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Guido Colaprico
"Sì, il clima sta cambiando ma questo disastro è solo colpa nostra"
11 Dicembre 2004
Sardegna
"Su questi fiumi hanno costruito di tutto ed è stato un grave errore. Se si costruisce su un fiume è imprevedibile solo il "quando" ci sarà il disastro, ma il disastro ci sarà", dice Dessì, assessore regionale DS all'ambiente. Non è solo Soru: in Sardegna si comincia a capire. Magari anche nella penisola! Da la Repubblica del 10 dicembre 2004

CAGLIARI - Arriva l´acqua a valanghe, e la Sardegna sembra recuperare, anche se un po´ a fatica, la sua memoria contadina. Il fango travolge le case e le strade, le frane isolano ovili e porcili, si piangono i morti e si dice: «Mai tanta acqua, qua non eravamo abituati». E´ questa la frase che ricorre, tra i soccorritori e gli alluvionati, ma è un alibi. In realtà i fiumi perenni dell´isola sono solo due. E i fiumiciattoli, i torrenti, i rii sono centinaia.

Stanno in secca durante l´estate, o per anni interi, all´improvviso assecondano le leggi della natura e tornano a pulsare acqua e fango, ad incanalare tutto quello che il terreno della montagna - dove spesso si sono costruite le case e non si sono creati argini e muretti - non riesce più ad ingoiare.

«Su questi fiumi hanno costruito di tutto - dice Antonio Dessì, ds, assessore all´Ambiente della nuova giunta regionale di centrosinistra - ed è stato un grave errore. Se si costruisce su un fiume è imprevedibile solo il "quando" ci sarà il disastro, ma il disastro ci sarà. Un mese fa ero a Bonorva, nella zona di Sassari, e tre isolati sono franati. Sembra un´altra storia, rispetto al dramma di questi giorni, ma è la stessa storia, anche lì c´era un fiume, e ci hanno costruito sopra, e poi...».

Là eravamo a ovest, oggi siamo a est, nell´Ogliastra, nella Baronia, nella martoriata Galtellì, e siamo a Villagrande Strisaili, tra persone incrollabili che, con impermeabili di buste di plastica e a mani nude, spalano, sgomberano, si aiutano.

Il paese è ancora commosso per l´omelia di monsignor Antioco Piseddu, il vescovo di Lanusei. Ha preso la parola al funerale della nonna e della nipotina uccise dalle frane di Villagrande: «Mi piace immaginare che la nonna consegna la nipotina a Maria dicendole: "Tienila sempre con te, è così piccola, ha tanto bisogno di carezze"». Ma il paese è anche furibondo contro sé stesso, contro la politica che questa terra ha prodotto: «C´erano tre fiumi, il Mesu Idda, Bau Argili e Figu Niedda, passavano in mezzo alle case, ma li hanno intubati, ci hanno messo il cemento intorno e poi sopra l´asfalto. E adesso - spiegano - sono esplosi». Sono immagini difficili da credere, quelle che si vedono e che le tv locali continuano a trasmettere: una moderna litania dei ricordi perduti, delle occasioni sbagliate. I pezzi di quel cemento sono stati sparati dovunque, sembrano macerie di un attentato come quelli di Baghdad. Sono i fiumi che hanno mostrato i muscoli, distrutto appartamenti, allagato palazzine, rubato le automobili.

La furia degli elementi non la può negare nessuno, la notte di lunedì è stata una notte di Valpurga. Ancora adesso riemergono chicchi di grandine tra i detriti che, come un nuovo manto stradale, hanno sfigurato il paese. Ma se i danni materiali sono ingenti, qui è stata davvero la tragedia di Francesca, che aveva tre anni, e di nonna Assunta, a spezzare i discorsi e trasformare il dolore in polemica. E la morte delle due compaesane a rammentare che sono sempre le persone comuni a pagare il prezzo più alto, e c´è la cugina di Francesca che ancora va in giro con la bambolina che la bimba portava con sé, e piange. «Siete i nostri angeli, vegliate su di noi», si pregava in chiesa.

Ma, insieme alle lacrime, sembra tornare la saggezza perduta dei nonni.

Bruno Alfonsi, il procuratore di Lanusei, non ci sta, nemmeno lui: «Non è giusto addebitare ogni cosa alla forza distruttrice del caso».

Indaga per duplice omicidio e disastro colposo, e sostiene che è «un dovere morale, prima ancora che giuridico».

Costruire case per abitare, costruire case da affittare, costruire case per investire capitali. Costruire su ogni metro quadrato disponibile, costruire il più possibile, anche questo è all´origine delle tragedie in Sardegna. Come mai, se no, l´altro disastro è a Siliqua, nel cagliaritano? E dove, a Siliqua? Semplice: dove hanno costruito a ridosso del Rio Forrus, che s´è gonfiato e ha occupato campi, capannoni, aziende. Qui ognuno racconta le scelte di paesi vicini, che hanno lasciato i fiumi all´aperto, hanno costruito argini antichi, e non hanno deviato gli alvei.

Dall´alto gli elicotteri controllano le dighe, che sinora reggono. I forestali portano foraggio ad armenti isolati, piccoli furgoni trasportano cadaveri di mucche e pecore, i volontari dell´organizzazione Masesu danno pasti caldi a chi lavora, ai 29 sfollati. Qui chiamano «montagna» le grandi colline, ma molte di queste gobbe verdi sono rovinate da frane grigie e marroni. E non è ancora finita, quest´emergenza-Sardegna: si teme per oggi, soprattutto nella parte meridionale, il ritorno degli acquazzoni. «Mai tanta acqua», ripetono in tanti, è forse un indizio del clima che sta cambiando dovunque nel mondo. Ma non è solo questo, se l´assessore all´Ambiente aggiunge: «Nel cassetto c´era il Pai, piano di assetto idrogeologico, che non è stato mai reso operativo. Noi lo faremo al più presto - assicura Dessì - non si possono ripetere gli errori del passato».

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