Autorità delle comunicazioni per accertare se il famoso digitale terrestre si fosse nel frattempo diffuso modificando il livello di concorrenza nel mercato televisivo.

Su questo specifico punto il messaggio di rinvio di Ciampi osserva che il tempo di accertamento è sproporzionatamente lungo e l´eventuale sanzione contro Rete 4 non è prevista con data certa e con attore specificato.

Affermare che il decreto-legge è frutto d´un compromesso di dubbia efficacia tra il Quirinale e il governo, tenuti presenti questi aspetti preliminari, mi sembra del tutto sbagliato poiché il testo del decreto soddisfa non parzialmente ma interamente ciò che il Quirinale chiedeva: data breve e certa (quattro mesi) per l´accertamento sulla diffusione della nuova tecnologia digitale, esecutività affidata - se il digitale non avrà avuto adeguata diffusione - all´Autorità delle comunicazione. La quale, in base ai poteri riconosciutile dalla vigente legge Maccanico, dovrà a quel punto oscurare le frequenze fin qui utilizzate da Rete 4. Quanto al livello di diffusione del digitale tale da adempiere a quanto richiesto, esso è chiaramente definibile dalla sentenza della Corte in almeno il 50 per cento della popolazione televisiva.

Certo è sempre possibile che nuove trappole siano inventate dal governo per sottrarre il proprietario di Mediaset ai rigori della sentenza recepiti nel decreto-legge, come è sempre possibile che la maggioranza parlamentare rinvii al Quirinale la Gasparri così com´è. Personalmente non credo che ciò avverrà. Ma il decreto-legge porta intanto a casa un risultato preciso: abroga quanto previsto dalla Gasparri riguardo a Rete 4. Quella questione non può più essere ripristinata nel testo originario poiché è stata decisa in difformità dal decreto e sarà legge nei prossimi sessanta giorni.

Non vedo dunque un compromesso ma piuttosto l´accettazione completa delle tesi del Quirinale.

Resta in piedi in tutta la sua mostruosità il conflitto d´interessi del presidente del Consiglio e bene ha fatto l´opposizione a denunciarlo ancora una volta in questa occasione. Ma chi ha parlato di un giorno funesto per la democrazia quello in cui il decreto è stato emanato ha preso una solenne cantonata: è stato invece per la democrazia italiana un giorno di vittoria, ottenuto nonostante il conflitto d´interessi e dovuto alla provvida decisione con la quale il Quirinale ha fatto valere i poteri che la Costituzione affida al capo dello Stato in difesa di se stessa.

La trattazione di questi due argomenti pertinenti alla nostra attualità mi ha allontanato dalle questioni ben altrimenti immanenti al nostro vivere in questo mondo e in questo tempo, delle quali avevo accennato all´inizio.

Non vedo altro modo di tornarci se non trascrivendo qui un passo della prima Elegia Duinese di Rainer Maria Rilke. Tratta degli angeli, dei morti e delle cose che essi lasciano nel mondo che hanno per breve tempo abitato e al quale, con la loro effimera presenza, hanno comunque dato un effimero senso.

È una preghiera laica, forse la più intensa tra le varie preghiere possibili.

Con questo spirito la dedico, insieme al mio augurio, a tutti i nostri lettori e a tutte le persone consapevoli e piene d´amore per gli altri.

«Certo è strano non abitare più la terra

non agire più gli usi da così poco appresi,

e alle rose e alle altre cose piene di promesse

non dare più il senso di un umano futuro;

ciò che eravamo in mani illimitatamente ansiose

non essere più, e anche il proprio nome

abbandonare come un giocattolo infranto.

Strano non desiderare più i desideri.

Strano quel che stretto si teneva vederlo dissolto

fluttuar nello spazio. È penoso essere morti: un continuo ricercare,

faticosamente in traccia

di un poco di eternità. Ma i viventi compiono

tutti l´errore di tracciar troppo netti confini.

Gli angeli (dicono) spesso non sanno se vanno

tra i vivi o tra i morti. L´eterna corrente

trascina attraverso entrambi i regni ogni età,

ed entrambi sovrasta con il suo suono»

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