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Alberto Vitucci
«Sul progetto Mose decida la Corte europea»
20 Agosto 2005
MoSE
Tra cavilli e trovate, continua la battaglia per difendere la citta e la sua Laguna dal MoSE. La Nuova del 21 maggio 2004 informa sulla discussione al TAR sui ricorsi contro il Consorzio Venezia Nuova, presentati dalle associazioni ambientaliste e dalla Provincia di Venezia

VENEZIA. La Provincia chiede che sia la Corte europea a decidere. Gli ambientalisti che si dichiari «l’illegittimità» delle autorizzazioni date dal Comitatone al Mose per la mancanza della Valutazione di Impatto ambientale. Il Consorzio Venezia Nuova che si respingano tutti i ricorsi perché «infondati». La battaglia sul Mose approda al Tar del Veneto. E ieri mattina nella nuova aula di palazzo Gussoni si è tenuta l’udienza finale dedicata ai ricorsi presentati contro la grande opera.

Il collegio giudicante - presidente Stefano Baccarini, relatore Mario Buricelli - ha ascoltato per oltre tre ore le ultime arringhe degli avvocati e si è ritirato in Camera di Consiglio. Sentenza prevista per i primi giorni della settimana prossima.

A tirar fuori dal cappello l’inaspettato cavillo è stato a fine udienza il legale del Consorzio Alfredo Biagini. «Fin qui ci siamo sbagliati», ha esordito, «perché ci siamo dimenticati di un Dpcm del 1988». Cosa dice quel decreto? Che le opere in concessione sono «esonerate dal rispetto della Direttiva comunitaria. E che spetta al ministro dell’Ambiente decidere la «conclusione della procedura di Via dopo aver esaminato il progetto esecutivo». Le dighe a mare, in ogni caso, ha detto Biagini, «sono opere del tutto distinte dal Mose». Tesi opposta a quanto da sempre sostenuto anche dal governo, che lo scorso anno aveva inaugurato «la pirma pietra del Mose» intesa come diga foranea di Malamocco.

Opposta naturalmente la tesi degli avvocati delle associazioni e della Provincia. Il professor Picozza, legale di Ca’ Corner, ha citato una sentenza del Tar del 2000. Che prescriveva la «necessità di una Valutazione di impatto ambientale nazionale». E non basta, dice l’avvocato, «che il Consiglio dei Ministri (governo Amato) abbia poi considerato chiusa la vicenda»: «La componente tecnica non può cessare ed essere assorbita dalla valutazione politica», ha argomentato il legale, «così come nessuna opera può essere scorporata per sottrarla alla Valutazione». Dunque, quell’istruttoria non c’era. E il progetto non si poteva approvare. Picozzi ha anche ricordato che la Serenissima applicava la pena di morte a chi manometteva il regime delle acque.

La linea del Consorzio e dell’Avvocatiura dello Stato è stata quella di chiedere il rigetto del ricorso perché i ricorrenti (associazioni ambientaliste e Provincia) non avrebbero avuto titolo per farlo.

«Non si può chiedere il contrario di quello che è previsto dalla legge, cioè la salvezza di Venezia», ha argomentato l’Avvocato dello Stato Raffaello Martelli, ex segretario generale della Biennale. Così anche l’avvocato della Regione Lorigiola, che ha sottolineato la diversità tra Mose e opere complementari. Che dunque non andavano soggette alla procedura di Valutazione statale. L’avvocato Alfredo Bianchini (Consorzio) ha ribadito che il discorso sulle responsabilità può essere rovesciato. «Senza il Mose Venezia rischia», ha ripetuto.

Le associazioni ambientaliste hanno diffuso in serata un comunicato. «Si vogliono forzare le procedure per realizzare solo il Mose e non la salvaguardia di Venezia e della laguna, come prescritto dalla Legge Speciale», scrivono Wwf, Lipu, Italia Nostra, Ecoistituto, Codacons, Movimento consumatori, Sinistra ecologista, Vas. E ricordsano come i nodi giuridici «irrisolti» riguardino la mancata Valutazione di impatto ambientale nazionale (l’unica fatta nel 1998 aveva dato esito negativo), e che la commissione di Salvaguardia presieduta da Galan ha approvato «illegittimamente» l’opera esaminando solo 9 dei 63 volumi che costituiscono il progetto. Un progetto che, insistono i ricorrenti, potrebbe causare alla laguna gravi danni irreversibili, con interventi impattanti come la nuova isola in bacàn e la demolizione della diga di Malamocco.

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