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Giorgio Todde
BIT e bugie
8 Novembre 2005
Giorgio Todde
Raccontare la realtà crudele come se fosse una realtà radiosa ...

Raccontare la realtà crudele come se fosse una realtà radiosa è sempre stato un modo a buon mercato per rendere la vita meno dura. E dirsi bugie sino a convincersi che la bugia sia la verità, aiuta a sopportare il peso dell’esistenza. Chi non si racconta bugie conduce una vita crudele. L’illusione ha un così grande successo perché - come il valium, l’eroina e altre sostanze - aiuta a vivere.

Con lo scopo di creare un’illusione nasce la cosiddetta BIT che è nientemeno che la Borsa Italiana per il Turismo. Una, come si dice, convention di varie realtà regionali tutte rappresentate in modo fittizio, da rotocalco, addirittura mitologico e, in una parola, falso. Alla BIT ogni regione, anche la più devastata, si mostra con una mano di cerone spessa un dito, con tutte le vergogne nascoste e adornata da belle facce di giovani nel fiore degli anni che, si sa, è un fiore che dura poco. La BIT rappresenta una sfilata di luoghi comuni avvilenti.

La Calabria, che la mano dell’uomo ha trasformato in un’ininterrotta serie di orrori lungo la costa tirrenica - senza dimenticare quella ionica - si presenta alla BIT come una terra vergine e incontaminata. La Sicilia, che non possiede più un chilometro di costa conservato, è altrettanto vergine agli occhi della BIT anche se è deflorata da decenni. E tutte le regioni italiane sono, alla BIT, giovani intatte, mai toccate dalla mano volgare dell’uomo.

Cagliari, alla BIT, è la capitale del mediterraneo ma nel mediterraneo non lo sa nessuno. Marsiglia, Napoli, Barcellona e varie altre città non sono informate che la loro capitale è Cagliari.

Le nostre coste, alla BIT, sono uniche. Ma anche questa è una notizia della quale non sembra che tutti tengano conto e qualche eretico trova belli altri mari e altre coste.

E poi, oltre alla balla che viviamo nel migliore dei mondi, c’è un’idea mortificante che la BIT propaga: l’idea che un viaggio non è più un viaggio. Il viaggio si chiama “prodotto turistico”, il viaggio è diventato un prodotto.

Questa espressione, a rifletterci, è un’espressione drammatica. Il “prodotto turistico” annuncia un futuro privo di fantasia, privo di ogni processo di ideazione personale. L’idea stessa del “prodotto” asfissia anche la fantasia più libera. Immaginare, provare, sbagliare, arrivare alla conquista più piccola – anche la cottura di un uovo – attraverso la sperimentazione personale, avere un colpo di fantasia, e mettersi in viaggio liberamente, alla BIT non è accettato. Questa faccenda di inventarsi le cose, di cuocersi le uova da soli o di progettarsi addirittura un viaggio viene considerata come un male da estirpare. Non c’è più nulla da inventare, non è più necessario.

Tutto, alla BIT, è racchiuso in un marchio, fondato su un simbolo. E le regioni, per farsi riconoscere dalla gente, non utilizzano più le bandiere: utilizzano un marchio da appiccicare al prodotto.

La Sardegna si è procurata il suo marchio: una madre mediterranea circolare, con le pudende e tutto il resto. Il simbolo lo ha scelto un grande pubblicitario, tanto bravo che ha perfino resuscitato il senso estetico di alcuni consiglieri regionali i quali hanno discusso in aula e in televisione di cosa è arte e cosa non lo è, come in un dialogo di Platone. Un risultato rivoluzionario.

Però il fatto è che dietro ai simboli - geniali o no che siano - si trovano bugie.

La nostra isola alla BIT è stata rappresentata in bianco e nero e questo ha urtato il senso del bello di alcuni che vorrebbero la Sardegna sempre e tutta a colori. Ma il bianco e nero è l’unico modo possibile di rappresentarci.

Il pubblicitario – che alle volte è una specie di sensitivo – ha intuito bene quando ha scelto di non usare gli altri colori. Il verde, l’azzurro, il celeste e tutti gli altri colori gli sono mancati, ed è giusto così. Noi siamo un popolo in bianco e nero.

Sarebbe offensivo dimenticare in un tripudio di colori cosa succede da queste parti.

E noi alla BIT, per decenza, non dovevamo esserci.

La BIT è una caricatura, è un esempio perfetto di come il mondo non deve diventare.

Dell’isola non si deve mai più parlare, pochi devono sapere che esiste perché l’unico modo per conferirle un valore è il silenzio e l’invisibilità che l’ha sempre avvolta nei millenni.

Se oggi tragicamente un’intera generazione ha vissuto il dolore di un lavoro incerto perché si è pensato di costruire ciminiere e fabbriche che non avevano nessun passato e nessun futuro, se oggi qualcuno cerca di ingannare la generazione successiva con l’illusione di un’immensa Rimini di plastica dove i viaggi sono “prodotti” impacchettati, tutto questo si deve alla cosiddetta “visibilità” che è una malattia mortale, una strada senza ritorno.

Appena si diviene visibili si diventa anche un oggetto consumabile in tempi rapidi. E noi, sopravissuti per millenni, in pochi anni scompariremo ingoiati dalla “visibilità”.

Eravamo un piccolo popolo invisibile, nessuno ci conosceva e tutto avveniva da altre parti.

Ora la BIT ci vende come un prodotto e davanti a quest’idea si capisce che la distruzione è certa e molto vicina.

Alla prossima Borsa italiana per il turismo la Sardegna dovrebbe essere cancellata e noi non dovremmo più esistere per il mondo perché ci è sufficiente il danno che il cosiddetto mercato e le cosiddette borse hanno causato.

Ieri, a Villasimius, una giornata invernale e grigia, l’ansa della spiaggia, lo stagno pieno d’acqua e di vita erano bellissimi. Ma appena gli occhi si posavano verso il ripugnante albergo a tre piani che con violenza occupa ogni spazio sino ai margini dello stagno si poteva vedere cosa è in realtà un “prodotto turistico”. Poi, spostandosi di poco, si vedeva come, per procurare altri “prodotti turistici”, si sono fatte scomparire spiagge che, BIT dopo BIT, sono rimaste solo nelle fotografie.

L’unica possibilità di conservarci integri è che il silenzio e la dimenticanza ritornino ad essere gli unici padroni dell’isola. Zitti, dimenticati, impercettibili, invisibili.

Quest'articolo è comparso su la Nuova Sardegna nel luglio 2005

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