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Vezio De Lucia
Separazione dannosa
13 Maggio 2005
Vezio De Lucia
Urbanistica e tutela sono le due colonne...

Urbanistica e tutela sono le due colonne sulle quali si dovrebbe reggere il governo del territorio nel nostro paese. Ne ho già trattato in una precedente opinione, però penso che sia necessario approfondire l’argomento per tentare di comprendere almeno una delle ragioni che hanno determinato la crisi in cui versa l’urbanistica italiana. Al fine di semplificare l’esposizione, nella seguente tabella sinottica (riportata in calce) ho ordinato, cronologicamente e separatamente, i fondamentali provvedimenti legislativi statali riguardanti le trasformazioni urbanistiche e quelli riguardanti il sistema delle tutele. La distinzione fra i due regimi è fuori discussione ed è stata convalidata da numerose sentenze costituzionali che si sono susseguite, con assoluta coerenza, dal 1968 al 2000, e proprio per questo ho composto l’allegata tabella sinottica. Ma è bene ripetere subito che il sistema delle tutele è anche uno dei contenuti essenziali dell’urbanistica propriamente detta. Mi limito a ricordare:

- la cosiddetta legge ponte del 1967, che incluse fra i contenuti sostanziali del piano regolatore generale “la tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici” (art.3, comma 2, lettera c);

- dieci anni dopo, il decreto presidenziale 616/1977, che regola il trasferimento delle funzioni dallo stato alle regioni, attribuisce alla materia urbanistica “la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell'ambiente”.

Gli esempi di tutela realizzata grazie alla pianificazione urbanistica ordinaria sono tanti e quelli più noti li ho già ricordati anche su eddyburg: le colline di Firenze, l’Appia Antica, il parco delle mura di Ferrara, le coste della Maremma livornese, e altri.

Torniamo alla tabella sinottica. La legge del 1942 e la 1497 del 1939 sono le due matrici, i due capostipiti dai quali hanno origine tutti i successivi provvedimenti riguardanti il governo del territorio. È evidente che, dopo la legge Bucalossi del 1977, si è bloccata, per così dire, la produzione di norme statali riguardanti organicamente la materia urbanistica. Anzi, come sa chi si occupa di queste cose, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1980, è stata in larga misura azzerata la stessa legge Bucalossi. Da allora, l’impegno legislativo ha riguardato il silenzio assenso, il condono (tre leggi in diciotto anni) e un’infinità di provvedimenti che autorizzano, o addirittura obbligano, a operare in deroga alla disciplina urbanistica, all’uopo inventando nuovi strumenti d’intervento: programma di recupero, programma di riqualificazione, contratto d’area, patto territoriale, prusst, eccetera. Manca solo la cosiddetta legge Lupi che, se fosse approvata, sarebbe la pietra tombale per l’urbanistica come l’abbiamo conosciuta negli ultimi decenni.

Dalla tabella in calce si vede bene che proprio quando è manifesta la crisi dell’urbanistica tradizionale, si moltiplicano invece i provvedimenti relativi alla tutela specialistica. Una cosa non è automatica conseguenza dell’altra. La legge per la difesa del suolo del 1989 era attesa da ventitrè anni, dalle drammatiche alluvioni del 1966, e da tempo si aspettavano norme adeguate per i parchi e le aree protette e per rafforzare la tutela del paesaggio. È tuttavia evidente che la coincidenza non può essere casuale. Tende infatti a consolidarsi in quegli anni il convincimento che gli strumenti propri della tutela – quelli riportati in tabella e altri più minuti e settoriali, per esempio quelli appartenenti al mondo delle valutazioni – possano e debbano in larga misura sostituire strumenti e metodi della pianificazione ordinaria. La tutela, insomma, si sottrae all’urbanistica. Le ragioni di questa involuzione, ché, secondo me, di involuzione si tratta, sono molteplici e non possono essere indagate in questa breve nota. Mi limito qui a ricordare solo le responsabilità delle associazioni ambientaliste che, con l’eccezione di Italia nostra, non si sono mai veramente misurate con le questioni urbanistiche, cioè con i meccanismi che regolano le trasformazioni urbane, con la rendita e con la complessità degli strumenti di pianificazione e scelgono di occuparsi più degli effetti (il traffico, l’inquinamento) che delle cause (l’uso dissennato del territorio).

