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Giorgio Todde
La terra a fette
31 Agosto 2005
Giorgio Todde
Da quando i sindaci e le giunte comunali hanno diviso l’isola in fettine ...

Da quando i sindaci e le giunte comunali hanno diviso l’isola in fettine di diverso prezzo, in vendita come sul banco di una macelleria ( c’è un etto in più, lo lasciamo ? ), da quando i sindaci e le giunte si sono convinte di essere i padroni di questi bocconi di territorio e ne fanno commercio, da allora tutte le parti sono esposte su un bancone planimetrico e hanno un cartellino del prezzo, come il filetto, controfiletto, sottopancia, giù giù sino ai garretti. Una grande bottega.

Chia, comune di Domus de Maria, sud ovest dell’isola, da molti anni è un luogo interamente in vendita perché un ingegnere occhiuto aveva capito molti anni fa che la bellezza di Chia era un grande valore commerciabile come un vestito o un auto oppure, appunto, come un capocollo. E da allora anche il sindaco di Domus de Maria ha vestito il camice del venditore. E così tutto è in vendita a Chia, tutto è visto in forma di metro cubo. E così Chia, che era una vergine prudente, ora è divenuta una sfacciata e si prende malattie contagiose all’angolo di una strada perché, a modo suo, si è data un valore in monete sonanti.

Certo, con la parola valore sono incominciati molti dolori per l’Isola e, quindi, anche per le coste di Domus de Maria. Ma ogni volta che una vendita inizia finisce solo quando si è spolpato tutto l’animale.

La parola valore… La parola valore muta significato di continuo a seconda di chi la pensa e la pronuncia. Non si riesce a farne un uso oggettivo perché ognuno possiede, naturalmente, una sua idea di valore. Così il termine valore assume significati diversi a seconda della bocca che fa da passaggio al suono.

Se il sindaco di Domus de Maria usa la parola valore riferendosi alla bellezza della spiagge di Chia oppure se il giovane Werther, capitato da queste parti, parla anche lui del valore di Chia, i due stanno parlando di due diverse categorie di pensiero che sulle labbra hanno lo stesso suono però non risuonano nello stesso modo dentro la testa di chi parla e neppure di chi ascolta. Sulla bocca del sindaco imprenditore turistico la parola valore assume un suono tenebroso. Sulla bocca di Werther assume un valore ideale, filosofico e di principio.

Si può osservare che anche il sindaco avrà di certo un suo ideale di valore. Lui è un imprenditore turistico e, festosamente, vedrà il mondo come un grande, immenso villaggio dove si mangia, ci si unge di olio, si fa il bagno, si mangia ancora e si danza sino a notte. Ma le notti di Chia, sono divenute notti di Valpurga. Per questo, pronunciato da lui, il termine si impregna subito di un significato angoscioso che mette i brividi.

Se il sindaco sviluppista di Olbia, quello di Teulada che conta le stelle dei futuri alberghi, il sindaco edile di San Teodoro, quello di Arbus e della sua costa rosticceria, quello di Palau che, travolto dai metri cubi, murerà perfino sé stesso, se il sindaco di Villasimius perso in un labirinto di mattoni, e se i tanti nostri sindaci d’impresa utilizzano la parola “valore” allora la terra trema, la costa e le rive tremano e si sentono perdute. Addio pace e innocenza.

Ma restiamo all’esempio di Chia.

Chia è un luogo spirituale dove il bello naturale si avvicina al divino. Però è anche un luogo violentato che, come una giovane incantevole ma in agonia, conserva una bellezza pallida e più seducente proprio perché è in pericolo mortale.

Vediamo quale significato può possedere la parola valore applicata a Chia.

Chia è un valore assoluto e metaforico. Assoluto perché rappresenta, nella sua parte intatta, un patrimonio perenne e perciò da non sfiorare e neppure calpestare. Metaforico perché contiene in sé un’idea di violenza ( quello che le è stato fatto e che si cerca di farle ) insieme a un’immensa meraviglia ( quello che non è stato toccato ). Insomma, Chia rappresenta allegoricamente lo stato della nostra isola: metà distrutta e metà conservata.

Perciò, se siamo d’accordo che Chia è un valore che si accresce quanto più conserva la sua parte intatta, allora noi questo valore dobbiamo conservarlo. Conservare… Nell’idea stessa del conservare è contenuta un’intera filosofia. Conservare significa anche comprendere il valore di quello che troviamo, comprenderlo e poi disporlo in un unico sapere.

La Conservazione, mentre tutto viene consumato selvaggiamente, è una novità rivoluzionaria, una conquista civile, l’unica difesa possibile della nostra terra, di noi stessi, perfino del nostro corpo. La Conservazione è una difesa contro il feroce sviluppismo che è la peste dell’isola e che come la peste si manifesta in maniera epidemica gonfiando sino alla mostruosità il modello metrocubico delle coste. La Conservazione dell’intatto giustifica la nostra stessa esistenza che ha una spiegazione solo se troviamo il filo che ci unisce al passato. E se non conserviamo noi stessi e il Creato intorno non lo troveremo più il nostro passato, come un malato che ha perduto la memoria delle cose lontane perché il cervello si è ammalato.

Senza Conservazione restiamo sciocchi che però non otterranno il regno dei cieli, smemorati che si illudono di diventare più ricchi con le minutaglie delle ricchezze altrui, divoratori di resti. Saremo consegnati alle generazioni future come i volgari devastatori di un paesaggio che era meraviglioso ma troppo mite e innocente per opporsi.

E tutto perché, creduli e ignoranti, ma non innocenti, abbiamo dato alla parola valore lo stesso significato che il macellaio da al quarto di bue appeso al gancio, sanguinante e pronto per essere tagliato come il cliente ordina. E noi verremo ricordati, se questa distruzione continua, come i macellai della nostra terra.

Articolo pubblicato su la Nuova Sardegna l'8 agosto 2005

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