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Alfredo Drufuca
Polveri: Albertini e Formigoni condannati all'operosa inanità
24 Febbraio 2005
A proposito del conflitto tra diritto alla salute e diritto alla mobilità (inquinante). Una proposta pratica. Da Milano, il 17 febbraio 2005.

Il giudice per le indagini preliminari di Milano ha proposto l'archiviazione della denuncia presentata da un gruppo di mamme (il comitato 'Aria fritta', se non mi sbaglio) nei confronti del sindaco Albertini e del presidente della regione Formigoni, per non aver deciso il blocco delle auto a seguito di uno dei ricorrenti, prolungati sforamenti dei limiti dei livelli delle micropolveri nell'aria.

Della correttezza della decisione qui non discuto. Mi interessa sottolineare una delle motivazioni dal magistrato che giustifica il (non) operato dei due con il fatto che, se la salute è un diritto fondamentale del cittadino, anche la mobilità lo è, talchè il non poter difendere il primo senza ledere il secondo porterebbe necessariamente alla paralisi decisionale. Si tratterebbe dunque al più di un caso, appunto, di 'operosa inanità' (le parole non sono del giudice, ovviamente).

Che tra i maggiori vulnerati nel primo diritto ci siano soprattutto bambini ed anziani, contemporaneamente scarsi fruitori del secondo, poco stupisce nella nuova cultura della diseguaglianza. Dovrebbe stupire un po’ di più la svelta identificazione tra diritto alla mobilità e diritto all'uso dell'automobile privata, ma i cinquanta anni di deforme politica dei trasporti daranno pure i loro frutti e comunque non è questo l'oggetto, pur tutt'altro che irrilevante, del presente ragionamento.

Non deve invece stupire lo scambio operato tra salute e mobilità: in ogni attività dell'uomo è presente un ineliminabile fattore di rischio, rischio che la collettività cerca -o dovrebbe cercare- di ridurre sempre di più. E questo, come avviene per le norme sugli impianti elettrici o sul fumo nei luoghi pubblici, avviene anche per l'auto: basti pensare al progressivo irrigidimento delle norme antiinquinamento imposte ai produttori.

Non vale nemmeno ricordare come i diritti, per essere davvero di tutti, non dovrebbero essere pagati: se la mobilità non è mai stata gratuita, la salute, soprattutto in Lombardia, non lo è più.

Ma allora, ha in fondo ragione il giudice nel dire che non si può ragionevolmente fare nulla?

Non si può fare nulla se non si riparte dal fatto che il superamento dei livelli accettabili di concentrazioni inquinanti, nel quale un ruolo determinante è appunto giocato dalle emissioni del traffico autoveicolare, sia un dato strutturale e non episodico, e che pertanto non possa essere efficacemente affrontato con provvedimenti di carattere emergenziale.

Le misure sin qui adottate di contenimento delle emissioni da traffico, che si limitano essenzialmente all'imposizione di blocchi parziali o totali, estemporanei o programmati della circolazione, hanno infatti dato risultati assai modesti e del tutto inadeguati alla gravità del problema.

E' peraltro evidente, anche senza l'intervento del giudice milanese, la difficoltà che ovunque si incontra nel voler irrigidire ulteriormente tali provvedimenti a causa dell'impatto fortemente negativo che questi sono destinati ad avere sul normale funzionamento delle attività economiche e sociali delle città, e della loro conseguente scarsa, o ritenuta tale, praticabilità politica.

I motivi per cui l'impatto di provvedimenti di limitazione è così negativo sono principalmente due.

Il primo motivo è che i meccanismi comunemente adottati (targhe alterne, divieti assoluti o parziali) non riescono a discriminare, se non attraverso il modo faticoso, parziale, costoso (e spesso non equo) del rilascio di permessi ad personam, tra il diverso grado di utilità/necessità degli utenti di effettuare i propri spostamenti utilizzando la propria automobile (a Milano il tifoso che va allo stadio è equiparato al dializzato che va all'ospedale). Essi sono di conseguenza meccanismi intrinsecamente inefficienti sotto l'aspetto economico e della massimizzazione del benessere del consumatore (e, concediamolo, anche del rispetto del diritto alla mobilità), e questo pone un limite molto forte ad una loro applicazione meno che sporadica;

Il secondo motivo è legato alla generale scarsa efficienza dei modi di trasporto alternativi: treni, autobus, ma anche bicicletta e pedonalità. La costruzione di efficaci sistemi ferroviari regionali e comprensoriali nelle principali aree metropolitane, già di per sé iniziata con decenni di ritardo, a meno di alcune rimarchevoli situazioni, è quasi ovunque ferma o in grave affanno, con una specialissima menzione al disastroso caso di Milano. Le attuali disponibilità finanziarie non aiutano peraltro a prevedere, almeno in tempi brevi, un significativo miglioramento di tale situazione. E questo può effettivamente portare (seconda implicita concessione al giudice milanese) a confondere il diritto alla mobilità con il diritto alla scelta del modo di trasporto.