Un esempio illustre di ricorso a vincoli e dispositivi propri delle tutele che surrogano gli strumenti ordinari della pianificazione è quello di Tormarancia. Tormarancia è una tenuta di 220 ettari, fra l’Appia Antica e l’Ardeatina, un angolo di paradiso miracolosamente sopravvissuto, per il quale il piano regolatore di Roma del 1962, quello enormemente sovradimensionato, prevedeva un quartiere residenziale di circa due milioni di metri cubi. Il nuovo Prg, in formazione da una dozzina di anni, non ha il coraggio di andare oltre una riduzione della previsione originaria. Interviene per nostra fortuna il benemerito soprintendente archeologico Adriano La Regina che salva quel pregiatissimo territorio con un vincolo archeologico di inedificabilità, confermato dalla regione Lazio. Ma Tormarancia, una volta scampata al cemento, non è stata restituita, come sarebbe stato logico, all’agricoltura, ma è stata demagogicamente destinata a verde pubblico e il carico insediativo previsto dal piano regolatore è stato spostato in altra parte del territorio comunale. È fuori discussione il ruolo assai positivo svolto dalla soprintendenza archeologica, ma è altrettanto evidente la mancata soluzione del problema dal punto di vista urbanistico (dimensionamento del piano, dislocazione delle nuove cubature, accessibilità, eccetera).

Esistono altri esempi, a Roma e altrove, di utilizzo dei vincoli, in particolare dei vincoli archeologici, al fine di scongiurare operazioni dissennate. Altre volte, soprattutto con il ricorso ai piani di assetto delle aree protette, si sono invece peggiorate precedenti regolamentazioni urbanistiche (è il caso del comprensorio dell’Appia Antica, sempre a Roma). Ma ciò che qui interessa mettere in evidenza è che la tendenza a scorporare la tutela dall’urbanistica induce a trasformare gli strumenti della pianificazione ordinaria in atti volti a disciplinare esclusivamente l’edificazione e l’infrastrutturazione del territorio. L’obiettivo che insomma si persegue, più o meno consapevolmente, è che il piano regolatore o il piano territoriale di coordinamento debbano occuparsi solo di cemento e di asfalto, mentre i grandi spazi aperti e le cinture verdi dovrebbero essere di competenza, esclusiva o quasi, dei piani di assetto dei parchi, dei piani paesistici, dei piani di bacino.

Cito al riguardo due recenti e importanti esempi di pianificazione ordinaria, che sostanzialmente rinunciano a farsi carico della tutela e, oggettivamente, spianano la strada al disegno di legge Lupi (che proibisce addirittura agli strumenti della pianificazione ordinaria di occuparsi della tutela del territorio, come ben sanno i lettori di eddyburg). Il primo esempio è il nuovo piano regolatore generale di Roma; adottato circa due anni fa, mai controdedotto, che prevede per il 2011 un incremento del suolo urbanizzato di 15.000 ettari, mentre la parte dell’agro romano non sottoposta a trasformazione è sottoposta al regime dei parchi regionali[1]. Il secondo esempio è il piano territoriale di coordinamento della provincia di Napoli, più volte illustrato su eddyburg da Antonio di Gennaro e da Edoardo Salzano, che prevede la distruzione di ben 25.000 ettari della Campania Felix e di parti della penisola sorrentina, del Vesuvio, dei Campi Flegrei, delle isole del golfo, infischiandosene di ogni esigenza di tutela.

[1] Quello che penso del nuovo Prg di Roma l’ho scritto sull’ultimo fascicolo di Meridiana (n.47-48)

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