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Ernesto Nathan Rogers
Piani Regolatori Regionali per una sistemazione dei litorali (1937)
2 Giugno 2005
Urbanisti Urbanistica Città
Una lucida e anticipatrice disamina dei complessi rapporti fra pianificazione sovracomunale, ambiente costiero, economie turistiche. Da L'Albergo in Italia, luglio-agosto 1937 (f.b.)

L’eccezionale sussidio decretato dal Regime per l’industria alberghiera in vista dello sviluppo che ad essa si vuol dare per il 1941, determina nuove direttrici di studio e stabilisce nuove grandi responsabilità per tutti coloro che hanno il compito di perfezionare i piani nei diversi settori che ne compongono il quadro organizzativo.

Fra i tanti, il problema della sistemazione dei centri balneari appare in tutta l’evidenza della sua importanza. Gli organi competenti, ancor prima del decreto del 16 aprile u. s., hanno affermato la necessità di porre un nuovo ordine in questo campo per inquadrarlo entro un sistema più vivo e più coscientemente moderno.

L’onorevole Bonomi, Direttore Generale per il Turismo, ha sentito chiaramente che il problema della valorizzazione dei centri balneari è intimamente connesso con lo studio della sistemazione edilizia, e il suo discorso ha avuto una pronta eco in una circolare diramata dalla presidenza della Federazione Nazionale Fascista Pubblici Esercizi, nella quale si mettono alcuni accenti sui principali punti al fine di animare gli organizzati.

Poiché siamo certi che l’iniziativa privata non resterà sorda di fronte a questi autorevoli appelli, ci sembra opportuno di esaminare, sia pure sommariamente, con metodo sistematico e costruttivo, il punto di vista generale della questione.

Lo Stato Corporativo che ha come postulato della sua esistenza, l’organizzazione dei singoli nell’ambito dell’interesse della collettività, deve pretendere che anche in questo campo, in cui sono in gioco, non solo il prestigio della Nazione di fronte agli stranieri, ma uno dei tesori più cospicui della Patria costituito dalle sue terre più belle, le intenzioni dei singoli (intendiamo le buone intenzioni) non debbano solo dar sviluppo a organismi particolari esemplari, ma si concatenino l’una all’altra sì da formare un armonico insieme.

Nella nostra epoca caratterizzata da un dinamismo operante, v’è infatti solo questo pericolo, che l’azione inconsulta pregiudichi e rovini la realizzazione di una idea: l’entusiasmo che l’idea suscita, crea un ciclo economico così affrettato che, ove non si abbia avuto cura di prevederlo e di arginarne gli effetti, ci si trova presto di fronte a condizioni paradossali e opposte a quanto era nel desiderio degli animatori.

Un bell’albergo, un ristorante accogliente , uno stabilimento balneare, sia pure razionalissimo in se stesso, non risolvono il problema se questi edifici non vengono studiati secondo un complesso e completo piano urbanistico che vagli le capacità del luogo; le possibilità, le influenze dei centri vicini, il rispetto del paesaggio e ogni altro particolare essenziale.

Si vuole che non avvenga ciò che purtroppo ancor oggi avviene quasi dappertutto, che, l’incontrollato, contingente favore del pubblico, dia immeritati sviluppi a zone incapaci o, (dato il caso, in fondo raro, di paesaggi immeritevoli) dia quasi uno di quegli sviluppi che i biologi chiamano di cariogenesi (riproduzione malata) e che in termini urbanistici si risolve in un vero e proprio caos. Si osserva nei luoghi di villeggiatura, in genere, e in quelli balneari in ispecie, uno sviluppo morboso di costruzioni che dapprima si affacciano alla riva fino a nasconderla, poi s’addensano alle spalle, formano barriere impenetrabili alla vista del litorale, s’abbarbicano sulle eventuali colline, corrodono il paesaggio, lo deturpano con ferocia e con processo non dissimile da quello che i tumori maligni sogliono perpetrare nei corpi organici.

