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Mario Pirani
Moro come Gentile un'offesa alla storia
27 Dicembre 2004
La Resistenza
Un intervento su un episodio di guerra che viene brandito dagli eredi dei fascisti contro la Resistenza, da la Repubblica del 27 dicembre 2004.

Non sarei tornato a parlare della morte di Giovanni Gentile (Repubblica 8 novembre) se questo evento non ricomparisse puntualmente come un ricorrente archetipo negativo dei valori della Resistenza. Ad esempio recentemente sul Corriere della Sera una recensione del libro del postino delle Br, Valerio Morucci, ("La peggio gioventù", ed. Rizzoli) era titolata su cinque colonne: "Moro ucciso come Gentile" creando una equazione immediata tra i partigiani e i terroristi. E se è pur vero che il recensore, Giovanni Bianconi, prendeva le distanze dal paragone di Morucci, è altrettanto rivelatore che egli lo abbia fatto affermando che accettarlo "sarebbe come racchiudere tutta la Resistenza nello sconsiderato omicidio del filosofo". È quanto meno singolare che su quelle stesse colonne non avesse trovato ospitalità la replica inviata al giornale da uno degli ultimi attori e testimoni di quell´evento, Teresa Mattei (che sarà poi la più giovane parlamentare della Costituente), la quale, avendo rivelato al giornale gli autentici retroscena dell´attentato, era rimasta ferita dalle interpretazioni che ne erano seguite da lei giudicati "offensivi e distanti dalla verità".

Inaccettabile, in particolare, le sembrava il paragone avanzato da Sergio Romano, fra l´uccisione del filosofo e l´assassinio dei fratelli Rosselli, avvenuto nel 1937, a opera di sicari del fascismo, in Francia, dove si erano rifugiati. "Come si può mettere sullo stesso piano - scrive nella lettera cestinata - un crimine e una legittima sentenza bellica... eravamo in guerra e di guerra era anche il diritto... la decisione di eliminare Gentile non è stata guidata da ansia di vendetta... ma fu un atto con cui si chiudevano i conti con il maggior responsabile della cultura fascista... Sicuramente le torture efferate e la morte di mio fratello Gianfranco (rinchiuso in via Tasso, n.d.r.), dei suoi compagni e di mille altri, insieme ai proclami di condanna alla pena capitale per i giovani renitenti alla leva di Salò di cui Giovanni Gentile era il più cinico celebratore, così come la conseguente fucilazione sotto i nostri occhi di tanti giovani a Firenze, in Campo di Marte, hanno contribuito a renderci ancor più determinati".

Certo, coloro i quali oggi bollano l´attentato dei Gap fiorentini,(che, a partire dal loro capo, Bruno Fanciullacci, pagarono poi quel gesto con la vita), usano l´argomento che Gentile non fosse da annoverarsi tra i gerarchi più biasimevoli, tanto che alcune volte era intervenuto, nei limiti consentiti e senza, però, mai contestarne la giustezza, per rendere meno aspre le misure di persecuzione contro qualche collega avverso al regime o ebreo. Ciò non pertanto queste attenuanti, riferenti a prima del 25 luglio 1943, non potevano muovere ad alcuna indulgenza dopo l´8 settembre, quando solo i più accaniti filonazisti fra le camice nere avevano seguito Mussolini nel precipizio finale a fianco di Hitler. Lo scontro era ormai definito e definitivo: da un lato gli eserciti che portavano libertà e democrazia, a cui si erano affiancate le formazioni partigiane e i militari agli ordini del legittimo governo italiano, dall´altra le brigate nere, le varie bande di torturatori agli ordini delle SS, i fedeli ausiliari dei responsabili delle camere a gas e dei lager, ispirati dai teorici del razzismo. Il fatto che un filosofo illustre avesse dato loro avallo costituiva un aggravante del collaborazionismo "repubblichino".

In proposito ho ricevuto - dopo il mio primo pezzo - una bellissima lettera di Sergio Lepri, per decenni mitico direttore dell´Ansa e prima ancora, pur provenendo dalla sinistra liberale, portavoce del presidente del Consiglio, Amintore Fanfani. Eccone qualche brano: "All´epoca della morte di Gentile dirigevo a Firenze un foglio liberale clandestino, "l´Opinione". La notizia dell´attentato mi colpì dolorosamente... mi ero laureato in filosofia nel ´40, a vent´anni, e avevo studiato con passione i suoi testi... alcuni storici revisionisti di oggi... non si sforzano, però, minimamente di capire il clima di allora, il contesto storico ed anche emotivo in cui vivevamo, in mezzo a una guerra civile e di liberazione; e ogni giorno c´erano morti, quasi tutti della nostra parte... fu proprio per Giovanni Gentile che molti giovani si schierarono dalla parte sbagliata. Ecco perché Teresa Mattei, la cara Chicchi, nei giorni in cui suo fratello era torturato dai fascisti repubblichini, tanto da portarlo al suicidio, non si oppose alla decisione del suo futuro marito, Bruno Sanguinetti e dei suoi compagni di ispirare un atto clamoroso... ecco perché uno come me provò dolore ma non indignazione per la morte di Giovanni Gentile".

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