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Eddytoriale 14 (10 maggio 2003)
5 Febbraio 2005
Eddytoriali 2003
10 maggio 2003– Mi sarebbe piaciuto parlare d’altro (di urbanistica, per esempio), ma oggi bisogna essere prima di tutto cittadini. E per i cittadini la situazione è molto grave. Se interviene anche la stampa britannica (oltre The Economist, anche il Financial Times oggi) vuol dire che la nostra ragione non si è annebbiata, che non ci fa velo l’antipatia personale quando pensiamo (e diciamo) che stiamo scivolando verso un regime dominato da un Pensiero Unico e da un Interesse Unico. Il signor B. non risparmia mezzi per salvare ed estendere il suo dominio. E sì che di mezzi ne ha, e continua ad accumularne. Non mi sembra di esagerare se penso che la situazione sia drammatica.

Se è così, bisogna rispondere. Lo sforzo da fare oggi, l’impegno maggiore che occorre esprimere, è di unire tutte le forze che vogliano opporsi a Berlusconi. Non perché è di destra, non perché sostiene gli interessi politici e ideologici della destra, ma perché sta distruggendo le basi della convivenza civile.

Distrugge lo Stato, basato sull’equilibrio dei poteri e sul primato dell’interesse collettivo su quello individuale. Distrugge la Repubblica, dileggiando i suoi valori fondativi. Distrugge la Democrazia, sostituendo in modo sempre più marcato la “gente” (e gli spettatori) ai cittadini. Distrugge la Politica, riducendola alla difesa dei suoi personali interessi. L’unità di tutti. E in primo luogo l’unità della sinistra, dunque. L’ispirazione degli appelli all’unità (come quello di Giorgio Ruffolo su Repubblica del 9 maggio) sono perciò sacrosanti. Ma unità nella chiarezza. E chiarezza vuole che si prenda atto che la sinistra è “plurale”. In essa convivono posizioni politiche diverse: non solo nella sinistra nel suo complesso, ma anche in quella sua parte (ancora rilevante) che sono i DS.


Nessuno può nascondersi che all’interno di quella formazione ci sono, e svolgono ancora ruoli dominanti, posizioni politiche che hanno oggettivamente cospirato (spirato insieme) con il berlusconismo. Non parlo degli errori politici (quelli che ha compiuto l’on. D’Alema,, per intenderci, che in un’alto paese, dopo aver aperto la strada al suo avversario, si sarebbe ritirato per qualche anno a vita privata). Parlo delle concrete politiche che si sono promosse su terreni rilevanti: l’aver dimenticato che in Italia il mercato ha bisogno di più Stato (nella speranza di togliere voti a Berlusconi), l’aver contribuito alla dissoluzione dell’unità della Repubblica (nell’illusione di tagliare l’erba sotto i piedi a Bossi), l’aver ridotto l’autorità degli strumenti dell’azione pubblica (dal pubblico impiego all’urbanistica) e la centralità dei valori pubblici (dai beni culturali all’ambiente).

Sarebbe interessante domandarsi il perché di questi cedimenti (se lo facessimo ci imbatteremmo del difficile ragionamento sui limiti dell’attuale democrazia). È invece necessario rendersi conto che sono cedimenti non solo rispetto a una impostazione politica di sinistra, ma rispetto a una impostazione di moderna democrazia europea. È a questa che occorre tornare, se si vuole davvero battere il crescente regime e costruire un sistema di alleanze più solido di quello che si tentò con Bossi.

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