È questa una naturale reazione, d’ordine sentimentale, all’azione dell’urbanesimo, una delle tante eredità che ci ha lasciato l’ottocento e che dobbiamo oggi faticosamente disciplinare.

Il difetto borghese delle città si riscontra analogicamente nei centri di villeggiatura e, in particolare, in quelli che in principio furono più accessibili: i centri balneari. La bellezza delle nostre terre ha affascinato italiani e stranieri: sono sorti in riva ai nostri mari e ai nostri laghi alberghi mastodontici e casette e casone laddove prima non erano se non schiette case di paesani e qualche villa veramente signorile, trionfante nel paesaggio.

I borghesi hanno creato la “moda” per alcuni paesaggi, si sono buttati sulle terre vergini, hanno incominciato a costruire con cementi ornati, e, in breve, hanno trasformato, a loro esclusivo uso, i paesaggi. Dopo un lustro o due, il capriccioso innamoramento ha fine, e la brama di conquista si spinge verso altre terre vergini e quelle che prima erano state tanto amate sono lasciate nell’abbandono o cedute a quelle persone meno abbienti le quali sono costrette ad accontentarsi di godere dei rifiuti altrui.

Questo ciclo “liberale” che abbiamo tratteggiato è incompatibile con la nostra etica, la nostra economia, tutta la nostra dottrina corporativa.

Se si vogliono, come è doveroso, interpretare nello spirito le parole del Direttore Generale per il Turismo, si devono assolutamente stabilire dei chiari termini urbanistici. Si ribadisca il concetto che il paesaggio non appartiene ai singoli (siano essi enti o privati) ma alla collettività; si stabiliscano, con sempre maggior fermezza e maggiore estensione, in ogni luogo quei punti panoramici che ne definiscono l’aspetto caratteristico e siano questi punti considerati zone sacre e inviolabili.

Occorre procedere programmaticamente con piani regolatori regionali di vasta portata, condotti da competenti secondo criteri obiettivi, con l’ausilio di tutte quelle cognizioni che fanno, ormai, dell’urbanistica, una scienza e non un vagolare empirico e accomodante. (V’è a nostra conoscenza un unico tentativo lodevole fornito dal Piano del litorale della Provincia di Savona, promosso qualche anno fa dall’allora Prefetto S. E. D’Eufemia).

Proponiamo che si divida, secondo un criterio logico, tutto il nostro litorale in zone urbanistiche e si esaminino le condizioni, l’orografia, le possibilità economiche, le ragioni storiche d’esistenza, la funzione rispetto agli abitanti locali, il tipo, l’ampiezza, la gerarchia delle funzioni turistiche. Queste ultime appariranno allora in tutta la loro chiarezza, inquadrate nell’interesse dello Stato il quale potrà determinare precise norme unificatrici e tali che anche l’estetica, cioè la poesia, avrà quella parte che si merita.

Non vogliamo aver l’aria di voler fare tabula rasa su tutto il litorale italiano per ricostruirvi poi, di sana pianta, paesi modello utopistici: si tratta più semplicemente di impedire che il nuovo si eriga sugli errori del vecchio, mosso da una pura ragione di conservazione nostalgica; poiché si ha in animo di costruire, si mediti con spirito spregiudicato e si operi secondo conoscenza: il problema è tutto qui, ma le proporzioni di esso, se pur limitate a delle possibilità realistiche, non appaiono insignificanti; il piano regolatore deve gettare sementi per il futuro nel quale è un fatale rinnovamento di ogni cosa caduca: il futuro sia determinato per quanto è possibile dalla nostra volontà creatrice. È questo un problema totale di civiltà: etica, estetica ed economica.

Mentre questi studi daranno a ogni località il proprio compito e i limiti di una propria cornice, si potrà, entro questa, delineare il quadro e pensare all’architettura.

