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Eugenio Scalfari
L’onda lunga partita dalla Spagna
11 Dicembre 2005
Scritti 2004
Un lucido commento sui risultati elettorali in Spagna. Speranze per l’Europa? Se l’onda prosegue. Da la Repubblica del 16 marzo 2004.

FINO AL 10 marzo tutti i sondaggi davano il partito di Aznar certo vincitore delle elezioni politiche e probabile detentore della maggioranza assoluta. Il giorno dopo, quel fatale 11 marzo, dopo le primissime notizie della strage sui treni e prima ancora che cominciasse lo sconcio balletto dell’attribuzione del massacro, la reazione automatica dei poteri dentro e fuori dalla Spagna - ma presumibilmente anche d’una parte degli elettori - fu quella di stringersi attorno al governo, al suo leader e al delfino da lui designato.

È sempre avvenuto così ed è una delle turpi ragioni che spinge i poteri mal certi a cercare nei conflitti esterni ed interni e financo nelle guerre lo strumento per recuperare un consenso in via di disfacimento.

Ma nei successivi tre giorni quelle previsioni sono diventate sempre più incerte fino al tracollo elettorale del 14 marzo. In tre giorni il Pp è crollato al 37 per cento dei voti; in tre giorni una super-maggioranza sbriciolata e travolta; in tre giorni capovolta la geografia politica della Spagna con ripercussioni non dappoco su quelle dell’Italia, della Gran Bretagna e perfino degli Usa e delle sorti del duello tra Bush e Kerry. Tutto ciò perché il governo Aznar ha usato la menzogna e la reticenza nell’indicare gli autori del massacro dei treni. È possibile spiegare in questo modo la sorprendente vittoria del socialismo spagnolo?

Dico francamente che questa lettura non mi convince affatto. Questa lettura, tra l’altro, riconoscerebbe ai macellai di Al Qaeda il potere di intervenire nella politica con effetti mirati e decisivi e presupporrebbe nel popolo spagnolo una dose di viltà che è smentita da un storia secolare: è un popolo fiero, orgoglioso, tenace nelle sue convinzioni. No, non mi convince affatto una giravolta così improvvisa nell’arco di poche ore e dinanzi ad un lutto collettivo di quella tragica intensità. La menzogna del governo ha certamente provocato indignazione, ha certamente scatenato rabbia e disprezzo, ma le ragioni della vittoria di Zapatero sono più profonde.

Qualche giornale ha titolato: «Non ha vinto Zapatero, ma ha perso Aznar». No, non è andata così.

Ha vinto Zapatero, ha vinto l’onda lunga di un’opinione pubblica che giusto un anno fa invase le piazze e le strade di Spagna per dimostrare contro la guerra americana in Iraq, contro una decisione unilaterale che umiliava l’Onu e la legalità internazionale, contro il proprio governo che si affiancava alla superpotenza senza alcun rispetto della volontà chiaramente espressa dal 90% del popolo spagnolo. Il popolo è dunque sovrano soltanto quando il potere decide che lo sia? Quest’onda lunga nella pubblica opinione ha aspettato un anno. Ha assistito al fallimento manifesto dell’impresa irachena. Ha visto il terrorismo, che doveva essere sconfitto o almeno indebolito da quell’impresa, uscirne moltiplicato come un’idra dalle molte teste ruggenti e sanguinose. Infine ha raccolto con dignità dolorosa e silenziosa i suoi morti e tre giorni dopo ha votato. Il risultato l’abbiamo visto: il popolo spagnolo ha riassunto nelle sue mani la sovranità, ha tolto la delega a chi aveva tradito la delega e l’ha affidata a chi aveva fin dall’inizio condiviso le scelte del popolo.

Questo è accaduto nella giornata del 14 marzo e chi ancora non l’ha capito avrà presto altre occasioni per rendersene conto.

* * *

In realtà non fu solo il popolo spagnolo a schierarsi contro l’avventura americana in Iraq, basata su una tesi priva di fondamento e preparata prima ancora dell’attentato alle torri di Manhattan. Non fu solo il popolo spagnolo, anche se in Spagna la percentuale della protesta fu quella massima; ma tutti i popoli europei si schierarono in quella decisiva occasione: in Italia, in Gran Bretagna, in Germania, in Olanda, in Belgio, in Svezia, in Norvegia. E lo fecero quale che fosse la posizione dei propri governi, lo fecero indipendentemente dai propri governi.

Mi permisi di scrivere in quei giorni che forse, proprio su quel delicatissimo terreno e in quella delicatissima circostanza, era nato il popolo dell’Europa. Sono stato criticato per averlo scritto e accusato di enfasi pericolosa, di corta vista, di mente debole e demagogica come tutti i pacifisti.

Ebbene io non sono pacifista, il nostro giornale non è pacifista nel senso della pace comunque e a ogni prezzo, anche se ti ammazzano il fratello, anche se ti aggrediscono, anche se calpestano i tuoi diritti e i tuoi più radicati valori. Io non sono per porgere l’altra guancia dopo il primo schiaffo. Non a caso, noi prendemmo posizione per la fermezza contro le Br ai tempi del rapimento Moro, convinti come eravamo e come siamo che il terrorismo si combatte con la fermezza e non con la trattativa.

Che cosa significa scegliere la fermezza? Temo che si sia fatta molta confusione e dette molte, troppe parole vaghe su questo punto capitale.