Da queste poche e necessariamente schematiche riflessioni deriva una proposta di 'governo delle concentrazioni inquinanti' che, in estrema sintesi, consiste nel sostituire gli usuali regimi di divieto/limitazione (i.e. targhe, fasce orarie a blocco totale ecc.) con un sistema di permessi a pagamento (ad esempio con tagliandi prepagati tipo 'gratta e sosta', che diventerebbero dei 'gratta e circola'), e quindi con modestissimi costi di esazione), eventualmente diversificati in funzione delle emissioni prodotte dalle diverse tipologie di veicoli. I livelli tariffari dovranno essere ovviamente tali da garantire la riduzione complessiva di traffico desiderata, dato il numero di giorni che si intendono sottoporre a tariffazione.

Il gettito della tariffazione dovrebbe servire per creare ed alimentare un fondo controllato da un comitato di garanzia, destinato al rafforzamento dei sistemi di trasporto sostenibili ed allocato con chiare finalità di riequilibrio distributivo.

I vantaggi intriseci nella sostituzione degli attuali meccanismi di divieto con un regime di permessi a pagamento sono molti, e precisamente:

è potenzialmente in grado di ottenere effettivamente le riduzioni di traffico desiderate (basta regolare le tariffe ed il numero di giorni regolati), senza tuttavia ledere il diritto alla mobilità (basta, per l'appunto, pagare);

consente di operare una selezione dell'utenza sulla base delle propensioni a pagare e, di conseguenza, maggiormente rappresentative degli effettivi livelli di utilità/necessità del singolo utente che, se lo desidera, potrà sempre effettuare i suoi spostamenti con la propria auto. Non viene quindi leso né il 'diritto alla mobilità', né quello della scelta del modo di trasporto;

riduce di conseguenza l'impatto negativo sulla vita economico-sociale, cui consegue la possibilità di adottare politiche più incisive, effettivamente in grado di raggiungere gli obiettivi necessari;

dà la possibilità di introdurre meccanismi assai efficaci di orientamento della domanda, ad esempio accelerando il rinnovo del parco veicolare verso modelli a minor impatto (i.e. attraverso differenziazioni tariffarie per tipo di veicolo), ovvero diffondendo i comportamenti virtuosi (i.e. esenzioni per il car pooling);

garantisce la flessibilità piena del sistema, che potrà evolvere in funzione delle effettive condizioni via via raggiunte (evoluzione verso un parco a minori emissioni, modifiche strutturali nei comportamenti modali ecc.), ovvero dall'assunzione di altri obiettivi concomitanti (i.e. riduzione della congestione stradale);

consente l'immediata applicabilità del sistema anche ad utenti non residenti nell'area omogenea controllata;

è in grado di attivare consistenti flussi finanziari aggiuntivi a sostegno dello sviluppo dei trasporti sostenibili, attraverso i quali può riequilibrare la distorsione distributiva sempre implicita nei meccanismi tariffari.

Rispetto ad altre analoghe proposte di pricing recentemente riproposte, che sono in genere mirate a imporre una tariffa di ingresso ai centri urbani, il 'gratta e circola' ha il vantaggio di incidere, al pari delle misure di limitazione del traffico, su tutto il traffico presente nell'area, e non solo su di una sua parte. Si può in tal modo, a parità di efficacia del provvedimento, adottare tariffe ben più basse.

L'evidente difficoltà di definire le politiche tariffarie ed i calendari di limitazione ottimali richiede ovviamente una costante azione di monitoraggio e aggiornamento del sistema, in un contesto di assunzione graduale e progressiva degli obiettivi desiderati.

Quanto detto rappresenta una ipotesi, tra le tante possibili, che serve soprattutto a dimostrare come fare si può, basta volere. Non deve affatto piacere, senza nulla concedere a Berlusconi, un sistema che alla (in)capacità politica ed amministrativa, sostituisce l'intervento giudiziario. La inanità, l'incompetenza amministrativa dovrebbero essere giudicate e punite dagli elettori.

Un giudice non deve nemmeno dire, come inopportunamente fece qualche anno fa una nota sentenza bolognese diametralmente opposta a quella di cui si è discusso, come si deve materialmente operare.

Si limitasse dunque il nostro a prendere atto della inosservanza plateale degli obblighi assunti, per legge, dagli amministratori sul rispetto dei limiti di inquinamento, senza discettare sulla loro effettiva perseguibilità. Forse questo aiuterebbe di più gli stessi amministratori ad essere meno 'operosamente inani'.

Milano, 17 Febbraio 2005

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