Vi sono oggi stupende località in riva alle nostre acque dove l’architettura è talmente lontana da ciò che la natura esigerebbe, che i villeggianti possono, a mala pena, condurre la loro vita con disinvoltura: se essi circolano per le vie adiacenti agli stabilimenti balneari con abiti adatti alla vita libera delle spiagge, la presunzione di certi palazzotti non può che metterli in soggezione. Questi palazzi sono altrettanto sconvenienti in mezzo ai villeggianti, quanto lo sarebbero, all’opposto, quei villeggianti se volessero aggirarsi per le vie di Milano o di Roma, o di qualche altra metropoli con quegli abiti. È innegabile che occorre in ogni ambiente umano un’unità di stile e lo stile non può esser dettato che dalle funzioni: nei luoghi balneari hanno ragione i bagnanti e torto i parrucconi, siano essi di pietra o di carne e ossa.

Noi che ci vantiamo di aver dato nei secoli, in ogni regione d’Italia, le costruzioni più logiche e più belle, non dovremmo tardare a chiudere i manuali delle accademie per guardare nel vivo della natura e trarre da essa la soluzione dei problemi architettonici.

In una urbanistica sana, con un’architettura sana, potremo allora passare all’esame i differenti organismi che necessiteranno alle diverse località.

Il Regime ha sviluppato in questi anni il tema delle colonie marine e, l’Esposizione (sia detto per inciso, veramente stupenda), che ora se ne tiene a Roma, dà testimonianza del rapidissimo ritmo realizzativo.

Questo tema tocca evidentemente gli interessi sociali della Nazione; gli interessi turistici (s’intende non solo quelli verso gli stranieri, ma anche quelli verso larghe masse del nostro popolo), il valore dei quali è inutile elencare in questa sede, sono ovviamente assai importanti per l’economia e richiedono organismi architettonici altrettanto aggiornati.

Si potrebbero passare in esame i diversi tipi degli alberghi e degli stabilimenti balneari delle nostre spiagge: mentre per gli alberghi si deve soprattutto lamentare che essi siano stati costruiti, in troppo grande numero, negli anni in cui l’architettura aveva perduto ogni significato di purezza, per gli stabilimenti balneari si dovrebbe fare un più lungo discorso che esula dai limiti di questo scritto; certo è che una revisione totale si impone perchè, anche nelle spiagge, che hanno avuto sviluppi negli ultimi anni, troppo poco, che lontanamente abbia un aspetto di modernità, si può sinceramente lodare. Troppe baracche, troppi rabberciamenti di costruzioni che si sono sviluppate secondo il solo spirito della necessità immediata per far fronte ai bisogni impellenti, troppa varietà di stabilimenti, vi sono, sorti l’uno in concorrenza dell’altro, che ricordano i paesi di ventura dove basta un qualsiasi tetto imbastito, perchè ad esso venga dato il nome di casa.

Questo è abusare della bellezza della natura e del fascino che essa esercita sugli uomini.

Si impone, dunque, dal generale al particolare. dal piano regolatore regionale fino ai tipi di capanne, uno studio approfondito perchè il problema turistico deve essere prima di tutto risolto in funzione delle nostre esigenze di civiltà: non dobbiamo adescare nessuno con mezzi adulatori con civetterie indecorose; siamo pur certi, che, dove potremo ospitare degnamente il turista italiano, potrà venire qualunque marajà, il più esigente, al quale se non daremo da soddisfare curiosità snobistiche offriremo, tuttavia;ben più sostanziali elementi di ammirazione.

Noi crediamo che queste nostre parole, che a qualcuno potranno sembrare in qualche parte troppo amare per quanto definiscono il presente e troppo astrattamente idealizzatrici per quante pretendano dal futuro, interpretino, nella misura delle nostre forze, il sentimento che va chiaramente delineandosi nelle moderne coscienze degli urbanisti italiani, i quali sono tutti convinti che sia ormai giunto il momento di porre argini potenti al dilagare degli arbitri, e parimenti sono consapevoli di poter affrontare con pieno senso di responsabilità, quei problemi che lo Stato corporativo vorrà veder risolti dalla loro competenza.

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