Perciò conviene parlar chiaro mentre l’ombra del terrorismo globale si stende ormai nel cielo dell’Europa democratica.

* * *

È fin troppo evidente che il terrorismo non si combatte con i carri armati, con gli elicotteri, con i bombardamenti, con le divisioni di fanteria di cavalleria di marines. Ed è sommamente vero fino al punto d’essere ormai diventato un luogo comune che si combatte invece con l’"intelligence", con il controspionaggio, con le misure di sicurezza preventiva nei modi in cui è possibile adottarle.

Ma si tratta comunque di strumenti parziali e non risolutivi; improponibili comunque in ambienti nei quali il terrorista sia allevato, istruito, predisposto e coperto da un diffuso consenso e da una diffusa omertà. Se i pesci grandi e piccoli del terrorismo nuotano in un’acqua nutritiva e abbondante saranno imprendibili, comunque si riprodurranno, allargheranno il loro raggio d’azione, si diffonderanno come una cancrena fino ad inquinare e uccidere l’intero organismo sociale.

Perciò esiste una sola valida ricetta per combattere il terrorismo: prosciugare l’acqua che lo circonda lasciandolo a secco e lì, una volta a secco, estirpare il fenomeno alle radici.

Così fu distrutta la prima e la seconda generazione terrorista nell’Italia degli anni di piombo. Quando ancora oggi si parla, a proposito del terrorismo brigatista, di album di famiglia per mettere allo scoperto le derivazioni leniniste di quel fenomeno (peraltro discutibili sul piano ideologico-culturale) si crede di mettere in imbarazzo i figli e i nipoti della politica di Berlinguer. Si dimentica che la vittoria sulle Br fu dovuta soprattutto, ma vorrei dire quasi interamente, alla fermezza con la quale il Pci di allora e il sindacato di allora prosciugarono l’acqua nelle fabbriche e nella classe operaia intorno al pesce brigatista.

Non credo che vi sia altro modo. Esso presuppone che sul terrorismo non ci siano né perdoni né silenzi. Tanto più si è per la pace - pacifisti o non pacifisti - tanto più si deve essere contro il terrorismo poiché esso è l’esatto contrario della pace: infatti semina guerra, morte, terrore, servitù al terrore, fanatismo, duplicità.

* * *

In che modo si prosciuga l’acqua in cui prospera il terrorismo? Con il dialogo, con la comprensione dei bisogni materiali morali psicologici di quei popoli, etnie, nazioni nei quali il terrorismo cerca di metter radici perché vi ravvisa un humus fertile dove le sue radici velenose potranno più facilmente attecchire.

La lotta al terrorismo si fa dialogando con quei popoli, con quelle nazioni, con quelle etnie e non bombardandoli e massacrandoli. Ecco perché i popoli d’Europa dimostrarono grande saggezza un anno fa opponendosi alla guerra americana e alla cosiddetta pax americana che non è mai diventata pace. Si opposero perché avevano capito che la guerra americana avrebbe infiammato e stimolato il terrorismo, avrebbe reso purulento un tessuto che conosceva arretratezze dittatura tribalismo ma non conosceva il terrorismo e anzi gli si opponeva.

Diciamo la verità: la guerra irachena di Bush, di Blair e dei loro alleati-satelliti è stata il più grande e manifesto errore che si potesse compiere dopo l’attentato di Manhattan. Ha giovato solo alla popolarità d’un presidente male eletto e rafforzato da un lutto nazionale e mondiale.

Quel presidente aveva bisogno della sua guerra e l’ha avuta. Ne ha tratto giovamento politico. Probabilmente effimero, probabilmente quel giovamento è arrivato al capolinea. Ma nel frattempo non ha prodotto che nuovi guai, nuovi lutti, nuovo e rafforzato terrorismo.

I pacifisti debbono dire alto e forte no al terrorismo se vogliono essere credibili. Sicché non esiste contraddizione alcuna a marciare sotto le bandiere della pace e dell’antiterrorismo poiché si tratta della stessa bandiera e anche questo deve essere ben chiaro.

* * *

Zapatero non ritirerà subito i soldati spagnoli dall’Iraq; una cosa è mandarli - ha detto - un’altra ritirarli. Ma subito prima e subito dopo la vittoria elettorale Zapatero ha ribadito l’impegno: se il 30 giugno l’Onu non avrà assunto la piena e totale responsabilità, anche militare, del dopoguerra iracheno, i soldati spagnoli saranno ritirati.

Anche l’Ulivo e i Ds in particolare hanno preso lo stesso impegno. Sicché restano incomprensibili gli insulti che gli sono stati rivolti da alcuni arruffapopoli che hanno promesso schiaffi umanitari e hanno definito quei dirigenti politici come delinquenti. Chi parla in questo modo manifesta solo faziosità e vaniloquio.

Per il resto: non si vince il terrorismo soltanto marciando ma se proprio si vuol marciare, marci ciascuno con le proprie insegne senza promiscuità che generano solo confusione e cattiva coscienza. I socialisti spagnoli hanno ben dimostrato di essere per la pace e contro il terrorismo ed hanno cacciato dal governo Aznar. Basta essere chiari come loro sono stati per realizzare lo stesso obiettivo.

Secondo me per arrivare all’Europa unita e dotata d’una sola voce e d’un appropriato peso politico bisogna cambiare alcuni governi. Uno di essi è cambiato il 14 marzo. Mi sembra un ottimo inizio.

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